Nessun capo di
stato o di governo dei ventisette dovrebbe far mancare la sua firma, alla
cerimonia del 60esimo anniversario del trattato di Roma, sabato mattina in
Campidoglio, in calce alla dichiarazione sul "Futuro comune europeo";
un testo di due pagine scarse (66 righe) che è stato pazientemente negoziato
nelle scorse settimane proprio per garantire che, nonostante gli attriti, le
divisioni interne e le spinte centrifughe, tutti i leader possano
sottoscriverlo. Lo riporta l'agenzia di stampa Askanews.
Il presidente
della commissione, Jean-Claude Juncker, gli ha risposto ricordando che già in
passato, a maggio 2015, aveva dichiarato il suo "sostegno per un giusto ed
efficace sistema di contrattazione collettiva" in Grecia, e affermando che
gli accordi con i creditori per il programma di salvataggio finanziario di
Atene dovranno essere conclusi "nel rispetto dell"acquis' europeo sui
diritti sociali, di cui noi - (la commissione, ndr ) siamo i guardiani".
Quella che sarà
firmata domani è una dichiarazione solenne per mandare agli europei e al mondo
il messaggio che l'Ue, dopo l'uscita dei britannici, resta comunque unita, e
unita guarda ai prossimi dieci anni. Con l'ambizione di affrontare e vincere le
sfide del mondo globalizzato, difendendo il proprio modello (l'economia sociale
di mercato) e i propri valori e principi, mentre i populismi e i nazionalismi
montanti vorrebbero negarli; ma tutelando anche le sue frontiere esterne e
gestendo meglio i flussi migratori; ripristinando la crescita economica e la
prosperità delle sue nazioni e lottando contro la disoccupazione; restando
aperta agli scambi internazionali e continuando a propugnare la risoluzione
pacifica dei conflitti, il multilateralismo, proprio mentre altrove prevalgono
tentazioni protezionistiche.
L'ultima bozza,
che non dovrebbe più essere modificata, contiene solo tre piccole modifiche
formali rispetto al testo del 20 marzo, che aveva inserito molti cambiamenti
per rispondere alla forte avversione della Polonia e degli altri paesi dell'Est
al concetto di "Europa a più velocità"; che ormai non appare più in
quanto tale, come nuova via da seguire, ma è stato ridotto a un richiamo alla
formula delle "cooperazioni rafforzate", già presente nel trattato Ue
e rispondente a realtà già operanti nella pratica.
Alla fine, su
questo punto il testo è stato modificato così: "agiremo insieme,
muovendoci nella stessa direzione, con un ritmo (o 'passo', ndr) e un'intensità
diversi quando sarà necessario, come abbiamo fatto in passato, in linea con i
trattati Ue e lasciando la porta aperta per quelli che vorranno aggiungersi più
tardi. La nostra unione - si sottolinea per fugare i timori dei paesi dell'Est
- è indivisa e indivisibile".
Sempre nella
versione del 20 marzo, confermata ieri sera, è stata aggiunta nel capitolo
sull'Europa sociale - anche per rispondere alle preoccupazioni greche - una
parola fondamentale che mancava prima: "disoccupazione".
L'Unione
"combatte la disoccupazione, la discriminazione, l'esclusione sociale e la
povertà", si legge nel testo. C'è, inoltre, il richiamo al ruolo
dell'unione nel "creare crescita e lavoro", e nel promuovere "il
progresso economico e sociale, così come la coesione e la convergenza" fra
le economie degli stati membri, "mantenendo l'integrità del mercato
interno e tenendo conto della diversità dei sistemi nazionali e del ruolo
chiave dei partner sociali". E c'è un riferimento ai giovani, che devono
"ricevere la migliore educazione e formazione" e poter "studiare
e trovare lavoro in tutto il continente".
La dichiarazione
cita, "en passant" anche energia, ambiente e clima, propugnando
"un'unione in cui l'energia è sicura e a buon mercato e l'ambiente pulito
e sicuro", e che "promuove una politica climatica positiva". E
non manca un riferimento all'unione del mercato digitale ("un mercato
unico forte, connesso" che si sviluppa "aderendo alle trasformazioni
tecnologiche").
La Commissione è
riuscita a inserire anche il mantra del suo presidente, Jean-Claude Juncker,
che continua a propugnare una unione "grande sulle grandi questioni e
piccola su quelle piccole", secondo una interpretazione del principio di
sussidiarietà che potrebbe portare alla rinazionalizzazione di alcune politiche
comuni (come voleva il Regno Unito e come vorrebbero i paesi dell'Est, e anche
certe lobby industriali, in particolare per quanto riguarda l'ambiente).
Nel capitolo
sulla politica estera, oltre all'impegno a rafforzare la sicurezza e difesa
comune e la stabilità del vicinato, "in cooperazione e complementarietà
con la nato" c'è un richiamo al ruolo mondiale dell'Ue, "impegnata
nelle nazioni unite" e nella difesa di "un sistema multilaterale
basato sulle regole" che promuova un "libero commercio" che sia
anche "giusto".
Sull'immigrazione,
infine, la commissione, la Germania e l'italia si sono opposte all'inserimento
dell'obiettivo di "arginare il flusso dei migranti" che avrebbero
voluto i paesi del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e
Slovacchia).
L'obiettivo sarà,
invece, "una politica migratoria efficace, responsabile e sostenibile, che
rispetti le norme internazionali", e quindi anche gli obblighi di
accoglienza dei rifugiati. Resta, comunque, l'impegno per "frontiere
esterne rese sicure", in un'unione in cui "tutti i cittadini si
sentono sicuri e possono muoversi liberamente".
Intanto, le
elezioni olandesi potrebbero aver invertito, o almeno fermato, la tendenza
all'aumento dei consensi al populismo anti europeo, oltre che nazionalista,
xenofobo e antimondialista. Lo fanno sperare anche i sondaggi in Francia, dove
sembra segnare il passo l'ascesa della popolarità di Marine Lep Pen in vista
delle presidenziali; mentre in Germania sorprende l'avanzata di Martin Schulz,
ex presidente del Parlamento europeo e sfidante socialdemocratico della
cancelliera Angela Merkel. Per una volta, in questo caso, l'establishment ha di
fronte non un populista, ma un sicuro europeista, che potrebbe finalmente
smuovere la Germania, incapace di capire i danni provocati all'Europa
dall'austerità che ha imposto con la sua leadership ottusa.
Quella di Roma
potrebbe essere solo la celebrazione di un evento irripetibile, da parte dei
tristi epigoni dei leader visionari di allora; ma potrebbe essere anche,
davvero, un'occasione per riflettere su tutto quello che rischiamo di perdere,
se l'Europa comunitaria non riuscirà a uscire dalla sua crisi esistenziale, a
recuperare la legittimità perduta nelle opinioni pubbliche, a ritrovare le
ragioni vere per riprendere con forza, convinzione, generosità, il cammino
cominciato insieme nel 1957.
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