A Ischia non
è Pasqua senza le uova rosse. “A casa mia, da piccoli, ce le faceva fare mamma.
Poi siam cresciuti e non le abbiamo fatte più” racconta Monica Ambrosino, la
mia amica ischitana.
“Quest’anno
– continua – ho deciso di tornare a prepararle con i miei nipoti. Un pomeriggio
ho comprato l’occorrente e ci siamo divertiti”.
Computer,
play station, iPad, motorini. Un ragazzino cinese, leggo su internet, ha
venduto un rene per comprare il magico tablet. E mi è venuto da dire, se si
arriva a tanto, è anche perchè noi adulti non siamo più in grado di offrire, o
imporre se necessario, un’attività innocente per trascorrere qualche ora con i
più giovani. Magari ripetendo un antico rituale. E magari in famiglia.
Preparare
insieme i tipici piatti di queste feste è un ottimo modo per stare insieme con
naturalezza e rinnovare tradizioni che, come in questo caso, hanno radici
antichissime.
Confesso che
delle uova rosse ischi tane non avevo mai sentito parlare in vita mia, sebbene
io sia napoletana. Tenuto conto che Napoli è a poche miglia da Ischia questo
dimostra la complessità di questa, come di altre isole, quali piccoli sistemi
antropo – gastronomici. Circondata dal mare, Ischia ha custodito una tradizione
che probabilmente risale ai primi coloni greci. Si sa che i primi che toccarono
terra in Campania provenivano da Eubea (Evia, in greco) e che la stessa Ischia,
fondata da loro nel VIII sec. a.C., col nome di Pithecusa, è la più antica
colonia greca del Mediterraneo occidentale.
Proveniente
dall’estremo Oriente, la Robbia o Garzana (Rubia Tinctorium) è la pianta del
genere Rubiacee che è utilizzata per colorare le uova. Il rosso di Robbia è
detto anche rosso turco. Essa si è spontaneizzata nella flora italiana ma è
stata coltivata nei secoli scorsi. Dal Neolitico fino alla fine dell’Ottocento,
insieme all’Isatis e alla Reseda, è stata tra le piante fondamentali per
l’estrazione dei tre colori principali: rosso, blu, giallo.
Invero,
nell’antichità, il color porpora veniva estratto dal mollusco contenuto in
conchiglie del genere Murex. In questa produzione e nei relativi commerci si
erano specializzati i Fenici. Ma con il declino della civiltà fenicia, il
colorante rosso fu ricavato dalla Robbia.
Il
colorante, si deposita con il tempo sulla corteccia delle radici. Esse vengono
cavate, essiccate e macinate, per ottenere una sottile polvere colorante o
vengono usate fresche.
La pianta è
oggetto di studio anche nella farmacologia antica. Se ne parla nella Materia
Medica di Dioscoride (I sec. d.C.) e Galeno (II sec. d.C.) medico di corte
imperiale da Marco Aurelio a Settimio Severo la descrisse nel VI Libro del
Virtù dei medicamenti semplici: “è la radice di Robbia al gusto acerba e amara.
E perciò compie tutte quelle azioni legate a questi sapori: quindi essa
ripulisce il fegato e la milza, e fa abbondantemente espellere l’orina densa e
qualche volta anche sanguinolenta. Provoca i mestrui e “asterge” [“pulisce
asciugando”] ove ve ne sia bisogno. Applicato esternamente spenge le vitiligini
bianche. Alcuni la danno a bere con Acqua Melata nella sciatica e nelle
paralisi”.
Ma perché
parlare delle uova di Ischia? Quel che hanno di più sorprendente, infatti, le
uova di Monica è che, uguali, si fanno in Grecia. Ad esempio su un’isoletta
molto “sacra” dell’Egeo che conosco bene: Patmos, che è la più settentrionale
delle isole del Dodecaneso, arcipelago molto vicino alla costa turca.
Questa
affinità mi ha ispirato un’ ipotesi suggestiva. Saltellando (un occhio alla
carta è utile, in maniera figurata, dalla Turchia, si passa per Patmos e poi si
arriva a Eubea, la seconda isola per estensione della Grecia dopo Creta, tanto
attaccata alla terra ferma da non sembrare quasi un’ isola. Infine con gli
eubei, la Robbia arriva a Ischia.
Le uova
rosse di Pasqua sono, dunque, la testimonianza ancora viva di questo legame.
Del resto, è bene ricordarlo, la tradizione dell’uovo di cioccolato è recente.
Le uova prima, erano vere, e dal Medioevo si è iniziato a decorarle con qualsiasi
tipo di disegno. Essendo un tempo la terra concepita, in alcune credenze, come
fatta come due emisferi sovrapposti e a forma di uovo, quest’ultimo era simbolo
della vita.
Nella
tradizione balcanica e greco ortodossa l’uovo di gallina, cucinato sodo, da
secoli viene colorato. I primi a donare uova ben auguranti sembra siano stati i
persiani che festeggiavano l’arrivo della primavera regalandole come talismano
contro siccità e pestilenza. Ma Plinio svela che la tradizione di colorare
l’uovo risalirebbe all’epoca romana.
Un racconto
narra che quando Maria di Magdala annunciò la resurrezione del Messia, Pietro
(o, si dice, Tiberio SCEsare) rispose: «Ci crederò quando le uova nasceranno
rosse». Allora Maria scoprì il canestro che portava al braccio, e mostrò le sue
uova: erano tutte rosse.
Nel
monastero di S. Maria Maddalena a Gerusalemme,costruito nel 1885 dal russo
imperatore Alessandro III e dei suoi fratelli in memoria di sua madre, è
conservato un grande murale raffigurante la Maria Maddalena di fronte a Tiberio
Cesare che gli consegna un uovo rosso.
Essendo,
durante la Quaresima, era vietato mangiare le uova, cibo di origine animale, si
affermò l’uso di colorarle durante la Settimana Santa. Poi, il Venerdi o il
Sabato Santo, venivano portate in chiesa per essere benedette. La mattina di
Pasqua, uova sode sposate ai salumi, costituivano il primo alimento consumato,
ed avevano il sapore delle cose a lungo desiderate.
La mia amica
Fotini, patmiota, mi ha raccontato che durante la Pasqua, che quest’anno ricade
la prossima domenica, queste uova si preparano dal giovedì e si mangiano nella
cena di Pasqua e nei giorni successivi, in alcuni casi, appunto, dopo essere
state benedette. Il rosso simboleggerebbe la passione di Cristo.
A Patmos ,
mi dice, venivano colorate con delle radici ma ora lo sono con una bustina di
colorante naturale in vendita nei supermarket, per lo più. E , poi, si sono
aggiunti altri colori. Una volta pronte con un po’ di d’olio di oliva si
lucidano per renderle più belle. “Tsoungrisma” è la sfida beneaugurante a chi
ha l’uovo più resistente.
Funziona
così: chi, scontrandosi con l’uovo dell’altro, resta con l’uovo sano in mano,
vince. Cestini di uova rosse sono un po’ ovunque nei giorni di Pasqua in attesa
delle processioni che si svolgono, a partire dal giovedì, due volte al giorno.
Allora le preziose icone del Cristo sono portate a spalla dal corteo con i
“Papas”, i preti ortodossi, in testa e si ripete il rito della lavanda dei
piedi fino al momento clou della notte del sabato.
Ma ecco come
colorare le uova anche di altri colori in maniera naturale:
Giallo:
carote, curcuma, fieno greco, e succo di uva bianca
Arancio:
Buccia di cipolla, paprika
Rosso:
Buccia di cipolla rossa, robbia, cayenne
Rosso
violetto: Vino rosso, lamponi rossi
Verde:
Foglie di carota, Felce
Blu:
Mirtilli, cavolo rosso, lamponi neri
Blu-
violetto: more, succo di barbabietola, gelsi
Rosa: Erica
Ecco la
ricetta di casa Ambrosino per preparare le uova rosse di Ischia (ringrazio per
le foto Monica):
Per
prepararne 10 occorrono 2 o 3 mazzetti di quella che nel dialetto locale, è
chiamata ” à rova”.
La campagna
ne è certamente ricca ma oggi mazzetti si comprano nei negozi di frutta e
verdura. Una volta a casa, si aprono e si pestano in un mortaio o con un
matterello.
Poi si
mettono una pentola con un pugno di sale e le uova. Si fa bollire per 30 minuti
e poi si lasciano raffreddare. Si mangiano tal quali o si utilizzano per
decorare il casatiello.
Oltre a
essere belle da vedere, la tintura conferisce alle uova un sapore
caratteristico molto gradevole, come “di terra”.
Fonti:
TUTTE LE FOTO QUI:
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