Τρίτη 20 Ιουνίου 2017

Ioanna Karistiani: Ritorno a Delfi

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È arrivato il momento per Vivì Cholevas di affrontare se stessa e suo figlio. Il giorno della partenza si avvicina e quel viaggio a Delfi meditato a lungo, dopo aver soppesato diverse mete, periodo, distanze, località, la spaventa fino nell’intimo. Non è una semplice vacanza per la donna ma un incontro-scontro con il figlio Linos con il quale i rapporti si sono troncati da tempo (da più di dieci anni), da quando lei stessa decise di denunciarlo, consegnandolo alla polizia con l’accusa di stupro e assassinio.

ARTICOLO DI: Francesca Morelli

A Linos è stato concesso un permesso-licenza di cinque giorni e Vivì raccoglie tutte le sue forze per riavvicinarsi a quel figlio ergastolano che non conosce più, non comprende. Un estraneo - come forse è sempre stato - che fa parte della sua vita dopo che anche le visite in carcere si sono sempre più diradate e costruite su profondi silenzi. Vivì spera di trovare il coraggio di raccontare la verità a Linos sull’incarcerazione, si augura che la bellezza di Delfi, delle rovine e dei siti archeologici possano aiutare entrambi a ricostruire la loro storia. Ma anche questo tentativo è un fallimento: Linos resta barricato nel suo astioso mutismo, odiando ancora di più quel cimitero di anticaglie...


Una storia dura, cruda, che scende negli abissi dell’intimo, quella raccontata da Ioanna Karistiani nel suo ultimo romanzo. Unici protagonisti sono Vivì, donna cinquantacinquenne con alle spalle una serie di fallimenti (un matrimonio finito male, amicizie che la hanno instradata a scelte sbagliate, una professione mai portata avanti fino in fondo) e Linos, suo figlio, che ha ereditato tutti i tratti peggiori del padre, sbandato, alcolista, poco di buono. Per i due, senza distinzione, la vita sembra avere riservato e continuare a riservare un inferno: per Linos, trentenne, infiniti anni da scontare dentro un carcere e per Vivì, dentro di sé, assediata da un senso di responsabilità e di colpa per quel figlio, vittima forse anche dei suoi errori. Falliscono gli approcci, falliscono le parole, falliscono le azioni: per il re-incontro dei due sembra non esservi alcuna possibilità di redenzione, ma neppure di riscatto. Neanche Delfi è stata catartica e entrambi continueranno a portare, nel silenzio ormai insondabile, sulle proprie spalle il peso dei sacchi. Ta sakìa, i sacchi dal titolo originale appunto, sono simbolo di un percorso di vita in cui nessuno può restare immacolato, ma è destinato a modo suo e secondo l’esperienza a caricarsi di sassi più o meno grandi che difficilmente si alleggeriranno sul sentiero della vita, diventando macigni. Così è per Vivì; falliscono le sue speranze di viaggio, svanisce il tentativo di trovare una espiazione, evapora il desiderio di un contatto con suo figlio Linos, aumenta il senso di sconfitta della sua intera esistenza. Linos, il suo mutismo e la barriera ancora più fitta che innalza tra loro induce Vivì a rifugiarsi nei suoi ricordi, pochi momenti belli che diventano il suo unico tesoro: lei e Linos, bambino, seduti insieme sugli scogli, in silenzio a guardare il mare. Aveva sperato in un miracolo, Vivì, ma questi non avvengono mai. Neanche nei desideri di amore più grande di una madre.

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