Greci che
mangiano gli avanzi dei profughi cibo migrantigli
indigeni, soprattutto quelli dell’europa dei popoli possono schiantare, non è
razzismo. L’importante che i “richiedenti” asilo non debbano soffrire la fame,
i greci non sono umani degni di essere nutriti e curati.
Da Ritsona
(Eubea, Grecia). Per arrivare al campo profughi di Ritsona occorre prendere il
treno che da Atene porta a Salonicco, cambiare ad Inoi e scendere nella
minuscola stazione di Avlida. Quindi una corsa di dieci minuti in macchina fra
le colline punteggiate di ulivi conduce a una vecchia base militare
dell’aeronautica greca sperduta nella campagna, fra la polvere e il fango. Qui
stanno, da marzo, settecentotrenta profughi scappati dal Medio Oriente, in
attesa di documenti che li riconoscano come rifugiati politici. Quasi nessuno è
partito con l’idea di restare in Grecia, ma la chiusura delle frontiere li ha
sorpresi a metà del cammino verso l’Europa più ricca, bloccandoli in un limbo
senza senso.
Europa egoista:
scarica i migranti sulla Grecia
In tutto il Paese
sono oltre sessantaduemila i migranti che aspettano di conoscere il proprio
destino. Dopo il controverso accordo con fra Ue e Turchia per porre un freno ai
flussi migratori, il governo di Ankara ha fermato sì le partenze dall’Anatolia,
ma la pressione sulla Grecia non è diminuita. In base al Regolamento di Dublino
III, i migranti sono obbligati a presentare la domanda di asilo nel primo Paese
Ue in cui mettono piede: una scelta politica che scarica l’onere
dell’accoglienza su Italia e Grecia, in prima linea nel fronteggiare
l’emergenza.
I profughi dunque
non possono proseguire, perché hanno già presentato richiesta di asilo alle
autorità elleniche – e non possono tornare indietro, poiché la Turchia non li
vuole. Le condizioni di vita variano da campo a campo e i Greci fanno di tutto
per prodigarsi nell’accoglienza.
A Ritsona è stato
fatto molto per alleviare le sofferenze dei profughi, che per il 95% dei casi
provengono dalle regioni della Siria più colpite dalla guerra civile.
Con l’aiuto delle
ong e di molte sigle del volontariato internazionale, da novembre i container
hanno preso il posto delle tende, del tutto inadatte ad affrontare le rigide
temperature invernali dell’Eubea. Il terreno in terra battuta, che alle prime
piogge si trasformava in una palude, è stato ricoperto di ghiaia e grazie ai
volontari sono state allestite una palestra e un asilo.
Il campo ospita
infatti anche trenta neonati e duecentocinquanta bambini, che nel pomeriggio
vanno a lezione nella scuola del paese, lasciata libera dai bimbi greci.
Gli adulti,
invece, con moltissimo tempo a disposizione e quasi nulla da fare, si ingegnano
per ingannare il tempo. Alcuni siriani collaborano alla gestione di un piccolo
bar interno al campo. Qualcuno si è reinventato carpentiere, altri hanno aperto
piccoli negozi per vendere qualche ortaggio o un pacchetto di sigarette.
Una volta
presentata la richiesta di asilo possono passare anche sei mesi prima di
ottenere una risposta. Il nemico principale diventa allora la noia.
“Le persone che
vivono qui sono perlopiù stanziali – spiegano i responsabili di Echo100Plus,
l’organizzazione no profit che si occupa della distribuzione dei beni di prima
necessità – La stragrande maggioranza vuole andarsene: bisogna accelerare le
procedure per definire lo status giuridico di queste persone. Anche per la
Grecia si tratta di un carico molto pesante da sopportare”.
La regione di
Ritsona è infatti pesantemente colpita dagli effetti della crisi economica e in
molti, rimasti senza lavoro, faticano a procurarsi il necessario per vivere.
La fotografia più
nitida di questo difficile stato di cose è forse la piccola folla di persone
che ogni settimana si mettono in fila per ricevere il cibo in eccesso avanzato
al campo profughi. Quando i migranti avanzano parte del cibo sono i volontari
legati della chiesa ortodossa che ritirano il tutto, perché sia distribuito ai
poveri.
“Io stesso sono
senza lavoro – spiega il venticinquenne Adonis, mentre carica in macchina gli
scatoloni con gli avanzi – In questa regione come in tutta la Grecia non c’è
lavoro e la gente non ha da mangiare. Ma sarebbe un peccato se questo cibo
venisse sprecato, così lo portiamo ai senzatetto.”
Intendiamoci,
gettare il cibo nella spazzatura è un delitto che grida vendetta. Dar da
mangiar agli affamati è viceversa un dovere morale che non sempre lo Stato
greco riesce ad assolvere. In altre città sono stati i profughi stessi a
portare il cibo ai senzatetto greci, raccogliendone entusiasmo e gratitudine.
Ma questo
affollamento di disperazione e miseria non può che porre in luce – ancora una
volta, casomai ce ne fosse ancora bisogno – l’ipocrisia di un’Europa che a
parole si proclama solidale e nei fatti costringe la maggior parte dei profughi
in un Paese che più di ogni altro è piegato da una crisi senza precedenti e che
esso stesso è ormai alla fame. Anche questo è un peccato che grida vendetta.
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