La
condizione degli schiavi nell’antica Roma
In generale,
nelle culture antiche, la schiavitù era considerata una condizione “naturale” e
non si sentiva il bisogno di giustificarla. Giuridicamente lo schiavo era una
proprietà, come un qualsiasi oggetto. Ad essi si davano solo le cure minime che
si dovevano anche alle bestie: tanto che lo schiavo venne definito da Varrone
Reatino, uno scrittore del I secolo a.C., “strumento dotato di voce”
(instrumentum vocale), cioè un puro bene materiale.
27/10/2014
Per i Romani
vi erano quattro situazioni per cui una persona poteva trovarsi in stato di
schiavitù:
– per
nascita (servus natus ex ancilla);
– per debiti
(addictus) non pagati;
– per
scelta, facendosi vendere da un mercante di schiavi e ottenere così per sé una
parte della somma;
– per essere
stato fatto prigioniero di guerra (captivus).
Gli schiavi
in vendita erano posti su un palco girevole (catasta), con un piede imbiancato
con il gesso e con al collo il titulus, un cartello con tutte le informazioni
utili al compratore (nome, paese di provenienza, doti fisiche e intellettuali,
particolari abilità, eventuali difetti).
Gli schiavi
nella società romana venivano classificati in:
– servi
pubblici, cioè di proprietà dello stato, come i banditori (praecones), i messi
statali (viatores), o i custodi dei templi (aeditui);
– familia
rustica, cioè gli schiavi che lavoravano in campagna nelle villae;
– familia
urbana, ossia gli schiavi che lavoravano nelle case di città, con mansioni
diverse come cucinare e pulire, oppure con mansioni di grande fiducia, come
amministrare il patrimonio del padrone (erano i dispensatores o procuratores) o
sovrintendere all’istruzione dei ragazzi di casa (erano i paedagogi).
Agli inizi
della storia di Roma la vita degli schiavi era inumana: essi non potevano
possedere nulla, non potevano opporsi a eventuali soprusi del padrone, non
potevano sposarsi. Successivamente la loro condizione migliorò un poco: essi
potevano, per esempio, essere affrancati (liberati) dal padrone e diventavano
liberti; potevano sposare una donna scelta tra le schiave (in tal caso il
matrimonio era definito conturbernium e la moglie conserva).
Il filosofo
Seneca (4 a.C. – 65 d.C.), in controtendenza rispetto alla mentalità del suo
tempo, sosteneva che tutti gli esseri umani sono uguali e, quindi, anche gli
schiavi vanno trattati e rispettati con benevolenza. Tuttavia la schiavitù come
istituzione sarebbe stata condannata soltanto con l’avvento del cristianesimo.
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