Nonostante i
vistosi fallimenti, è ancora il FMI a dettare legge nel paese europeo. E così,
dopo anni di austerità, la Grecia sembra ritornata al punto di partenza
A sette anni di
distanza la presenza del FMI nell’eurozona ha creato molti più problemi di
quanti ne abbia risolti. A cominciare proprio dal caso greco, che sarà
segnalato nei libri di storia come il fallimento più clamoroso in una storia,
come quella del Fondo Monetario, in cui i fallimenti abbondano.
Nel nostro caso
il fallimento ha un nome e un cognome. Si chiama Pοul Thomsen ed è l’economista
danese che nel 2004 Putin ha cacciato in malo modo da Mosca. Nel caso greco si
è posto fin dall’inizio a capo della troika (FMI, Commissione, BCE).
Thomsen è
diventato particolarmente popolare in Grecia, tanto da non poter uscire
dall’albergo senza la numerosa scorta, non solo per il suo umorismo scandinavo
(“uno stipendio di 300 euro va benissimo, in fondo la Grecia è un paese
balcanico”) ma anche per la sua grande cordialità, in particolare verso
esponenti dell’oligarchia locale con cui si intratteneva quasi quotidianamente.
Ma l’elemento che
farà passare Thomsen nella storia della scienza economica sono le sue
azzeccatissime previsioni sull’andamento dell’economia greca dopo la cura da
lui stesso studiata. Già nel primo anno di cura FMI, il 2010, le previsioni di
Thomsen per il 2011 parlavano di una “lieve flessione” del -2,6% del PIL. La
flessione ci fu ma era del -7,1%. Il capace economista non si fece scoraggiare
e si lanciò in un’altra previsione per il 2012. La flessione sarebbe stata
ancora più lieve, sul -1,1% del PIL. Inutile dire che fu del -6,6%. Nel 2013,
il governo ultraliberista formato da Antonis Samaras (estrema destra di Nuova
Democrazia) ed Evangelos Venizelos (destra Pasok) doveva essere premiato in
qualche modo e l’astuto Thomsen decretò che quell’anno avrebbe segnato una
ripresa dell’economia con il +2,1% del PIL. Va da sé che il dato reale fu
-3,3%. Nel 2015, quando invece governava il “populista” e “demagogo” Alexis
Tsipras, l’economia, nelle intenzioni del serio economista, doveva andare a
rotoli con un -2,3%. Invece, l’anno chiuse con -0,2%.
Non che i pastrocchi
del danese siano passati inosservati. L’allora capo economista del FMI Olivier
Blanchard fin dal 2010 aveva segnalato la clamorosa mancanza di un adeguato
studio dell’economia greca e l’applicazione cieca dei modelli d’intervento nei
paesi ex comunisti, come la famigerata “svalutazione interna” attraverso
l’abbattimento del costo del lavoro. Ma il periodo “socialista” di Strauss-Kahn
era finito e cominciava quello coerentemente liberista della Lagarde.
Le critiche
diventeranno pubbliche nel 2013, quando iniziò la lunga lista delle
“autocritiche” del FMI sul caso greco, che non comporteranno alcun cambiamento
di indirizzo. Thomsen viene premiato diventando responsabile per l’Europa e,
nell’ultimo rapporto del Independent Evaluation Office del FMI dell’anno
scorso, i fallimenti del Fondo vengono attribuiti a “impreviste reazioni di
corporazioni organizzate”, a “seri problemi incontrati nell’applicazione del
programma” ma anche a “ripetute crisi politiche”, tutti affetti che “non sono
stati presi in considerazione nell’elaborazione del programma”. Effettivamente,
se la tua esperienza si limita alla Repubblica ex jugoslava di Macedonia è un
po’ difficile capire le dinamiche politiche e sociali di un paese europeo.
La verità però è
che la maledizione del FMI e l’inconsistenza economica di Thomsen continueranno
a lungo a tormentare l’eurozona, anche nel caso in cui quest’ ultima riesca a
uscire integra a questa ventata di antieuropeismo di estrema destra che sta
scuotendo l’Unione Europea. Essendo la Grecia il punto di rottura del suo
intervento, è là che il nodo diventa sempre più ingarbugliato e gli equilibri
più instabili.
Il FMI ha smesso
di finanziare la Grecia fin dall’estate del 2014. Il motivo è che, essendo
passata la Grecia da un indebitamento all’altro e vedendo crollare il suo PIL
del 26%, alla fine il debito greco è arrivato a livelli del tutto
insostenibili. Il regolamento del Fondo non permette di finanziare paesi con
debiti di questa natura. Tutto questo è avvenuto all’insaputa dello stesso FMI
e del suo responsabile europeo.
Nel gennaio di
quest’ anno, il Fondo ha presentato il suo nuovo rapporto sulla Grecia, il cui
debito si prevede che raggiunga il 170% del PIL nel 2020. Il FMI critica
l’atteggiamento tenuto fino a quel momento dall’Eurogruppo sul debito e chiede
delle “coraggiose misure di alleggerimento”, come l’estensione del periodo di
sospensione del pagamento degli interessi fino al 2040, della restituzione fino
al 2070 e l’abbassamento degli interessi a un tasso inferiore all’1,5% per un
trentennio.
Parallelamente,
il FMI contesta le previsioni della Commissione che parlano di un aumento del
PIL greco del +2,7% alla fine dell’anno. Contesta anche, come “non realistica”,
la richiesta, prevista negli accordi con i creditori del luglio 2015 (il
cosiddetto “terzo memorandum”) di ottenere avanzi primari del 3,5% per un
periodo di tempo indefinito. Per avere questo tipo di risultati e avviare
finalmente la ripresa dell’economia greca, l’haircut del debito deve essere
accompagnato, nelle proposte del FMI, da nuove misure di austerità, come
ulteriori tagli alle pensioni e abbassamento del limite di esenzione fiscale da
8.600 euro l’anno a 5.000. Si tratterebbe di misure “preventive” da applicare
solo nel caso in cui le previsioni pessimistiche del FMI si dovessero
miracolosamente avverare, ma da approvare subito in Parlamento, in modo da
“dare un segnale” ai mercati.
Ad Atene il
sospetto è che questo rapporto sia redatto in maniera contradditoria e contenga
richieste al limite del buon senso, come un Parlamento che legifera su misure
“eventuali”, per uno scopo preciso: il FMI non vede l’ora di uscire dal
programma greco e anche dall’eurozona. Sarebbe la maniera più elegante per
coprire i pasticci di Thomsen e lasciare all’oblio l’intervento più
fallimentare della sua storia.
In Europa il
rapporto del FMI non è piaciuto. Il Consiglio Europeo ha voluto inviare la sua
risposta a metà febbraio. Avrebbe dovuto rimanere riservata ma è stata
pubblicata dall’agenzia di notizie cipriota. Si tratta di un documento
estremamente duro, in cui si parla di “errori grossolani nel calcolo del
deficit, del tasso d’inflazione, del tasso di sviluppo, delle entrate etc.”.
Per Bruxelles, non c’è alcun bisogno di nuovi tagli alle pensioni, poiché la
riforma già in vigore comporta un risparmio che si aggira sullo 0,7% del PIL,
mentre sarebbe “del tutto erronea” la valutazione del FMI secondo cui la
progressività delle imposte sul reddito alimenterebbe l’evasione fiscale.
Ovviamente, il Consiglio ritiene “del tutto realistico” l’avanzo del 3.5% per
l’anno prossimo.
Non tutti gli
europei però sono stati così risoluti nel respingere le proposte della Lagarde.
C’è la destra tedesca, per esempio, che ritiene l’uscita del FMI dal programma
greco non ammissibile. Schauble ha più volte sostenuto la tesi secondo la quale
il “terzo memorandum” del 2015 prevedeva esplicitamente la presenza del FMI. Se
poi il Fondo esce dal programma, ci dovrebbe essere un nuovo passaggio al
Parlamento tedesco, cosa assolutamente da evitare in periodo preelettorale.
Questa è la versione di Schauble, perché secondo quella dell’ufficio
legislativo del Bundenstag non ci sarebbe bisogno di un nuovo passaggio in
Parlamento. Ma è evidente che la CDU non vuole esporsi in periodo elettorale ad
attacchi che del tipo “il contribuente tedesco è rimasto solo a finanziare gli
sfaticati greci”.
Rimanga quindi il
FMI in Grecia, anche se il suo contributo rimane ancora indefinito. Nel periodo
che va da novembre fino all’Eurogruppo del 20 febbraio, Schauble ha scatenato
un’offensiva potente, prontamente ripresa da buona parte dei media italiani,
rispolverando il dimenticato grexit. Il ministro tedesco puntava su una
campagna elettorale tutta incentrata sulle misure “preventive” che devono
prendere gli “sfaticati greci”, rifiutando però rigorosamente ogni discussione
sul debito.
Per Tsipras, lo
abbiamo ripetuto tante volte, l’alleggerimento del debito rimane il punto
centrale per ogni ipotesi di uscita dalla crisi. Egli però è consapevole che si
tratta di un obiettivo non facile da raggiungere. Il fatto è che il debito
monstre, che attualmente si aggirerebbe sui 321 miliardi, si è creato non in
uno ma in tre successivi indebitamenti ed ogni volta i creditori erano diversi:
titoli pubblici in mano alla BCE (14,7 miliardi) o in mano alle banche centrali
degli stati membri (5,8), prestiti da parte del EFSF (130,9) e poi del ESM
(21,4), dal FMI (14,4) e, la cosa più delicata, ben 52,9 miliardi prestati da
paesi dell’eurozona su base bilaterale.
Già un anno fa
l’Eurogruppo aveva deciso di dividere il debito in tre categorie: a breve, a
media e a lunga scadenza. Nel gennaio scorso i consigli dell’EFSF e dell’ESM
hanno annunciato misure per il debito a breve termine: la trasformazione cioè
in fissi dei tassi di interesse del debito greco da loro detenuto. Secondo il
responsabile del ESM Klaus Regling, grazie a queste misure nel 2060 l’indice
del debito sul PIL sarà diminuito di ben 20 punti. Ma quello che gli europei
volevano sentire da lui era che la misura di “alleggerimento” non avrebbe
comportato alcun tipo di danno nelle loro finanze.
E’ evidente che,
su queste basi, ogni discorso serio sul debito non si può fare nel periodo
preelettorale. Anche Atene, seppure a malavoglia, lo ha compreso. Tanto più
che, nelle intenzioni di Tsipras, l’alleggerimento del debito greco deve avere
una precisa valenza politica che dia un segno di cambiamento in tutta
l’eurozona.
Il problema del
FMI però rimane e diventa sempre più acuto quando incontra il sostegno
interessato dei falchi come Schauble. Alla riunione dell’Eurogruppo del 20 febbraio,
il ministro tedesco delle Finanze è stato finalmente silenzioso e si è riusciti
a raggiungere un compromesso: le misure sarebbero state votate al Parlamento
greco, ma la loro applicazione sarebbe dipesa dalla situazione dell’economia
greca nel 2019. Atene ha anche ottenuto che per ogni misura di risparmio
fiscale si sancisse un’equivalente misura di sviluppo. Non a caso, la riunione
dei ministri delle Finanze dell’eurozona era stata preceduta una telefonata di
Tsipras verso la Merkel con la preghiera di tenere a bada il suo ministro, come
lo stesso premier greco ha rivelato in Parlamento. Pochi giorni più tardi,
l’incontro tra la Merkel e la Lagarde, a sancire la permanenza del Fondo
nell’eurozona.
E così siamo
tornati al punto di partenza. I negoziati intrapresi tra Euclides Tsakalotos e
la ex troika (ora quadriga) ad Atene agli inizi di marzo ben presto si sono
arenati di fronte all’insistenza del FMI di liberalizzare i licenziamenti.
Mentre i rappresentanti delle istituzioni europee hanno adottato un
atteggiamento di non coinvolgimento nel negoziato. Alla fine di febbraio,
commentando i risultati dell’Eurogruppo, buona parte della stampa tedesca
sosteneva che Berlino aveva decretato silenziosamente la fine dell’austerità.
Probabilmente, la cancelliera ha tenuto la notizia per sé, evitando di
informare il resto del mondo.
Dimitri Deliolanes
http://sbilanciamoci.info/grecia-la-maledizione-del-debito/
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