SOVERATO
(CZ) 27 MARZO - L’Università delle Generazioni invita a leggere e considerare
il quesito posto qui di sèguito (nella lettera alla docente universitaria
Michela Nocita) dal filosofo di Soverato, Salvatore Mongiardo
(www.salvatoremongiardo.com) che è anche scolarca della Nuova Scuola Pitagorica
di Crotone.
Come erano
il territorio e la popolazione dell’attuale Calabria (la terra che era
denominata già “Italia” per suo saggio re Italo ben 16 generazioni prima della
guerra di Troia, cioè attorno al 1500 a.C.) prima dello sbarco e della
“conquista” dei colori greci … vale a dire prima dell’ottavo secolo avanti
Cristo?...
Anni fa ha
cercato di immaginarlo il prof. Felice Càmpora di Amantea (CS) con il suo
romanzo “Italo”. Tuttavia, gli storici nostri contemporanei sono alquanto
restii ad occuparsi seriamente di un periodo che Aristotele e altri antichi
“intellettuali” hanno descritto come Terra dalle grandi risorse e da una
sublime civiltà.
L’Università
delle Generazioni invita, perciò, tutti i lettori della seguente lettera
“Questione Italia” a dare un riscontro che sarà comunque gradito al dottore
Salvatore Mongiardo, utilizzando l’indirizzo mail mongiardosalvatore@gmail.com
o questo numero di telefono mobile 349-7820212. Grazie!
Questione
Italia
Cara
Professoressa Nocita,
ho appena
finito il suo libro “I fondatori delle colonie” , che lei ha avuto la
gentilezza di regalarmi, e che ho letto con la massima attenzione. Sono stupito
per la ricchezza di notizie, la profondità dell'analisi, l'acume nel districare
le complesse vicende della Magna Grecia, e mi congratulo con lei e il coautore
Lorenzo Braccesi. L'averla conosciuta è stata una fortuna ma anche un'occasione
troppo ghiotta per lasciarmela sfuggire: io penso che lei potrebbe aiutarmi nel
districare quella che io chiamo la “Questione Italia”. Tenga presente che io
non sono uno storico di professione, anche se qualcosa so per formazione,
passione e dovere professionale da quando ho assunto la carica di Scolarca
della Nuova Scuola Pitagorica. E, forse proprio perché non sono storico, mi
salta agli occhi una lacuna che nessun libro - tra quelli che ho consultato
finora - ha colmato. Ed è questa.
Sappiamo che
i greci che dalla madrepatria venivano da noi a fondare le colonie erano tutti
maschi, i quali procreavano unendosi ovviamente con donne del posto. Quelle
donne, però, non erano persone primitive senza cultura o civiltà: erano
italiche della Prima Italia con una cultura eticamente più avanzata rispetto a
quella dei greci.
Gli storici
confermano che da quell'unione nacquero gli italioti, figli di greci e donne
italiche, le quali naturalmente ebbero grande influenza sui loro figli
italioti: pensare che una madre non abbia influenza sui figli è una ingenuità.
In mezzo a quella popolazione italiota arrivò Pitagora che, già venuto col
padre da bambino a Crotone, vi tornò da adulto intorno al 532 a. C., e vi
fondò la sua Scuola.
Ora, io ho
potuto costatare che i pilastri etici della dottrina pitagorica erano tutti già
presenti nella Prima Italia, quella nata tra Lamezia e Squillace, che poi si
espanse a nord e a sud da mare a mare, Jonio e Tirreno. Quei cinque principi
sono: 1.libertà, 2.amicizia, 3.comunità di vita e di beni, 4.dignità della
donna e 5.vegetarismo.
Questo in
sostanza conferma Aristotele quando nella sua Politica (libro 7, capitolo 8)
tratteggia l'Italia fondata da Italo sui sissizi, i banchetti comunitari,
l'amicizia, l'abbandono dell'allevamento animale, la conversione verso
l'agricoltura e il vegetarismo ecc.
L'identità
di quei cinque principi, comuni agli Itali e a Pitagora, non può essere un
caso. La spiegazione più semplice potrebbe essere che Pitagora rimase
favorevolmente colpito da quello stile di vita che aveva visto da bambino. E,
da adulto, volle tornare fra quella gente che lo praticava. Egli poi lo elaborò
filosoficamente e lo elevò a modello etico universale, come fece con il “Bue di
Pane”, che gli Itali infornavano col primo grano raccolto per ringraziare il
bue aratore. Egli l'offrì agli Dei in ringraziamento della scoperta del suo
teorema, e ne fece il simbolo della fine della violenza rifiutandosi di
uccidere l'animale.
Questa mia
ipotesi spiegherebbe anche l'accoglienza trionfale che le donne di Crotone
riservarono a Pitagora dopo che egli parlò loro al suo arrivo. Porfirio scrive
che le donne decisero di vivere in comunità fondando un'associazione per lui.
Le donne di Crotone, cioè, avevano ascoltato un filosofo greco che le esortava
a vivere alla maniera della loro gente italica, le esortava a tornare cioè al
costume antico di prima dell'arrivo dei greci. Come mai le donne di Crotone
potevano concepire e praticare una tale libertà, se non perché le italiche
erano libere, contrariamente alle donne greche chiuse nei ginecei? Esistono
tracce di ginecei nella Magna Grecia? Non dovrebbero essercene, almeno nelle
zone italiche …
Il comune
amico dr. Domenico Lanciano di Badolato (CZ) e il prof. Remo Nicola de Ciocchis
di Agnone (IS) mi avevano segnalato lo splendido volume “Da Italìa a Italia, le
radici di una identità”, edito a Taranto nel 2011 dall'Istituto per la storia e
l'archeologia della Magna Grecia. L'ho letto con religioso puntiglio perché
esso sfiora più volte la “Questione Italia”, ma non scende nella parte etica,
che è quella che io vado indagando. Mi riferisco soprattutto agli scritti
magistrali dei Professori Paolo Poccetti e Alfonso Mele, quest'ultimo quello
che più si avvicina alla mia tematica. In estrema sintesi, riassumo così.
La
particolarità del mondo etico italico era già nota ad Aristotele che diede il
nome di “Scuola Italica” ai filosofi magnogreci, Pitagora in primis. Aristotele
voleva rimarcare la peculiarità della filosofia diffusa da Crotone come
fortemente collegata al mondo originario italico, non a quello italiota.
L'altra scuola era ovviamente la Scuola Jonica dell'Asia Minore. Aristotele
aveva dunque ben chiaro in mente che la Scuola Italica aveva contenuti ben diversi
da quella Jonica.
Il Mele
afferma acutamente che il propulsore dell'espansione del nome Italia, che sotto
Augusto arrivò dall'attuale Calabria fino alle Alpi, fu proprio il pitagorismo.
E cita la fondazione di Italica (l'attuale Siviglia in Spagna) nel 206 a.C. ad
opera di Scipione l'Africano.
Quell'episodio
prova giustamente l'alta considerazione che l'Italia evocava tanto che tutti
volevano essere italici, anche se poi non osservavano i valori
italico-pitagorici. Difatti facevano guerre di conquista, praticavano la
schiavitù, ignoravano la comunità di vita e di beni, dei quali per esempio la
plebe romana era priva, ecc.
Altra
testimonianza chiara dell'apprezzamento dell'etica italico-pitagorica fu la
statua che Roma eresse nel Foro a Pitagora come al più sapiente tra gli uomini.
Lo ammiravano, ma poi non seguivano i suoi principi. Un atteggiamento bene
espresso da Ovidio nel motto: Vedo le cose buone, le approvo e seguo le cattive
…
Il problema
che io pongo è essenzialmente di ordine etico-filosofico: esiste o no un
sistema di valori capace di aiutare le persone a vivere meglio sempre e in ogni
luogo? E se sì, qual è? Diciamo pure che io vorrei andare oltre l'archeologia
di colonne e statue, fossero anche i Bronzi di Riace, per fare archeologia
dell'etica, cioè scavare per trovare le regole d'oro della buona vita, il che
sarebbe la scoperta più importante di tutti i tempi. Regole che a me sembrano
comunque indispensabili per armonizzare il nostro mondo in preda al caos.
Quelle
regole dovrebbero essere i cinque principi pitagorici, verificati ormai da
venticinque secoli di storia conosciuta, sempre validi perché eterni, come
Pitagora prospettò dando loro la forza di regole matematiche. Ecco perché
sarebbe importante una indagine a tutto campo della terra di nascita di quelle
regole, l'Italia, la grande sconosciuta.
Nel nostro
incontro le ho dato il mio libro Cristo ritorna da Crotone, nel quale sviluppo
il tema dell'identità della dottrina etica di Cristo con quella
italico-pitagorica. Se questo è vero -e personalmente non ho dubbi - vuol dire
che nella Prima Italia si era formata un'etica capita e diffusa da Pitagora e
seguaci. Quella stessa etica si diffuse per cinque secoli in tutto l'impero di
Roma, a oriente come a occidente, e arrivò a Cristo tramite gli Esseni e i
Terapeuti, i quali erano i pitagorici ebrei di Israele e Alessandria d'Egitto:
su questo abbiamo conferma inequivocabile nelle opere di Giuseppe Flavio e
Filone Alessandrino, importanti dotti ebrei. La predicazione di Cristo quindi
fu preceduta e favorita dall'opera dei pitagorici sicuramente attivi, anche se
non sempre molto visibili, in tutto l'impero romano.
Quel
modello, che potremmo chiamare italico-pitagorico e protocristiano - non quindi
cristiano come le Chiese e le teologie che storicamente lo abbandonarono - è
oggi schiacciato da nord dal modello competitivo anglosassone, basato sul
successo e il profitto. E da sud dal modello mediorientale, connotato da uno
stile di vita essenzialmente guerriero e maschilista, che cerca il predominio
con le armi e l'assoggettamento dei vinti. La prova evidente è il dissidio
insanabile tra israeliani e arabi che vogliono prevalere gli uni sugli altri.
Riformulo
dunque le mie domande, sempre con gli occhi rivolti alle antiche radici
italiche:
1. Cosa sappiamo dei popoli che vissero nella
Prima Italia, ancora prima dell'arrivo dei greci?
2. Chi erano gli Itali antropologicamente?
3. Come e dove esattamente vivevano, avevano
città?
4. Avevano templi, quali Dei adoravano, come
immaginavano l'oltretomba?
5. Come mai vivevano liberi in un mondo
dominato dalla schiavitù?
6. La proibizione della schiavitù a Locri, già
nel sesto secolo a. C., non deriva dalla civiltà italica delle popolazioni
preesistenti alla colonia locrese?
7. Da dove deriva la conoscenza di Timeo,
filosofo di Locri e quindi italico, riportata da Platone nel suo omonimo
Dialogo, che parla dell'unità di tempo e spazio negli stessi termini elaborati
solo millenni dopo da Einstein? Afferma difatti Timeo: Il tempo fu prodotto
insieme con il cielo affinché, così come erano nati insieme, si dissolvessero
anche insieme, se mai dovesse avvenire una loro dissoluzione.
8. In che misura il vino degli Enotri,
progenitori degli Itali, e il pane, di cui gli Itali si nutrivano, ha
influenzato la formazione della loro etica?
9. Il clima favorevole e lo scambio termico
tra i golfi di Lamezia e Squillace, e la conseguente fruttificazione tutto
l'anno, hanno contribuito a creare una popolazione non aggressiva e amichevole?
10. La facilità di avere frutti in ogni stagione,
può essere stata alla base della comunità di vita e di beni?
Mi rendo
conto che queste domande non solo vanno oltre l'archeologia delle pietre, ma
raccontano quest'altrastoria.
C'era una
piccola terra chiamata Italia, ricca di acque, neve, boschi e vegetazione. Il
vento di ponente, lo zefiro, soffiando da Lamezia a Squillace, effettuava lo
scambio termico mitigando il calore dello scirocco. La conformazione delle
alture, che da poca distanza dal mare s'innalzano fino a montagne di mille
metri, permettevano una varietà di coltivazioni agricole che offrivano una
varietà di frutti e grano abbondante come alimento base. Nell'estate c'era
ombra per ripararsi e gli inverni non erano così rigidi da uccidere. Quella
popolazione abbandonò l'allevamento animale per dedicarsi più convenientemente
all'agricoltura. La cultura pastorale del dominio sull'animale e dell'uccisione
dello stesso per nutrirsene, uscì dalla loro testa. La vita e i beni in comune
furono il corollario di un'attività di produzione agricola che si faceva sempre
insieme per le semine, la cura dei campi e il raccolto. Era gente libera,
amichevole, non competitiva, che ignorava la guerra e la conquista.
Era la
mitica ”Età dell'Oro”, che si ritiene un'epoca leggendaria, ma che una ricerca
approfondita potrebbe dimostrare altro non essere che la Prima Italia.
L'Età
dell'Oro fu scritta da Esiodo intorno al 700 a. C., all'incirca lo stesso
periodo di composizione dei poemi omerici. Il poderoso studio del Professor
Armin Wolf, uscito sotto il titolo di “Ulisse in Italia”, 2018, dimostra di là
di ogni dubbio che Scheria, la terra, non l'isola, dei Feaci dell'Odissea,
corrisponde all'istmo tra Lamezia e Squillace, cioè alla Prima Italia.
Quindi, non
solo l'occidente romano apprezzava e capiva la dignità e il valore del mondo
italico, ma anche l'antica Grecia percepiva un'epoca felice in una terra tanto
generosa da denominarla ”Aurea Aetas”.
Difatti
Esiodo, nella sua opera “Le opere e i giorni”, parla dell'Età dell'Oro (versi
116-119, traduzione di E. Romagnoli) affermando l'abbondanza dei frutti e la
comunità di vita e di beni con queste parole:
E ogni sorta
di beni
era fra
loro: la terra datrice di spelta (grano), i suoi frutti,
da sé, facili
e in copia, porgeva; e benevoli e miti,
l’opere
tutte fra sé ripartivano e i beni opulenti.
Nell'Odissea
(libro 7, versi 152-161, traduzione di I. Pindemonte), leggiamo che le ancelle
macinavano il biondo grano mentre nell'orto di Alcinoo:
Alte vi
crescon verdeggianti piante,
Il pero, e
il melagrano, e di vermigli
Pomi carico
il melo, e col soave
Fico
nettareo la canuta oliva.
Né il frutto
qui, regni la state, o il verno,
Pere, o non
esce fuor: quando sì dolce
D’ogni
stagione un zeffiretto spira,
Che mentre
spunta l’un, l’altro matura.
Sovra la
pera giovane, e su l’uva
L’uva, e la
pera invecchia, e i pomi, e i fichi
Presso ai
fichi, ed ai pomi.
Dopo
Pitagora, più di sedici invasioni straniere per venticinque secoli distrussero
quel mondo, ma le sue radici, protette dalle rovine della decadenza, oggi
rispuntano e ricomincia un nuovo ciclo.
Difatti,
quella terra benefica e nutrice tutto l'anno, descritta da Omero ed Esiodo,
ricondusse cinquant'anni fa Ancel Keys dall'America a Nicotera, in Calabria,
dove egli ritrovò il modello originario della Dieta Mediterranea, riconosciuta
dall’Unesco patrimonio immateriale dell’umanità. Oggi sappiamo che il regime
alimentare di origine italica è il migliore al mondo.
In sostanza
a me sembra che la scoperta dell'Italia Etica, figlia di mari calmi, campagne
ricche, vegetazioni floride, climi temperati, orizzonti sereni, insomma frutto
metafisico di una terra fisicamente dolce e attrattiva, possa essere di
fondamentale importanza per riequilibrare il nostro mondo competitivo,
guerriero, ostile, e alla fine insopportabile e invivibile.
Ogni
contributo o suggerimento sarebbe da me molto apprezzato, soprattutto riguardo
al materiale già esistente e all'indicazione di specialisti della materia.
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