Si scrive Atene, si legge terzo mondo. Non chiamateli più
aiuti: in sei anni di austerità, il debito è aumentato. Come Zambia, Congo e
Somalia. Così, il Fondo monetario internazionale “vede” la Grecia di oggi e del
futuro. Perché di sola austerità, non solo si muore, ma si pregiudica una
possibile rinascita futura. La parte greca festeggia per il risultato dello
scorso Eurogruppo, ovvero un altro prestito da quasi otto miliardi di euro che
il governo Tsipras, però, dovrà restituire in toto tra meno di un mese come
interessi, rimandando ogni eventuale discussione sulla riduzione del debito
ellenico al 2018, a urne tedesche chiuse.
Francesco De Palo
Se questa è una strategia che produce soddisfazione e
ottimismo per il futuro, allora significa che più di qualcosa, nella percezione
degli amministratori (ellenici ed europei), va registrata. Non chiamateli più
aiuti, perché in ballo c’è molto altro: a cominciare dalla bieca speculazione e
dalla “tesi Schaeuble” che non ha controtesi. Il feldminister delle Finanze di
Berlino ha sempre negato ogni possibilità di ristrutturazione del debito, che
invece è visto dal Fmi come logico passo per il domani.
L’ente presieduto da Christine Lagarde ha utilizzato per
il caso greco la cosiddetta “approvazione in linea di principio”, che in
passato è stata applicata durante la crisi del credito nel 1980 come un
catalizzatore per il finanziamento o la riduzione del debito nel quadro di
programmi sostenuti dal Fondo in Paesi altamente sottosviluppati, come Sudan,
Ecuador, Zaire, Madagascar, Giamaica, Zambia, Costa d’Avorio, Kenya, Somalia,
Cile, Repubblica Democratica del Congo, Messico, Nigeria.
Dall’altro lato della barricata, la Bce chiede chiarezza
sulla strategia per la riduzione del debito greco per dare l’ok
all’acquisizione di titoli di stato ellenici, come parte del programma
quantitative easing. Un cane che si morde la coda e che non vede la trave
macroscopica che giganteggia nella crisi greca: è stato prestato un fiume di
denaro a chi non può restituirlo, e che dopo la medicina della troika non ha
più neanche quei gioielli di famiglia che sono il pezzo forte delle
privatizzazioni elleniche. Atene è condannata dai suoi numeri: fino al 2012 il
debito era nella pancia di istituti privati tedeschi e francesi, oggi sulle
spalle dei Paesi membri che probabilmente non rivedranno più quei soldi
(l’Italia è esposta per 40 miliardi).
Nel mezzo, un Paese come la Grecia, che non ha più un
briciolo di energia per tentare una ripresa: ecco il default della politica. È
dal 2013 che il Fmi sostiene una doppia tesi: molti dei conti sul debito greco
non tornano, e di sola austerità si finisce per schiacciare il paziente ellenico
e togliergli finanche l’ultimo respiro. Perché Spagna, Portogallo e Cipro,
anche se a tentoni, sono riuscite a tirarsi fuori dalle sabbie mobili? Come mai
nel caso greco hanno avuto un ruolo elementi specifici ancora poco noti, come
la Lista Lagarde, la partita degli idrocarburi nell’Egeo, le privatizzazioni e
gli armatori? Gli 8,5 miliardi di euro destinati dall’Eurogruppo ad Atene non
sono una soluzione chiara al problema del debito, ma un’ulteriore partita di
giro per dare denaro con la mano sinistra e riprenderselo con quella destra. La
Troika in Grecia, dopo sei anni di austerità, non ha tagliato solo i rami
secchi, ma tutto l’albero.
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