Dopo il
successo de "La lingua geniale", Andrea Marcolongo parla con ilLibraio.it
del suo nuovo libro, "La misura eroica. Il mito degli Argonauti e il
coraggio che spinge gli uomini ad amare". La scrittrice torna a esplorare
la tradizione della Grecia classica perché, come ci spiega, "non riesco a
pensare al presente se non attraverso la lezione degli antichi".
Elena Asquini | 18.03.2018
Il suo
nuovo libro si avventura con gli Argonauti alla scoperta del significato
dell'eroismo: "La misura eroica era data dall’esperienza di superare se
stessi, non dal risultato. Fallire non contava: eroe non era chi vinceva, ma
chi ci aveva anche solo provato" - L'intervista, in cui si parla anche del
rapporto della scrittrice con la città di Sarajevo, con i lettori più giovani e
di Europa Dopo il successo de La lingua geniale (Laterza), tradotto in 21
paesi, il nuovo libro di Andrea Marcolongo (nella foto di Paolo Colaiocco,
ndr), La misura eroica. Il mito degli Argonauti e il coraggio che spinge gli
uomini ad amare (Mondadori), esplora la tradizione classica della Grecia
antica, attraverso una delle sue opere più celebri: Le Argonautiche di
Apollonio Rodio.
La
scrittrice italiana, trentunenne, si imbarca insieme a Giasone a bordo della
prima nave costruita dall’umanità, per salpare con gli Argonauti alla volta
della Colchide, un viaggio che la mitologia ricorda come il primo compiuto
dall’uomo sul mare. Un viaggio che, per Giasone, ma anche per il lettore,
diventa un romanzo di formazione antico, che propone come strumenti di crescita
essenziali il cammino e l’amore, capaci di trasformare il ragazzo che ha
lasciato l’Ellade nell’uomo che vi farà ritorno, un eroe. Ma la vera essenza di
quell’eroismo non sta nelle imprese compiute dagli Argonauti al di là del mare:
“La misura eroica era data dall’esperienza di superare se stessi, non dal
risultato. Fallire non contava: eroe non era chi vinceva, ma chi ci aveva anche
solo provato”, scrive l’autrice, fornendo la chiave di lettura di un libro che
si rivolge al presente tanto quanto al passato. L’eroismo non si misura nel
coraggio dimostrato dagli Argonauti oltremare, ma nella semplice scelta di,
almeno provarci: nel momento stesso in cui sono partiti si sono dimostrati
eroici.
Andrea Marcolongo, lei vive
a Sarajevo e l’esergo del suo libro recita: “A Sarajevo, che non ha mare, ma sa
essere per me sempre porto”. Qual è il suo rapporto con la città?
“Nel mio
libro La Misura Eroica, che è nato a Sarajevo nello spazio compreso tra
l’inverno e l’autunno 2017, parlo a lungo del mio legame con questa città. A
Sarajevo scrivo. A Sarajevo non abito ma vivo, nella profonda differenza di
senso che intercorre tra questi due verbi. In generale, in Bosnia Erzegovina
sono felice, ho trovato la mia misura, quella dei sorrisi buoni, dell’assenza
di rabbia e della presenza di una comunità che tanto mi mancava in Italia,
avendo perso la mia famiglia da ragazza e dove mi sono spesso sentita
sola”.
Cosa le piace di più della città?
“Una mattina
ero al parco quando la mia attenzione è stata attirata da un’impresa edile cui
era stato affidato il compito di rinnovare un palazzo. Non era con una manciata
di stucco e una pennellata di intonaco che gli operai riportavano quelle mura
ferite dai proiettili all’originale pienezza di mattoni, bensì con un gran
sforzo di calce da applicare con minuzia e sudore in ogni singolo foro. È stato
per me, ignara di ogni edilizia ma consapevole del dolore, come assistere a
tutto l’amore che ci vuole per riparare un cuore ferito”.
Nell’ultimo anno ha
viaggiato molto, visto il successo all’estero del suo libro: come guarda
all’Italia di oggi, e ai suoi giovani, che ha avuto modo di incontrare spesso
per parlare loro de La lingua geniale?
“Da sempre,
fin da quando ho iniziato a scrivere, ringrazio i miei lettori, che sono la mia
forza, la mia fiducia. Soprattutto i ragazzi. Se, grazie al primo libro, ho
incontrato circa 300mila studenti di tutta Italia, con la Misura Eroica riparto
ancora dalle scuole, con un tour che mi porterà da Aosta a Palermo. Ed è una
mia precisa scelta, perché credo che il compito della letteratura non sia
quello di dare risposte, ma di suscitare domande. In fondo, questo mio nuovo
libro nasce proprio dalle domande che quelli che ormai chiamo ‘i miei ragazzi’
mi hanno posto, non solo in Italia, ma fino all’ultimo villaggio del Perù o
alla Sorbona, dove mi hanno portato le 21 edizioni estere. La Misura Eroica è
proprio dedicato a loro, perché racconta una storia di formazione, di ricerca
di se stessi e di felicità che resta costante in qualunque stagione della vita.
Perché ‘maturo’, dal latino, non significa affatto superare un esame, ma
sapersi mettere a frutto sempre, in ogni stagione della vita”.
Cosa rappresenta
per lei l’Europa?
“Una grande
opportunità, e allo stesso tempo una grande confusione. Ora che risiedo
geograficamente fuori dall’Unione Europea, ma vivo in Europa, leggo solo
speranza negli occhi delle persone che incontro, quasi mai quel rancore tanto
urlato in televisione o sui giornali. Avrebbe però bisogno di un volto, questa
nostra Europa, per non essere confusa con una moneta nel portafoglio. Da
scrittrice, ritengo che il primo modo sia quello di ripensare a una coscienza
europea attraverso la cultura, attraverso un’estetica, il riconoscimento della
bellezza del nostro mondo di valori e di pensieri, che sappia diventare etica
per tutti gli uomini e le donne che la abitano”.
La misura eroica vuole essere
una lezione per l’uomo moderno attraverso gli insegnamenti degli antichi?
“Da sempre
non so scrivere di ciò che non amo. E da sempre non riesco a pensare al
presente se non attraverso la lezione degli antichi, questo è il mio modo di
raccontare e la misura del mio nuovo libro. Del resto, i Greci dicevano che il
futuro arriva alle nostre spalle, non viceversa: lo credo anch’io, soprattutto
se guardo questo momento storico così confuso, smarrito e angosciato dal
futuro. Talvolta, infelice”.
Come è nata l’idea di questo libro?
“La Misura
Eroica è molto di più del mio primo libro: non parla di lingua greca o di mondo
classico, utilizza però l’antico come fil rouge per dire di noi, oggi. Ci sono
tre piani narrativi diversi, il mito degli Argonauti e di Giasone e Medea, il
tema del viaggio come metafora del superamento della linea d’ombra che ognuno
di noi si trova di fronte e poi ci sono io, nel racconto autobiografico del mio
passaggio da ragazza a donna. Insieme, le tre voci del libro si intrecciano per
non diventare mai lezione, bensì festa, inno alla bellezza e all’amore”.
Il viaggio,
soprattutto quello per mare, è un tema fondamentale del suo libro e lei stessa
ha viaggiato molto. Cosa significa per lei viaggiare?
“Tutti noi
siamo in viaggio, sempre – non in lunghezza ma in profondità, dentro di noi.
Viaggiare, che nel mio libro racconto con la metafora del mare, è soprattutto
conoscersi e riconoscersi, misurandosi con il diverso che è già nella nostra
anima. Con i nostri desideri, le nostre paure, i nostri sogni, chi amiamo e chi
non ci ama più: è da questo confronto, che non può mai essere muto riconoscersi
come allo specchio, che nasce poi la voglia di salpare verso chi siamo
realmente. Nel suo Libro dell’Inquietudine Ferdinando Pessoa annotava che ‘in
questo mondo, viviamo tutti a bordo di una nave salpata da un porto che non conosciamo,
diretta a un porto che ignoriamo; dobbiamo avere per gli altri una amabilità da
viaggio’. Spesso dimentichiamo che, nel viaggio della vita, che ci incanta per
la bellezza del panorama e ci spaventa per l’arrivo di tempeste impreviste, non
siamo soli. Siamo tutti esseri umani alla ricerca di noi e dunque dell’altro,
dell’amore”.
L’amore e il viaggio nel suo libro sono temi fondamentali per
stimolare il coraggio umano, per capire la “misura eroica”: sono due tipi di
coraggio e di eroismo diversi? Cosa li divide e cosa li accomuna?
“Se il
viaggio è metafora della scoperta di sé, l’amore è certezza. Per citare il
regista Guillermo del Toro al Festival del Cinema di Venezia del 2017, ‘i
Beatles e Gesù non possono essersi sbagliati entrambi riguardo all’amore’.
Figuriamoci gli antichi Greci, mi permetto di aggiungere. Non esiste un uomo
così codardo che l’amore non sappia trasformare in un eroe: questa è la mia
Misura Eroica, la riscoperta di noi stessi, di quanto siamo in grado di fare
(anche quando tutti ci dicono che è impossibile), di quanto sappiamo metterci
in gioco per raggiungere la meta, che non è mai arrivo, ma sempre punto di
svolta. Eroe non è dunque, nel senso contemporaneo, il grande campione, la star
o chi ‘ce l’ha fatta’, è invece ogni donna e ogni uomo che sceglie di non
tradire se stesso e di essere, semplicemente, se stesso”.
L’importante è il
tentativo.
“La misura
eroica era data dall’esperienza di superare se stessi, non dal risultato.
Fallire non contava: eroe non era chi vinceva, ma chi ci aveva anche solo
provato. Chi aveva accettato la sfida di misurarsi in qualcosa più grande di
sé, per diventare grande per sempre. Fantasiosa ma abbagliante di senso,
l’etimologia della parola “eroe” che proponeva Platone nel dialogo Cratilo.
Secondo il filosofo, la forza che spinge gli uomini a diventare eroi è solo
una: ἔρως (érōs), “amore” – solo una piccola lettera distingueva le due parole
in greco antico”.
Nel suo libro si fa molta attenzione al legame tra parola e
significato, spesso ricorrendo a termini di lingue straniere. Quanto è
importante per lei il rapporto tra il messaggio e la sua espressione
linguistica?
“Viviamo in
un’epoca in cui le parole sembrano non bastare mai, un tempo in cui siamo
costretti a coniare neologismi come moneta comune per capirci e farci capire.
Sono però parole da poco, non hanno valore, tolgono senso alle cose anziché
aggiungerne e la loro inarrestabile inflazione ci rende sempre più poveri
anziché più ricchi. Parole che di fatto non vogliono dire niente, puri significanti
che scintillano lo spazio di un’estate, come una canzone alla radio
canticchiata mentre siamo indaffarati a fare altro – noi stessi ce ne scordiamo
il significato, perché mai compreso o mai spiegato. E così ci affanniamo a
cercare termini nuovi per nominare ciò che in realtà esiste da sempre e che da
sempre viviamo, ma forse non lo sappiamo più dire – prima a noi stessi e poi
agli altri”.
Rischiamo di perdere il vero valore della lingua?
“Si fa un
gran dibattere sulle lingue da preservare e da difendere da misteriosi nemici
senza volto né nome – invasori, usurpatori, stranieri. Intanto, mentre
combattiamo un sabotatore leggendario come un mostro marino brandendo manuali
di grammatica o addossando tutta la colpa a Internet, le parole che già
esistono sembrano sfuggirci di minuto in minuto, come se il tempo del dire e
del sapere si stesse esaurendo nella clessidra della contemporaneità. Il
livello del mare, della confusione, del rumore s’innalza e sulla nostra riva
c’è sempre meno sabbia dove distenderci e finalmente parlarci”.
Il suo libro
risponde a questa necessità?
“Scrivere La
Misura Eroica è stato per me un vero viaggio. Sono salpata dal porto sicuro,
quello di un bestseller internazionale, rifiutando la comodità di sequel o di
un libro simile rincorrendo operazioni di marketing o banalità. Di nuovo, ciò
che conta, per me, è la fiducia dei miei lettori. Ho dunque pensato a un libro
che sia come un sentiero tra etimologie, il lessico dei nostri sentimenti, le
parole che usiamo ogni giorni -e per alcune di queste parole ho realizzato dei
video che sono online. Perché etimo, in greco, significa reale: solo chi
possiede le parole per dire, allora possiede la realtà”.
C’è una storia dietro
la scelta della copertina de La misura eroica?
“Sì, è di
nuovo una storia di dolore e di amore. La fotografia del portachiavi in
copertina è legata alla mia terra, alla Bosnia: si tratta di uno scatto del
grande fotografo Zyiah Gafic nell’ambito di un progetto chiamato Questa for
Identity. L’intento era quello di ridare una misura umana agli oltre ottomila
corpi ritrovati nelle fosse comuni di Srebrenica attraverso gli oggetti
personali ritrovati. Quando ho visto quel portachiavi, un oggetto da poco, con
la scritta ‘abbiamo un cuore per chiunque arrivi’ mi ha commossa e, di nuovo,
l’ho trovato la più grande affermazione della forza della vita, anche nella
morte”.
Da
conoscitrice e amante della letteratura classica, quali sono gli scrittori e le
scrittrici moderni e contemporanei che preferisce?
“Che bella
questa domanda… perché ovviamente non leggo Omero ogni sera, anzi! Gli
scrittori che più amo e che più hanno influenzato il mio lavoro in questi anni
sono diversissimi. Primo fra tutti, Orhan Pamuk, che con i suoi libri La
stranezza che ho nella testa e Il Museo dell’innocenza ha lasciato in me la
nostalgia letteraria del mondo segreto degli oggetti (come il piccolo libro
inglese che ho scoperto nella campagna inglese e che è un altro filo de La
Misura Eroica). Per la scrittura delle parti autobiografiche ho cercato di
cogliere la lucidità femminile di Annie Ernaux. Adoro l’argentina Maria Teresa
Andruetto e, per l’affinità dei temi, il francese Christophe Ono-dit- Biot”.
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