Quando nel 2010
inorridivo di fronte alle ricette che da parte di UE e FMI già si profilavano
tutt'altro che a rimedio della crisi economica greca, e ne denunciavo
pubblicamente la brutale inefficacia, non avrei immaginato che per gli otto
anni successivi avrei impegnato il gruppo socialista in una delle più dure
battaglie politiche della mia vita.
Di Gianni Pittella, Presidente del gruppo dei Socialisti al Parlamento Europeo
Sarebbe lunga ripercorrerne tutte le tappe. Ma era evidente che le centinaia di miliardi di euro in fondi di emergenza che la Troika, Fondo Monetario, Banca Centrale e Commissione, concedeva alla Grecia abbastanza soldi solo per pagare gli interessi sul proprio debito già esistente e mantenere le banche capitalizzate e richiedeva in cambio misure di austerità draconiane che avrebbero rallentato ulteriormente l'economia greca, riducendo le entrate fiscali necessarie per ripagare il debito e soprattutto generando il collasso di ogni capitale sociale del Paese.
Disoccupazione al
25%, servizi sanitari e ogni iniziativa pubblica allo stremo, le prime tragiche
rivolte esplose per le strade e il sistema politico greco lacerato tra
estremismi come naturale risposta alle umiliazioni patite dal popolo. In quegli
anni, inascoltati, non difendevamo gli eccessi di spesa, nè la finanza creativa
che negli anni di Maastricht avevano caratterizzato le allegre politiche
greche, e a dire il vero più astutamente le scelte francesi e tedesche, ma era
evidente che i fondi di salvataggio servivano soprattutto a ripagare i prestiti
internazionali della Grecia piuttosto che a sostenere la sua economia.
Una sorta di
spirale di non ritorno, ai danni dal popolo greco. Anni prima, un uomo politico
greco mi parlò degli anni della dittatura dei colonnelli, anni in cui la sua
famiglia fu costretta all'esilio. Un giorno il padre lo portò in Italia, al
sud, e di fronte al mare Mediterraneo, gli disse: "Questo è l'odore della
Grecia". Me ne ricordai in quegli anni. Ricordai di essere nato e
cresciuto a pochi chilometri dai templi di Paestum, figlio della Magna Grecia.
Ho sempre pensato
che l'appartenenza al Mediterraneo non fosse solo un dato geografico ma
piuttosto esistenziale. Con la Grecia, condividiamo una civilizzazione che ha
forgiato valori universali: il rispetto della persona umana, la ricerca della
bellezza come ideale di vita, la pace e la solidarietà. Questa koiné ha
generato la costruzione politica più straordinaria dell'umanità: la democrazia.
Era la democrazia ad essere messa in discussione dalla Troika. È la democrazia
la più straordinaria, potente e a un tempo effimera costruzione politica che
dobbiamo alla Grecia. L'idea che l'uomo è rispettato in quanto uomo, decide del
suo destino nella comunità di cui fa parte, non può essere coartato nella sua
libertà di opinione, nella scelta del suo governo, delle norme che regolano il
vivere civile.
Oggi i nostri
sistemi democratici sono attraversati da tensioni profonde. La più importante
riguarda il rapporto fra mercato e sovranità popolare. Si ha spesso
l'impressione di uno svuotamento dei processi decisionali. La sostanza del
potere appare altrove, nei mercati finanziari, in una globalizzazione sempre
più vissuta come un attacco alla sovranità popolare. Il calvario della Grecia
negli ultimi anni ne è la testimonianza. La vicenda greca è apparsa a noi
socialisti così decisiva anche perché ciò che è avvenuto in Grecia è stato il
banco di prova di uno scontro più ampio, fra finanza e democrazia.
E c'è un altro
rischio che oggi viviamo: quello di vivere in democrazie senza democratici. La
democrazia non è una procedura astratta ma si nutre di comportamenti quotidiani
dei cittadini della pòlis. È un costante intreccio di pluralismo, conflitto,
partecipazione e trasparenza. Senza la partecipazione dei cittadini le
democrazie scompaiono.
Per questo
dovremmo ricominciare all'usare il noi invece dell'io. Per questo servono
partiti, sindacati forti, associazioni vivaci. Il ritorno all'autoritarismo è
inoltre più presente che mai. Sulle sponde del Mediterraneo in questi giorni
sta prendendo forma la più pericolosa regressione democratica degli ultimi
decenni. C'è il rischio che la Turchia precipiti in un regime autoritario e
personale.
E questo rischio,
in maniera più sfumata, si presenta anche in altri parti del mondo. La parabola
involutiva degli Stati Uniti conferma nuovamente la fragilità della democrazia.
Questa fragilità va anche però interpretata come una possibilità di riscatto.
Ne discutevo con Tsipras l'altro giorno.
Atene testimonia
perfettamente l'evoluzione del rapporto strettissimo fra declino e rinascita.
Grande capitale nell'antichità, i viaggiatori che si recavano ad Atene ad
inizio 1800 trovavano un villaggio rurale che nulla aveva a che vedere con la
polis classica. Eppure Atene seppe rinascere e diventare di nuovo una grande
città. Dico questo soprattutto alla luce della situazione dell'Unione Europea.
L'Unione è in crisi evidente.
Ma io credo che
si possa ancora non solo salvarla, ma anche farla rinascere. Resto convinto che
l'unico spazio democratico possibile sia quello europeo. Senza Europa non può
esserci democrazia perché la divisione e la frammentazione indeboliscono i
nostri sistemi democratici. Ma è anche vero che senza democrazia non può
esserci Europa. L'Europa torni ad essere quel grande progetto democratico
pensato agli inizi e non una entità confusa e senza anima.
Spesso si compara
il momento attuale agli anni Trenta. Io vedo invece un paragone con gli inizi
del Ventesimo Secolo. In quel frangente, vi era in molti la consapevolezza che
stavano maturando le condizioni per una svolta negativa. Ma nessuno agì. Il
libro di Christopher Clarke, "I sonnanbuli", descrive perfettamente
il clima di quel passaggio storico. Questa volta non saremo inerti. Non saremo
sonnambuli ma sentinelle.
Dal cuore della
democrazia, da Atene, può e deve partire la riscossa per salvare e rafforzare
la democrazia europea.
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