Con la crisi del debito, che ha flagellato l’economia greca lasciando sul
lastrico non solo lo Stato ma anche milioni di persone, il governo di Atene ha
cercato per molto tempo di chiedere maggiore flessibilità in ambito europeo,
fallendo miseramente. L’Unione europea, pur limando alcune richieste nei
confronti del governo di Tsipras, non ha mai posto in discussione la logica di
austerità del piano di aiuti e di risanamento dei conti pubblici. Negli anni,
la ricetta di Bruxelles ha fallito. E per questo motivo, la Grecia è stata
costretta a rivolgersi non più ai suoi presunti alleati europei, ma ad altre
potenze che, per motivi sicuramente non umanitari ma comunque ragionevoli,
hanno avuto gioco facile nel proporre soluzioni utili a tutti. È così che è
nata quella comunione d’intenti che oggi lega in modo profondo e saldo la
piccola Grecia con il colosso cinese. Un’alleanza che si confronta su campi molto
diversi, dai trasporti, al credito, all’energia, e che ha reso Atene una vera e
propria testa di ponte tra la Cina e l’Unione europea.
A conferma di quanto detto, è giunta la notizia che il governo greco, la
scorsa settimana, ha posto il veto a una dichiarazione dell’Unione europea nei
confronti della Cina, con la quale si chiedeva di condannare Pechino, a livello
di Nazioni Unite, per la repressione del dissenso. Una decisione molto
importante e che ha inciso non poco sulle dinamiche tipiche di questi rapporti
sui diritti umani, in cui da sempre gli Stati Membri dell’Unione europea hanno
trovato un quadro di riferimento comune. Questa volta, invece, per la prima
volta, l’Europa fallisce nell’intento di trovare l’unità di fronte a una
questione “umanitaria” e lascia intravedere le crepe di una crisi interna che
non è soltanto una questione legata al fantomatico populismo. La Grecia, con
quest’azione, ha mostrato in realtà ben più concretamente di tante parole, cosa
vuol dire avere una politica estera autonoma rispetto ai rigidi protocolli di
Bruxelles. E l’ha fatto non perché ignara dei problemi legati alla libertà di
espressione, ma perché più attenta ai rapporti internazionali che a quelli con
l’Europa. Tra Cina e Ue, Atene ha preferito Pechino, consapevole che, mentre da
parte europea sono arrivate nel tempo direttive lacrime e sangue e minacce di
fallimento ed esclusione dall’Unione, da parte cinese arrivano soldi,
tecnologie e interessi nazionali sia cinesi che greci.
La Cina ha iniziato da molto tempo un piano d’investimenti nei confronti
della Grecia che porta nelle casse di Atene soldi che servono per pagare gli
stipendi, mantenere le infrastrutture e reggere la forza d’urto dei piani di
rientro del debito oltre che gli interessi. La Cina ha capitali da investire,
empori commerciali da far nascere e una Nuova Via della Seta da strutturare. Ed
uno dei terminali di questo canale di investimenti è proprio la Grecia. Nel
2015, il colosso cinese Cosco ha comprato la maggior parte del porto del Pireo
per un totale di 368,5 milioni di euro, di cui 280 milioni sono stati incassati
subito da Atene per il 51% dell’area portuale e gli altri 88 milioni saranno
dati dopo cinque anni per l’acquisizione di un ulteriore 6%, ma soltanto a
investimenti obbligatori infrastrutturali conclusi. Il 17 giugno, sempre con
riferimento al porto del Pireo, la società Cosco, l’ente portale del Pireo e
quello del porto di Shangai hanno concluso un accordo che prevede una vasta
collaborazione tra il porto cinese e quello ellenico, di fatto trasformando il
Pireo in un hub dei cargo provenienti dal gigantesco porto dell’Estremo
Oriente.
Gli interessi cinesi in Grecia sono molti, e la crisi non può che aiutare
gli investimenti abbassandone i costi. I fondi di Pechino sono interessati in
settori strategici dell’economia greca che, per le aziende cinesi,
rappresentano asset molto allettanti, dove c’è poca competizione locale a causa
della devastazione del sistema statale greco e dall’impoverimento dell’imprenditoria
locale. Dalla nautica, al turismo, alle reti stradali e portuali, al settore
immobiliare, ovunque le grandi imprese cinese e i fondi derivanti dallo Stato
centrale possono trovare un settore in cui inserirsi e diventarne leader.
Dalian Wanda, uno dei colossi degli investimenti cinesi, è interessato in molti
settori dell’economia greca, ed è pronto a investire anche in settori meno
strategici ma altrettanto proficui, come quello calcistico. Basti pensare che
lo stesso fondo è proprietario di un terzo dell’Atletico Madrid.
In questo senso, la politica europea nei confronti della Grecia ha
dimostrato l’ennesimo cortocircuito dalle parti di Bruxelles. Prima lasciando
che Atene si indebitasse purché stesse nell’euro, poi, una volta crollata,
punendola con tagli e manovre finanziarie che hanno indebolito ancora di più
tutta l’economia greca. Così facendo, l’Unione Europea ha lasciato che la
Grecia si dovesse, per forza di cose, arrangiare. E lo ha fatto cercando
contatti con l’esterno, salvaguardando così la propria autonomia dall’Europa ma
lasciando che il Paese entrasse nell’orbita di Pechino. Per Atene, gli
investimenti cinesi significano sopravvivenza e crescita. Per Pechino significa
conquistare un mercato e un alleato. Per l’Unione europea, l’ennesima
sconfitta.
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