Le relazioni tra
Grecia e Turchia sono sempre state molto complesse. Un’ostilità che è sfociata
in guerre, ufficialmente dichiarate anche fino al 1922, e che nonostante
l’appartenenza di entrambi gli Stati alla Nato, non ha mancato di evolversi in
veri e propri scontri anche di natura armata durante tutto il ventesimo secolo.
In particolare, la crisi di Cipro con l’occupazione da parte turca, ha
rappresentato probabilmente la fase più calda di tutto questo latente
conflitto, tanto da lasciare anche dei morti sul campo e scontri tra forze armate
turche e greche per il controllo dell’isola.
Nel corso dei
decenni successivi, la diplomazia internazionale ha tentato in tutti i modi di
limitare il più possibile il sopravvento di nuove crisi fra i due Paesi.
Nonostante il lavoro svolto in particolare dalla NATO, preoccupata dalla guerra
fra due Stati membri, e poi anche dall’Europa comunitaria, la tensione fra
Ankara ed Atene non ha mai cessato di
persistere. L’ultima in ordine di tempo può essere considerata la crisi di Imia
(per i turchi Kardak). Un isolotto non lontano dalle acque di Bodrum che nel
1996 è stato oggetto di un blitz turco che ha visto morire tre soldati greci e
soprattutto ha rischiato davvero di far esplodere un conflitto tra Grecia e
Turchia su vasta scala.
Ed è proprio
dalla crisi di Imia che si può partire per comprendere l’escalation di tensione
che stanno vivendo in queste settimane i rapporti fra Grecia e Turchia. A fine
gennaio, l’esercito e la marina turca hanno avviato esercitazioni congiunte
intorno all’isola di Imia (Kardak) che hanno suscitato l’ira di Atene. Il
ministro della difesa greco, Panos Kammenos, ha lanciato una corona di fiori
sull’isola per onorare i caduti del ’96 ed ha chiesto al suo omologo turco di
far cessare gli atti di intimidazione provenienti dal suo Paese, fra
esercitazioni in grande stile e voli non autorizzati sul cielo della Grecia.
Secondo il
ministero della difesa ellenico, sono stati documentati ben 138 voli di aerei
turchi in territorio greco, e questo dato è stato rimarcato dal governo di
Tsipras. Per parte turca, le risposte sono state tutt’altro che diplomatiche, e
il ministro degli esteri turco ha affermato di non voler interrompere alcuna
azione dal momento che sono tutti comportamenti legittimi. Dal canto suo, il
ministro della difesa di Grecia ha detto chiaramente che il suo Paese è pronto
a rispondere a qualsiasi provocazione: anche militare.
La disputa
territoriale si va poi ad installare su una tensione fra Grecia e Turchia che
si incardina sull’enorme problema del traffico di clandestini provenienti dalle
coste turche. Atene è preoccupata dallo scontro fra Erdogan e l’Unione Europea
e teme che la minaccia turca di “aprire i rubinetti” dei disperati provenienti
da Siria ed Iraq, possa colpire in maniera spaventosa la già fragile tenuta del
sistema greco. Oltre a questo problema del traffico di migranti, fra Atene e
Ankara è in corso poi da mesi una feroce disputa sugli ufficiali scampati agli
arresti di Erdogan subito dopo il tentato golpe dell’anno scorso. Atene rifiuta
da mesi di estradare otto militari fuggiti ad Alessandropoli.
A questo dato, si
aggiunge la preoccupazione greca per il referendum di metà aprile con cui
Erdogan chiederà al popolo turco l’attribuzione di ulteriori poteri concentrati
nella figura del presidente. I toni utilizzati negli ultimi mesi da Ankara,
l’asprezza con cui Erdogan ha parlato dell’Europa e dei suoi vicini, inducono
il governo greco a non dormire sonni tranquilli avendo a pochi chilometri dalle
proprie isole un Paese in ebollizione. Atene sa che, per vincere il referendum,
Erdogan dovrà avere l’appoggio del partito nazionalista.
E il partito
nazionalista, guidato da Devlet Bahçeli, non ha usato parole di pace nei
confronti della Grecia. Al contrario, proprio Bahçeli ha usato parole
durissime, quasi da dichiarazione di guerra, affermando che la Grecia non solo
dovrebbe ricordarsi la storia, ma che sarebbe stato l’esercito turco a
insegnargliela oltrepassando l’Egeo. Un discorso che ha destato molta
preoccupazione ad Atene che ha chiesto l’intervento anche degli Stati Uniti
nell’ambito della NATO.
E se il
referendum di aprile preoccupa Atene, non è soltanto per l’accentramento di
potere nella mani di Erdogan, ma anche perché lo stesso leader turco ha
affermato che dopo il referendum del 16 aprile, potrebbe essere indetto un
ulteriore referendum, questa volta sui negoziati della Turchia con l’Unione
Europea per l’accesso all’UE. In sostanza, Erdogan vorrebbe chiamare il popolo
a votare la rottura con l’Europa. Il rischio quindi è che Erdogan, reso più
potente dal referendum e fuori dalle regole dell’Europa possa essere una mina
vagante nel cuore del Mediterraneo e rendere l’Egeo un mare di nuovo bollente.
Purtroppo i segnali non inducono all’ottimismo.
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