Τετάρτη 22 Μαρτίου 2017

Dalla crisi greca a Roma, se l'Europa va oltre ai suoi errori

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Quando nel 2010 inorridivo di fronte alle ricette che da parte di UE e FMI già si profilavano tutt'altro che a rimedio della crisi economica greca, e ne denunciavo pubblicamente la brutale inefficacia, non avrei immaginato che per gli otto anni successivi avrei impegnato il gruppo socialista in una delle più dure battaglie politiche della mia vita.

Di Gianni Pittella, Presidente del gruppo dei Socialisti al Parlamento Europeo

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Sarebbe lunga ripercorrerne tutte le tappe. Ma era evidente che le centinaia di miliardi di euro in fondi di emergenza che la Troika, Fondo Monetario, Banca Centrale e Commissione, concedeva alla Grecia abbastanza soldi solo per pagare gli interessi sul proprio debito già esistente e mantenere le banche capitalizzate e richiedeva in cambio misure di austerità draconiane che avrebbero rallentato ulteriormente l'economia greca, riducendo le entrate fiscali necessarie per ripagare il debito e soprattutto generando il collasso di ogni capitale sociale del Paese.

Disoccupazione al 25%, servizi sanitari e ogni iniziativa pubblica allo stremo, le prime tragiche rivolte esplose per le strade e il sistema politico greco lacerato tra estremismi come naturale risposta alle umiliazioni patite dal popolo. In quegli anni, inascoltati, non difendevamo gli eccessi di spesa, nè la finanza creativa che negli anni di Maastricht avevano caratterizzato le allegre politiche greche, e a dire il vero più astutamente le scelte francesi e tedesche, ma era evidente che i fondi di salvataggio servivano soprattutto a ripagare i prestiti internazionali della Grecia piuttosto che a sostenere la sua economia.

Una sorta di spirale di non ritorno, ai danni dal popolo greco. Anni prima, un uomo politico greco mi parlò degli anni della dittatura dei colonnelli, anni in cui la sua famiglia fu costretta all'esilio. Un giorno il padre lo portò in Italia, al sud, e di fronte al mare Mediterraneo, gli disse: "Questo è l'odore della Grecia". Me ne ricordai in quegli anni. Ricordai di essere nato e cresciuto a pochi chilometri dai templi di Paestum, figlio della Magna Grecia.

Ho sempre pensato che l'appartenenza al Mediterraneo non fosse solo un dato geografico ma piuttosto esistenziale. Con la Grecia, condividiamo una civilizzazione che ha forgiato valori universali: il rispetto della persona umana, la ricerca della bellezza come ideale di vita, la pace e la solidarietà. Questa koiné ha generato la costruzione politica più straordinaria dell'umanità: la democrazia. Era la democrazia ad essere messa in discussione dalla Troika. È la democrazia la più straordinaria, potente e a un tempo effimera costruzione politica che dobbiamo alla Grecia. L'idea che l'uomo è rispettato in quanto uomo, decide del suo destino nella comunità di cui fa parte, non può essere coartato nella sua libertà di opinione, nella scelta del suo governo, delle norme che regolano il vivere civile.

Oggi i nostri sistemi democratici sono attraversati da tensioni profonde. La più importante riguarda il rapporto fra mercato e sovranità popolare. Si ha spesso l'impressione di uno svuotamento dei processi decisionali. La sostanza del potere appare altrove, nei mercati finanziari, in una globalizzazione sempre più vissuta come un attacco alla sovranità popolare. Il calvario della Grecia negli ultimi anni ne è la testimonianza. La vicenda greca è apparsa a noi socialisti così decisiva anche perché ciò che è avvenuto in Grecia è stato il banco di prova di uno scontro più ampio, fra finanza e democrazia.

E c'è un altro rischio che oggi viviamo: quello di vivere in democrazie senza democratici. La democrazia non è una procedura astratta ma si nutre di comportamenti quotidiani dei cittadini della pòlis. È un costante intreccio di pluralismo, conflitto, partecipazione e trasparenza. Senza la partecipazione dei cittadini le democrazie scompaiono.

Per questo dovremmo ricominciare all'usare il noi invece dell'io. Per questo servono partiti, sindacati forti, associazioni vivaci. Il ritorno all'autoritarismo è inoltre più presente che mai. Sulle sponde del Mediterraneo in questi giorni sta prendendo forma la più pericolosa regressione democratica degli ultimi decenni. C'è il rischio che la Turchia precipiti in un regime autoritario e personale.

E questo rischio, in maniera più sfumata, si presenta anche in altri parti del mondo. La parabola involutiva degli Stati Uniti conferma nuovamente la fragilità della democrazia. Questa fragilità va anche però interpretata come una possibilità di riscatto. Ne discutevo con Tsipras l'altro giorno.

Atene testimonia perfettamente l'evoluzione del rapporto strettissimo fra declino e rinascita. Grande capitale nell'antichità, i viaggiatori che si recavano ad Atene ad inizio 1800 trovavano un villaggio rurale che nulla aveva a che vedere con la polis classica. Eppure Atene seppe rinascere e diventare di nuovo una grande città. Dico questo soprattutto alla luce della situazione dell'Unione Europea. L'Unione è in crisi evidente.

Ma io credo che si possa ancora non solo salvarla, ma anche farla rinascere. Resto convinto che l'unico spazio democratico possibile sia quello europeo. Senza Europa non può esserci democrazia perché la divisione e la frammentazione indeboliscono i nostri sistemi democratici. Ma è anche vero che senza democrazia non può esserci Europa. L'Europa torni ad essere quel grande progetto democratico pensato agli inizi e non una entità confusa e senza anima.

Spesso si compara il momento attuale agli anni Trenta. Io vedo invece un paragone con gli inizi del Ventesimo Secolo. In quel frangente, vi era in molti la consapevolezza che stavano maturando le condizioni per una svolta negativa. Ma nessuno agì. Il libro di Christopher Clarke, "I sonnanbuli", descrive perfettamente il clima di quel passaggio storico. Questa volta non saremo inerti. Non saremo sonnambuli ma sentinelle.

Dal cuore della democrazia, da Atene, può e deve partire la riscossa per salvare e rafforzare la democrazia europea.



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