Dario
Antiseri illustra le radici di un'identità comune. Che secoli (e cronaca) non
hanno scalfito.
Dario Antiseri, 01/03/2018
«L'Europa
esiste. Abbiamo tutti il sentimento che esista, e questo sentimento è molto
forte. A che cosa corrisponde, perché deve necessariamente corrispondere a
qualcosa? In altre parole, in cosa consistono i caratteri comuni, l'essenza
della civiltà europea, l'unità dell'Europa?» Questo si chiedeva Louis Gonzague
de Reynold nel 1934 in L'Europe tragique.
Senza alcun
dubbio, fa subito presente de Reynold, «il carattere più appariscente e più
costante (dell'Europa) è il contrasto, l'opposizione, la diversità, la
complessità. Ecco il fondamento dell'unità Europea» - un fondamento che si
alimenta del messaggio cristiano. L'Europa - dice de Reynold - deve, infatti,
al Cristianesimo «il senso della spiritualità» e, insieme, «il bisogno di
agire, il bisogno di creare (...) L'Europa è intelligenza e volontà: quando si
è impadronita di una verità, la fa subito lavorare e agire. Questa nozione
della fede attiva, laboriosa, è ancora al cristianesimo che la deve». E poi è
proprio in base al messaggio cristiano che «l'Europa è capace di concepire
l'unità della specie umana». E «da ciò deriva che la sua capacità di assorbire
e di assimilare le forme di cultura, di pensiero, di vita, più estranee al
proprio genio». E se questa è l'Europa, si fa allora chiaro che «la decadenza
dell'Europa è la conseguenza di quella dello spirito cristiano. In teoria come
nella pratica, l'unità dell'Europa non si ricostituirà, la decadenza
dell'Europa non sarà arrestata che nella misura in cui le nazioni europee
sapranno ritornare al cristianesimo, e al cristianesimo integrale, poiché ci si
salva solo attraverso un ritorno al principio stesso della propria vita». Il
male dell'Europa, conclude de Reynold, è «un male spirituale».
Che
l'allontanarsi degli Europei dalle idealità cristiane significherebbe la fine
dell'Europa è una idea ribadita con forza da Thomas Stearns Eliot (...) nei
suoi Appunti per una definizione della cultura: «Non m'interesso molto della
comunione dei cristiani credenti ai nostri giorni; parlo della comune
tradizione cristiana che ha fatto l'Europa quella che è, e dei comuni elementi
culturali che questa cristianità ha portato seco. Se l'Asia venisse domani
convertita al Cristianesimo, non per questo diverrebbe parte dell'Europa. Nella
Cristianità le arti si sono sviluppate. In essa le leggi dell'Europa - fino ai
tempi recenti - hanno avuto le loro radici. È su di uno sfondo cristiano che
tutto il nostro pensiero acquista significato. Un singolo europeo può non
credere che la Fede Cristiana sia vera, e tuttavia tutto ciò che egli dice, e
fa, scaturirà dalla parte di cultura cristiana di cui è erede, e da quella
trarrà significato». Eliot è chiaro: se il Cristianesimo se ne va, è l'Europa
che scompare. «Dobbiamo molte cose alla nostra eredità cristiana, oltre alla
fede religiosa. Attraverso di essa ripercorriamo l'evoluzione delle nostre
arti, attraverso di essa ci è giunta la nostra concezione della legge romana
che tanto ha fatto per dar forma al mondo occidentale, e le nostre concezioni
della moralità pubblica e privata, ed i nostri comuni modelli letterari, nella
cultura della Grecia e di Roma. Il mondo occidentale ha la sua unità in questa
eredità, nel Cristianesimo e nelle antiche civiltà della Grecia, di Roma e
d'Israele, alle quali, attraverso duemila anni di Cristianesimo, noi
riconduciamo la nostra origine». In breve, conclude Eliot, «quel che desidero
dire è che questa unità negli elementi comuni della cultura è da molti secoli
il vero legame tra di noi. Nessuna organizzazione politica ed economica, quale
che sia la buona volontà che essa voglia imporre, può supplire a quanto deriva
da questa unità culturale. Se noi disperdiamo o gettiamo via il nostro comune
patrimonio, allora tutte le organizzazioni ed i progetti delle menti più
ingegnose non ci governano, né contribuiranno ad unirci». Questi pensieri di
Eliot risalgono al 1948. Allora, la sua paura era che «nel nostro mondo, che ha
visto tanta devastazione materiale, anche questo patrimonio spirituale è in
imminente pericolo». I decenni successivi gli hanno dato e gli stanno dando,
purtroppo, ragione.
Più di un
secolo prima di de Reynold e di Eliot, è stato un pensatore russo, e cioè Pëtr
J. Caadaev, a vedere l'indissolubile unione tra Europa e Cristianesimo. Ed ecco
quanto egli sull'argomento afferma nelle sue Lettere filosofiche del 1829: «I
popoli dell'Europa hanno una fisionomia comune, un'aria di famiglia. Malgrado
la divisione generale di questi popoli in stirpi latina e teutonica, in
meridionali e settentrionali, esiste un legame che li unifica tutti in un solo
fascio, ben visibile a chiunque abbia approfondito la loro storia. Lei sa che
non è trascorso molto tempo da quando l'Europa si chiamava Cristianità e che
questa parola aveva il suo posto nel diritto pubblico. Oltre a questo carattere
generale, ognuno dei suoi popoli ha un carattere particolare; ma tutto ciò
deriva dalla storia e dalla tradizione, che costituiscono l'ereditario
patrimonio ideale di questi popoli. Ogni individuo ne gode l'usufrutto e, senza
fatica e senza travaglio, accoglie nella sua vita e mette a profitto queste
nozioni presenti nella società. Faccia lei stessa il confronto e mi dica quali
idee elementari noi possiamo raccogliere e scambiarci servendocene, nel bene e
nel male, per dirigere le nostre vite? Sono le idee di dovere, di giustizia, di
diritto, di ordine; derivano dagli stessi avvenimenti che hanno costituito la
società e sono elementi integranti del mondo sociale di questi paesi. È questa
l'atmosfera dell'Occidente; è più che storia, più che psicologia, è la
fisiologia dell'uomo europeo».
http://www.ilgiornale.it/news/cultura/grecia-e-cristianesimo-sono-i-genitori-delleuropa-1499771.html
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