Πέμπτη 2 Νοεμβρίου 2017

In Grecia 30 miliardi di debito sotto swap, i mercati brindano con rendimenti in picchiata

La Grecia verso lo "swap" da 30 miliardi su 20 bond. La crisi più acuta sembra alle spalle, anche se le conseguenze sono rimaste drammatiche.

La Grecia verso lo "swap" da 30 miliardi su 20 bond. La crisi più acuta sembra alle spalle, anche se le conseguenze sono rimaste drammatiche.

di Giuseppe Timpone

La Grecia verso lo "swap" da 30 miliardi su 20 bond. La crisi più acuta sembra alle spalle, anche se le conseguenze sono rimaste drammatiche.

Crollano i rendimenti sovrani della Grecia, dopo la voci di uno “swap” imminente da 29,7 miliardi su 20 bond con scadenza tra il 2023 e il 2042, che erano stati emessi nella primavera del 2012, a seguito della ristrutturazione del debito pubblico in mano agli investitori privati, il famoso “haircut” da 107 miliardi di euro. L’operazione sarebbe stata programmata per la metà di novembre, ma non ha ancora ottenuto il sigillo ufficiale. I decennali sono scesi al 5,08% dal 5,58% di lunedì, scendendo al livello più basso dal 2009. E i titoli a 5 anni sono scesi al 4,25% dal 4,55% di lunedì. (Leggi anche: Grecia studia swap di 20 bond)

Lo “swap” sui bond non modificherà le scadenze e i 5 titoli di nuova emissione avranno cedola fissa. L’intento del governo di Atene sarebbe di aumentare il grado di liquidità degli scambi giornalieri, principale limite per il mercato del debito sovrano ellenico, non essendoci transazioni sufficienti per determinare correttamente i prezzi. Ad oggi, infatti, i 20 bond emessi a seguito dell'”haircut” sono negoziati tutti insieme e gli investitori non hanno, quindi, la possibilità di concentrarsi sulle singole scadenze. Con il concambio, le scadenze sarebbero negoziate separatamente le une dalle altre, creando finalmente una curva dei rendimenti, che segnalerà al governo quali sarebbero i costi da sostenere per il rifinanziamento del debito nei prossimi anni.

Nel 2018, la Grecia dovrà emettere almeno 6 miliardi di euro di bond per ripagare i titoli in scadenza, ma il conto lieviterà a 17,4 miliardi nel 2019. Sarebbe stato di 19 miliardi senza l’emissione del primo bond a medio-lunga scadenza del luglio scorso per un controvalore complessivo di 3 miliardi. Atene ha la necessità di riacquistare la fiducia dei mercati finanziari, dato che l’anno prossimo verrà completato il terzo programma di assistenza finanziaria (“bailout”) ad opera di UE e BCE e da 86 miliardi di euro. Dopodiché, o firmerò un quarto piano di aiuti – sarebbe una sconfitta politica per il premier Alexis Tsipras (e anche per la UE), che ancora martedì prometteva che questo sarebbe l’ultimo bailout per i greci – o dovrà reperire i capitali necessari sui mercati, appunto, emettendo bond. (Leggi anche: Grecia fuori dall’euro, così prossimo alleato di Frau Merkel)

I numeri della Grecia

La Grecia dovrebbe finalmente tornare a crescere quest’anno, con la Commissione europea a stimare un pil al +2,1% per il 2017 e al +2,5% per il 2018. Resta il fatto che l’economia ellenica si è contratta di oltre un quarto rispetto ai livelli di 10 anni fa e che da allora ha accumulato un immenso debito, che pur sgravato dalla ristrutturazione del 2012, risulta esploso al 180% del pil, ovvero a circa 320 miliardi, di cui l’80% in mano a creditori pubblici (UE, BCE e FMI). I numeri appaiono drammatici sul piano dell’occupazione: 800.000 posti di lavoro persi dal 2008, con appena un greco su due in età adulta a lavorare e i nuovi posti di lavoro creati nell’ultimo anno sono per quasi la metà part-time e pagati a meno di 400 euro al mese; insomma, insufficienti per la pura sopravvivenza. E dire che ogni anno 100.000 greci vanno all’estero in cerca di lavoro, allentando le tensioni sociali interne.

A strozzare la ripresa vi è l’elevata pressione fiscale, con il governo Tsipras ad avere alzato di recente i contributi a carico dei lavoratori per non tagliare ulteriormente la spesa pensionistica, aumentando al contempo persino l’imposizione fiscale sugli immobili. Formalmente, i conti pubblici sono passati da un deficit stratosferico di oltre il 15% del 2009 a un avanzo nel 2016, anche se quest’anno dovrebbe registrarsi nuovamente un lieve deficit. Tuttavia, il miglioramento è stato ottenuto tartassando i greci e le loro imprese, spingendo molti ad espatriare per non essere strangolati dal fisco. Si pensi solamente che la sua aliquota IVA più alta è stata portata su richiesta della Troika al 24% e pure nelle isole a vocazione turistica, dove vigeva fino al 2015 un sistema fiscale di vantaggio.

Detto ciò, l’ottimismo sta iniziando a serpeggiare pure qui, come segnala il Pmi manifatturiero, che è salito ai massimi dal 2008, in scia al consolidamento della ripresa in tutta l’Eurozona. Anche la disoccupazione è scesa al 21% dal picco del 28% di 4 anni fa, pur restando la più alta di tutta la UE. Paradossalmente, però, a beneficiare di questi primi passi avanti concreti dell’economia ellenica non è il governo in carica, bensì l’opposizione conservatrice di Nuova Democrazia, che stando ai sondaggi sarebbe nettamente avanti nei consensi, staccando Syriza, la formazione del premier Tsipras di estrema sinistra, di circa 14-15 punti percentuali; cosa, che rende armi spuntate le pur persistenti minacce di dimissioni di Atene e rivolte a Bruxelles a ogni contrapposizione sui termini apposti all’erogazione di nuovi aiuti.


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