La battaglia
di Maratona avvenne durante la prima guerra Persiana. Era il 12 settembre
dell’anno 490 a.C., dieci anni prima della battaglia delle Termopili. Le forze
in campo: esercito greco, composto da diecimila opliti, schierato contro
l’esercito persiano composto da duecento navi che trasportavano cinquemila
cavalieri e ventimila fanti.
L’imperatore
persiano era Dario I, padre di Serse, l’avversario del re Leonida alle
Termopili. Dario governava il più grande impero dell’antichità. Le sue colonie
si estendevano dal fiume Indo fino alla Ionia, sulla costa occidentale della
Turchia. Proprio le colonie ioniche furono il motivo dello scontro. Nel 511
a.C. gli ateniesi esiliarono il loro dittatore, Ippia, il quale si rifugiò
nella Ionia, sotto la protezione dei persiani. Quando una parte della
popolazione si sollevò contro i persiani, gli ateniesi decisero di inviare in
loro soccorso venti navi. Fu la colonia greca di Mileto la prima a ribellarsi.
Il re di Mileto, Aristagora, organizzò la rivolta, ottenendo l’appoggio di
Atene e di Efeso.
Per cinque
anni, dal 499 a. C. al 494 a.C., Mileto ed altre colonie della Ionia
contrastarono i persiani, che dopo un iniziale smarrimento riuscirono a
contenere le rivolte ed infine a soffocarle. Tutte le città greche si
sottomisero ai persiani tranne Sparta e Atene. Il re Dario non accettò questa
attitudine e decise di invadere e distruggere Atene.
Duecento
navi salparono per la Grecia continentale. Atene mobilitò subito il suo
esercito. L’intento di Dario era rimettere sul trono di Atene il dittatore
Ippia, che era stato cacciato anni prima. Fu proprio lui a consigliare al
comandante dei persiani, Dati, di attraccare a Maratona, in quanto considerava
quel territorio favorevole per i movimenti delle truppe persiane. Atene sapeva
che rischiava la sua distruzione. Mentre i persiani, vista la loro superiorità
numerica, erano sicuri che avrebbero ottenuto una facile vittoria.
Gli eserciti
in campo
I persiani
erano dotati di una cavalleria veloce, abituata a muoversi in tempi rapidi e a
percorre lunghe distanze in poco tempo e di una fanteria pesante costituita da
mercenari. L’esercito greco, invece, era formato da cittadini opliti, abituati
a combattere in formazione: la falange in cui i greci si stringevano compatti e
che era costituita da più fila di soldati. Lo scudo dell’oplita posto a destra
proteggeva il soldato a sinistra. La prima e la seconda fila colpivano
dall’alto e dal basso, mentre gli scudi creavano una barriera.
L’armamento
degli opliti era formato dal dory, una lancia che misurava da due metri a due
metri e settanta centimetri, che pesava due chili ed era dotata di una punta in
ferro. All’altra estremità c’era un’altra punta in ferro che controbilanciava
la lunghezza della lancia. La spada, invece, si chiamava xiphos, serviva per il
corpo a corpo ed era lunga fino a 90 cm . Lo scudo, hoplon, era circolare e
aveva due impugnature: un passante di cuoio nel mezzo, in cui infilare il
braccio ed un manico posto sul bordo interno in cui tenere con maggior forza lo
scudo.
La falange
oplitica aveva la caratteristica di essere schierata in otto file successive,
in modo tale che la seconda linea proteggeva la prima e la terza la seconda.
Ogni uomo che cadeva veniva prontamente sostituito dai soldati delle file
anteriori. Il comandante dei persiani era, come si è detto, Dati, che poteva
utilizzare la cavalleria per scombinare i fianchi degli ateniesi, gli arcieri
per fermare la prima carica dei nemici e la fanteria per lo scontro corpo a
corpo. Il comandante degli ateniesi era invece Callimaco, che aveva al suo
servizio dieci strateghi, generali provenienti dalle dieci tribù in cui erano
stata divisa l’Attica. Uno dei più brillanti e preparati era Milziade.
La battaglia
Milziade,
insieme ad altri quattro generali, voleva attaccare i persiani subito, mentre
stavano ancora sbarcando sulla piana di Maratona. Gli altri cinque generali,
invece, volevano aspettare gli spartani, terrorizzati all’idea di doversi
scontrare da soli contro i persiani. Fu Dati a risolvere il dilemma. Il
comandante persiano, infatti, commise un errore madornale. Decise di inviare la
sua cavalleria trasportata da una parte della flotta nel porto di Atene,
sperando che i cittadini ateniesi, che appoggiavano Ippia, si ribellassero
vedendo le navi nemiche e facessero cadere Atene nelle mani dei persiani.
Questo, però, permise a Milziade di avere un’argomentazione inattaccabile con
Callimaco. Se, infatti, la cavalleria era l’arma più importante dei persiani,
la fanteria sarebbe stata facilmente attaccabile dagli opliti, e se
quest’ultimi avessero vinto, avrebbero avuto il tempo di tornare ad Atene per
difendere la città. Ottenuto il permesso di Callimaco, Milziade decise di
schierare l’esercito e di farlo avanzare.
Strategia
greca
I persiani
erano schierati per un chilometro e mezzo. Gli ateniesi pertanto dovettero
rivedere la loro formazione, perché non erano di pari numero rispetto ai
persiani e per essere schierati sulla loro stessa lunghezza dovevano mettere
quattro file al centro e le classiche otto file ai lati. Così fecero. Milziade
comandava al centro e Callimaco sulla linea destra. Per evitare, però, il primo
attacco persiano, che tradizionalmente si svolgeva con una pioggia di frecce,
Milziade decise di far avvicinare a circa duecento metri le truppe a passo di
marcia. E prima che gli arcieri scoccassero le frecce, ordinò di accelerare il
passo. Ottenne così di evitare parte delle frecce e di confondere i fanti
persiani, che non si aspettavano che l’esercito avversario potesse correre mantenendo
compatte le file. Si trattò di un azzardo notevole. Perché diecimila uomini che
corrono con l’armatura senza perdere la posizione non era facile da ottenere.
Motivi del
successo
Primo: i
soldati appartenevano alle classi medio alte ed erano quindi tutti educati
all’attività sportiva. Secondo: una delle discipline che utilizzavano negli
allenamenti era la corsa con l’armatura. Terzo: la compattezza delle fila era
uno degli aspetti caratteristici dell’addestramento degli opliti.
L’impatto
contro i fanti persiani fu a favore dei greci. Le ali dello schieramento
persiano vennero travolte dagli opliti che così poterono avanzare. Mentre il
centro dovette retrocedere a favore dei persiani. In questo modo, pero, si creò
un accerchiamento dei persiani che si videro travolti ai lati e nella
retroguardia. Questo seminò il panico fra i soldati, una parte dei quali fuggì.
Milziade ne inseguì una parte ma poi si rese conto che i soldati che salivano
sulle navi avevano intenzione di salpare. La meta più probabile era Atene, la
quale non avrebbe resistito ad un attacco. Decise quindi di ordinare ai soldati
di attaccare le navi e i fuggitivi. Gli opliti riuscirono a bruciarne sette
mentre le altre salparono.
La battaglia
di Maratona: epilogo
Milziade
aveva poco tempo. Se le navi fossero arrivate nel porto di Atene, probabilmente
la città si sarebbe arresa. Milziade, allora, decise di mandare un messaggero,
Tersippo, che percorse correndo i quarantadue chilometri che separavano
Maratona da Atene. Tersippo ci mise due ore a raggiungere la città per
avvertire che l’esercito greco aveva vinto. Poi morì per lo sforzo. L’episodio
narrato da Erodoto e Plutarco, anche se secoli dopo e con alcuni dubbi sulla
sua autenticità, ha dato vita alla nota gara olimpionica. Gli ateniesi per
evitare l’assedio della città utilizzarono donne, anziani e bambini come figure
militari, in modo tale che Dati pensasse che la città fosse piena di soldati.
Infatti,
quando le navi arrivarono nel porto, Dati pensò che la città sarebbe stata
espugnata con difficoltà, mentre l’esercito greco da Maratona stava procedendo
velocemente verso Atene. Decise pertanto di ripiegare e ritirarsi. Questo
insperato successo militare diede ai greci una sicurezza nella loro forza
militare che li accompagnò per molti anni. La vendetta per la sconfitta fu
consumata nella seconda invasione persiana, quando il figlio di Dario, Serse,
sconfisse Leonida alle Termopili. Per poi essere sconfitto da Temistocle a
Salamina.
La
conseguenza più diretta di queste vittorie militari fu un’accelerazione nella
crescita politica, culturale ed economica della Grecia, che grazie alle sue
imprese militari acquistò una sicurezza nel suo destino e nelle proprie
capacità.
La leggenda
della corsa di Filippide
Una leggenda
attribuita tradizionalmente a Erodoto ma divulgata da Plutarco, che a sua volta
cita Eraclide Pontico nell’opera Sulla gloria degli Ateniesi, sostiene che Fidippide
(o Filippide, chiamato da Plutarco Eucle o Tersippo) dopo la battaglia sarebbe
corso fino ad Atene dove sarebbe morto per lo sforzo all’arrivo, dopo aver
pronunciato la celebre frase “Abbiamo vinto“. Anche Luciano di Samosata riporta
la stessa leggenda, chiamando il corridore Filippide, nome preferito a
Fidippide nel Medioevo.
Gli storici
ritengono che questa leggenda sia solamente una fusione della reale corsa fino
a Sparta compiuta dall’emerodromo (così è chiamato il messaggero che correva da
una città all’altra per recapitare i messaggi affidati) prima della battaglia
per chiedere il sostegno dei Lacedemoni agli Ateniesi contro l’aggressione
persiana; la faticosa marcia da Maratona ad Atene fu infatti compiuta dagli
Ateniesi dopo la battaglia per anticipare un possibile sbarco persiano davanti
alla città.
La distanza
della maratona moderna
La corsa
lunga oltre 42 chilometri è chiamata “maratona” proprio dal mito di Fidippide e
della sua corsa: a tale racconto si ispirò Pierre de Coubertin; la distanza
della maratona olimpica moderna (42,195 km) venne stabilita e ufficializzata
solo nel 1921, dopo essere stata adottata ai Giochi Olimpici della IV Olimpiade
(Londra, 1908).
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