La Grecia
verso lo "swap" da 30 miliardi su 20 bond. La crisi più acuta sembra
alle spalle, anche se le conseguenze sono rimaste drammatiche.
La Grecia
verso lo "swap" da 30 miliardi su 20 bond. La crisi più acuta sembra
alle spalle, anche se le conseguenze sono rimaste drammatiche.
Crollano i
rendimenti sovrani della Grecia, dopo la voci di uno “swap” imminente da 29,7
miliardi su 20 bond con scadenza tra il 2023 e il 2042, che erano stati emessi
nella primavera del 2012, a seguito della ristrutturazione del debito pubblico
in mano agli investitori privati, il famoso “haircut” da 107 miliardi di euro.
L’operazione sarebbe stata programmata per la metà di novembre, ma non ha
ancora ottenuto il sigillo ufficiale. I decennali sono scesi al 5,08% dal 5,58%
di lunedì, scendendo al livello più basso dal 2009. E i titoli a 5 anni sono
scesi al 4,25% dal 4,55% di lunedì. (Leggi anche: Grecia studia swap di 20
bond)
Lo “swap”
sui bond non modificherà le scadenze e i 5 titoli di nuova emissione avranno
cedola fissa. L’intento del governo di Atene sarebbe di aumentare il grado di
liquidità degli scambi giornalieri, principale limite per il mercato del debito
sovrano ellenico, non essendoci transazioni sufficienti per determinare
correttamente i prezzi. Ad oggi, infatti, i 20 bond emessi a seguito
dell'”haircut” sono negoziati tutti insieme e gli investitori non hanno,
quindi, la possibilità di concentrarsi sulle singole scadenze. Con il
concambio, le scadenze sarebbero negoziate separatamente le une dalle altre,
creando finalmente una curva dei rendimenti, che segnalerà al governo quali
sarebbero i costi da sostenere per il rifinanziamento del debito nei prossimi
anni.
Nel 2018, la
Grecia dovrà emettere almeno 6 miliardi di euro di bond per ripagare i titoli
in scadenza, ma il conto lieviterà a 17,4 miliardi nel 2019. Sarebbe stato di
19 miliardi senza l’emissione del primo bond a medio-lunga scadenza del luglio
scorso per un controvalore complessivo di 3 miliardi. Atene ha la necessità di
riacquistare la fiducia dei mercati finanziari, dato che l’anno prossimo verrà
completato il terzo programma di assistenza finanziaria (“bailout”) ad opera di
UE e BCE e da 86 miliardi di euro. Dopodiché, o firmerò un quarto piano di
aiuti – sarebbe una sconfitta politica per il premier Alexis Tsipras (e anche
per la UE), che ancora martedì prometteva che questo sarebbe l’ultimo bailout
per i greci – o dovrà reperire i capitali necessari sui mercati, appunto,
emettendo bond. (Leggi anche: Grecia fuori dall’euro, così prossimo alleato di
Frau Merkel)
I numeri della
Grecia
La Grecia
dovrebbe finalmente tornare a crescere quest’anno, con la Commissione europea a
stimare un pil al +2,1% per il 2017 e al +2,5% per il 2018. Resta il fatto che
l’economia ellenica si è contratta di oltre un quarto rispetto ai livelli di 10
anni fa e che da allora ha accumulato un immenso debito, che pur sgravato dalla
ristrutturazione del 2012, risulta esploso al 180% del pil, ovvero a circa 320
miliardi, di cui l’80% in mano a creditori pubblici (UE, BCE e FMI). I numeri
appaiono drammatici sul piano dell’occupazione: 800.000 posti di lavoro persi
dal 2008, con appena un greco su due in età adulta a lavorare e i nuovi posti
di lavoro creati nell’ultimo anno sono per quasi la metà part-time e pagati a
meno di 400 euro al mese; insomma, insufficienti per la pura sopravvivenza. E
dire che ogni anno 100.000 greci vanno all’estero in cerca di lavoro,
allentando le tensioni sociali interne.
A strozzare
la ripresa vi è l’elevata pressione fiscale, con il governo Tsipras ad avere
alzato di recente i contributi a carico dei lavoratori per non tagliare
ulteriormente la spesa pensionistica, aumentando al contempo persino
l’imposizione fiscale sugli immobili. Formalmente, i conti pubblici sono
passati da un deficit stratosferico di oltre il 15% del 2009 a un avanzo nel
2016, anche se quest’anno dovrebbe registrarsi nuovamente un lieve deficit.
Tuttavia, il miglioramento è stato ottenuto tartassando i greci e le loro
imprese, spingendo molti ad espatriare per non essere strangolati dal fisco. Si
pensi solamente che la sua aliquota IVA più alta è stata portata su richiesta
della Troika al 24% e pure nelle isole a vocazione turistica, dove vigeva fino
al 2015 un sistema fiscale di vantaggio.
Detto ciò,
l’ottimismo sta iniziando a serpeggiare pure qui, come segnala il Pmi
manifatturiero, che è salito ai massimi dal 2008, in scia al consolidamento
della ripresa in tutta l’Eurozona. Anche la disoccupazione è scesa al 21% dal
picco del 28% di 4 anni fa, pur restando la più alta di tutta la UE.
Paradossalmente, però, a beneficiare di questi primi passi avanti concreti
dell’economia ellenica non è il governo in carica, bensì l’opposizione
conservatrice di Nuova Democrazia, che stando ai sondaggi sarebbe nettamente
avanti nei consensi, staccando Syriza, la formazione del premier Tsipras di
estrema sinistra, di circa 14-15 punti percentuali; cosa, che rende armi
spuntate le pur persistenti minacce di dimissioni di Atene e rivolte a
Bruxelles a ogni contrapposizione sui termini apposti all’erogazione di nuovi
aiuti.
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