La fontana del Sebeto
Il mito
narra del triste esito della loro storia d'amore. Un tragico evento trasformò
Megara in uno scoglio (Megaride) e Sebeto nel fiume che corre verso il mare.
20
marzo 2018
Napoli e
l’acqua hanno da sempre un legame misterioso alimentato non solo dal mare che
bagna la citta' ma anche dai suoi corsi di acqua interni. Tanto tempo fa
Partenope era attraversata da un fiume di nome Sebeto che scomparve misteriosamente
intorno al XIV secolo. Il Sebeto, scendeva dal monte Somma e attraversava le
campagne di Casalnuovo, Volla, Ponticelli per poi dividersi a Napoli in due
rami, uno sfociante al Ponte della Maddalena, l’altro alle falde della collina
di Pizzofalcone, nei pressi dell’isolotto di Megaride, dove nacque il primo
porto di Partenope. Il fiume aveva le sue sorgenti alle falde del Vesuvio. Con
il passare del tempo subì varie modifiche nel suo percorso, dovute alle
eruzioni del Vesuvio e ai movimenti tellurici. Poco si conosce della sua
storia, l’unica cosa certa è che i napoletani gli dedicarono un culto: a
testimoniarlo è un’epigrafe, rinvenuta presso la Porta del Mercato durante i
lavori di scavo nelle mura della città, raffigurante un tempietto in onore
dell’antico dio Sebeto. Su quest’epigrafe, si leggeva: "P. Mevius Eufychus
aedicolam restituit Sebetho", cioè "P. Mevio Eutico ha riconsacrato
un sacello al Sebeto". Il fiume deve la sua fama anche alle celebrazioni
di alcuni poeti come Giunio Columella, Papinio Stazio, e Virgilio che ce lo ha
tramandato con il nome di “Sebthide Ninpha” nel VII libro dell’Eneide.
Originariamente
questo fiume era chiamato Rubeolo, solo a partire dall’Umanesimo, per
intervento di Boccaccio, Pontano e Sannazzaro, il nome venne sostituito da
Sebeto. Numerose sono le leggende che raccontano la sua origine. Un mito
affascinante spiega con una piccola storiella il forte legame che c'è tra gli
uomini e le forze della natura. Secondo questa leggenda Vesevo e Sebeto si
incontravano sulla spiaggia per scontrarsi, il primo sputando torrenti di
fuoco, l’altro frantumando sassi e trascinandoli in mare. Quando sfiniti dalla
battaglia, i due giganti si riposavano, fioriva la vita su quello che era stato
il loro campo di battaglia. Nell’alternarsi di queste fasi si insediarono
allora i primi coloni. Questi primi abitanti onoravano e rispettavano le due
divinità, vivendo come spettatori delle loro lotte per conquistare la
bellissima ninfa Leucopetra, figlia di Nettuno. Solo con il passare dei secoli,
a seguito dell’interramento di Sebeto e del lungo silenzio di Vesevo, la
memoria della loro presenza andò scomparendo.
Un’altra
leggenda narra, invece, del grande amore tra Sebeto, ricco signore che abitava
in una lussuosa residenza in una campagna vicino Napoli, e la sua bellissima
moglie Megara. Un giorno la fanciulla decise di voler navigare il Golfo di
Napoli a bordo di una feluca. Così raggiunse, insieme all’equipaggio, la riva
Platamonia (da cui Chiatamone) dove il mare è sempre molto mosso. Ad un certo
punto la feluca si capovolse, Megara cadde in mare ed annegò trasformandosi
nello scoglio di Megaride, dove oggi sorge Castel dell’Ovo. Quando Sebeto
apprese la notizia impazzì dalla disperazione e si sciolse in un pianto
lunghissimo ed inconsolabile. Si disfece così in un corso d’acqua, divenendo il
fiume che correva verso il mare dove Megara era morta e dove ora esisteva come
scoglio. Malgrado il triste esito della loro storia d'amore, i due coniugi
riuscirono ugualmente a restare insieme, non più come esseri umani ma come
elementi naturali. La donna era lo scoglio, la meta che Sebeto agognava di
raggiungere. L’uomo invece, divenne il fiume che correva verso di lei. Quel
mare, da teatro tragico, divenne l’unico luogo dov’era possibile abbracciarsi
ancora.
Ancor’oggi
la città conserva gelosamente nella propria architettura e nei simboli
religiosi i resti del glorioso passato di questo fiume la cui storia si perde
tra mito e realtà. A pochi passi da Santa Maria del Porto, presso il Largo
Sermoneta, si trova la Fontana del Sebeto che rappresenta allegoricamente il
mitico fiume che accarezzava Neapolis. Fu il vicerè Fonseca a volerla nel 1635,
affidandone il progetto all’architetto Cosimo Fanzago. Il Sebeto viene
rappresentato come un vecchio dalla barba fluente in posizione adagiata su una
conchiglia tra due obelischi. Affiancate figurano le sculture di due tritoni
portatori delle buccine (piccoli vasi) da cui sgorga l’acqua. In alto,
sull’arco, inoltre, vi sono una lapide e gli stemmi di vicerè, città e re.
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