Pubblichiamo
l’intervento della prof.ssa Maria
Perlorentzou (docente di neogreco all’Università degli Studi di Bari) in
occasione della Giornata Mondiale della Lingua e Cultura Greca lo scorso 24
ottobre, presso il Liceo Classico “Socrate” di Bari.
31/10/2015
Le
iniziative realizzate nel mondo dalle numerose Federazioni delle Comunità
Elleniche, iniziate da già più di un anno in Australia, e in questi mesi
attuate anche in Italia, oltre alle ovvie motivazioni volte a salvaguardare il
patrimonio linguistico, le radici e le tradizioni della propria cultura,
possono essere viste secondo molteplici prospettive e con diversi impegni.
Oltre a
ricordare e riproporre l’importanza della lingua greca classica, mirano a
evidenziare e portare a una maggiore conoscenza una riconosciuta verità: la
lingua greca nella sua espressione moderna, denominata neogreco o greco moderno
o Νέα Ελληνικά [Nea elinikà] o Νεοελληνικά [Neoelinikà], è una “cellula
veicolare” che ha custodito e tramandato fino ad oggi il patrimonio linguistico,
e conseguentemente, artistico, storico, letterario, filosofico offerti dagli
studi classici. E tutto ciò sotto la veste di una lingua viva che può essere
studiata, imparata e parlata come ogni lingua di oggi.
Chi ha
studiato il greco classico si trova particolarmente avvantaggiato
nell’avvicinarsi a quello moderno. Scopre in esso un substrato linguistico non
soltanto di lemmi, vocaboli, terminologia, ma anche riferimenti di base nella
struttura grammaticale e sintattica (declinazioni, coniugazioni, diversificazioni
di caso fra soggetto e complemento oggetto) per non menzionare che alcuni
elementi essenziali. Affinità dunque e analogie, ma anche sostanziali
semplificazioni in vari settori, che non allontanano le due forme linguistiche
ma facilitano l’approccio, l’apprendimento e l’uso. Nel moderno, per esempio,
mancano il dativo, il duale, l’ottativo; l’infinito viene sostituito,
sapientemente direi, da altre forme verbali, ma tutto questo senza cambiare
radicalmente l’impostazione grammaticale; altrettanto nell’analisi logica la
funzione per esempio dei casi nominativo e accusativo sopravvive rigorosamente.
[Mi limito a riferimenti essenziali, non essendo oggi utile una impostazione
diversa nel mio intervento].
Chi si
avvicina al neogreco dopo studi effettuati nel mondo occidentale affronta un
ostacolo iniziale, consistente, che però crea solo un momentaneo disagio. Già
nell’avvicinarsi all’alfabeto di oggi, di 24 lettere, poiché è quello stesso
ionico, che verso la fine del V sec. a.C. ha sostituito l’attico, si incontra
una diversa pronuncia. È cioè una diversità fonetica che anche se non invadente
crea difficoltà nel registro orale fra le due forme linguistiche, antica e
moderna. Per fare qualche precisazione, fra le 24 lettere dell’alfabeto si
differenziano nella pronuncia soltanto le consonanti β[vita, non beta],γ
[ghama, non gama],δ [dhelta, non delta],ζ [ζita, non zeta],θ [thita, non
teta],χ [chi, non ki], e le vocali η [ita, non eta],ω [omegha, non omega], e υ
[ipsilon, non upsilon]; crea estraniamento il monoftonghismo, cioè la pronuncia
in un solo suono [i] dei dittonghi ει, οι, υι, del dittongo αι in [e] o la
consonantizzazione della υ nei nessi vocalici αυ eευ che la trasforma in [f] o
[v]; cioè tali nessi vengono pronunciati come av/af e ef/ev secondo regole e
circostanze precise (per esempio la dieresi sulla υ annulla tale fenomeno).
Per
rispondere al perché di questa differenziazione fra la pronuncia applicata al
greco antico, denominata anche pronuncia erasmiana, e quella del greco moderno
o neogreco, tenterò di presentare un rapido quadro orientativo sulla questione,
solo introduttivo.
Nell’antica
Grecia la Koiné, la lingua franca, η κοινή διάλεκτος [i kinì dhiàlektos], cioè
la lingua del mondo ellenistico, costituisce il punto di partenza per la storia
della lingua greca nella sua evoluzione complessiva, medievale, bizantina e
moderna. Questa Κοινή, mezzo di comunicazione in tutti i centri fondati sul
territorio, dalle coste dell’Asia Minore, dall’Egitto e fino all’India, divenne
presto la lingua ufficiale ed emarginò l’uso dei vecchi dialetti eolico,
dorico, ionico e altri minori. Per risalire tuttavia alle origini della
formazione e dell’espansione della Κοινή nel mondo ellenistico, bisogna seguire
la storia della lingua greca già dal V sec. a.C.
Dopo le
guerre persiane Atene aveva assunto una posizione egemonica. La forza politica
insieme a quella culturale (in questo periodo sono stati scritti i più noti
capolavori) furono la causa della diffusione del dialetto attico sotto la veste
di una lingua franca, cosa che avvenne verso l’ultimo terzo del V secolo.
Uscendo dai limiti dell’Attica ed espandendosi notevolmente, esso subì
cambiamenti in doppia direzione: non soltanto esportava ma anche riceveva
influenze da tutte le parti, sia nella fonetica che nel lessico, e in
particolar modo accoglieva influenze ioniche.
Verso la
metà del IV sec. Filippo il Macedone utilizzò questo attico ampliato, se
vogliamo dire, come lingua ufficiale della sua amministrazione e della
diplomazia; successivamente suo figlio Alessandro Magno adottò quella Κοινή
come lingua ufficiale in tutto il territorio del suo impero.
Le nostre
conoscenze su questa Κοινή provengono principalmente da 5 fattori: 1°, dalle
opere dei Grammatici; 2°, dalla traduzione in greco della Bibbia detta “dei
Settanta”, realizzata ad Alessandria fra il III e il II sec. a.C.; 3°, dal
Nuovo Testamento scritto nel I secolo d.C.; 4°, dalle annotazioni dei
Grammatici nelle loro opere; e 5°, il fattore preziosissimo che possiamo
nominare “registratore implicito” della lingua orale di allora: è questo che ne
offre ampia documentazione. Si tratta di lettere o altri documenti scritti, la
maggior parte non pubblici, su papiri trovati in Egitto, datati dalla fine del
IV sec. a.C. sino all’VIII d.C.
Come funzionò
quel “registratore implicito”? Gli autori di questi papiri erano piuttosto
persone di scarsa istruzione e produssero nei loro scritti abbondanti errori
ortografici. Quando per es. al posto della necessaria presenza di una η,secondo
l’ortografia storica,appare scritto erroneamente un ι[ota], rispecchiando la
pronuncia orale della lettera, è evidente che queste due vocali non erano più
diversificate nella lingua parlata. Lo stesso si deduce per la υ eper i
dittonghi ει, οι, υι, al posto dei quali si trova la lettera iotaι[ota], come
pure gli errori fra le vocali ο eω, il dittongo αιela lettera ε.
La Κοινή
dunque vinse su tutti gli altri dialetti, divenne comune sia come lingua
scritta che orale. È da questa Κοινή, diffusa nel periodo compreso fra Alessandro
Magno e Costantino il Grande, che proviene il greco moderno.
Verso la
fine del I sec. del Cristianesimo la sua supremazia viene contrastata da alcuni
grammatici e maestri di retorica che la considerano, sia come scritta che
orale, frutto di ignoranza e di decadenza. Introducono con le loro teorie il
movimento dell’Atticismo, una specie di “purificazione” linguistica, che
predilige come unico greco “corretto” la lingua degli scrittori attici. Tale
movimento acquisì importanza, dominò l’insegnamento scolastico, influenzò la
prosa letteraria, e portò la lingua viva a una calcolata emarginazione. In
questo modo ebbe inizio la diglossia, che ne caratterizzò tutta l’evoluzione e
la differenza, fino ai nostri tempi, fra lingua dotta e lingua volgare. Pensate
che soltanto nel 1976 la lingua volgare, detta δημοτική [dhimotikì], è stata
dichiarata lingua ufficiale del paese, abolendo definitivamente la καθαρεύουσα
[katharévussa], forma semplificata della lingua dotta, realizzata sul finire
del XIX secolo.
Riprendendo
il nostro sommario iter espositivo possiamo dire che le nostre conoscenze per
il periodo che va dal 600 (cioè prima della scomparsa definitiva dei papiri) al
1100, si basano quasi esclusivamente su testi scritti nella lingua dotta,
consolidata secondo le tendenze conservatrici, lontana da quella orale, anche
se in alcuni di essi si presenta un tentativo di equilibrio fra la lingua pura
e quella viva.
Nel periodo
dall’XI al XV sec. la diglossia si indebolì e con essa il prestigio della
lingua dotta, dopo la fine dell’XI sec., con le Crociate e le loro conseguenze
che sconvolsero il territorio dell’impero bizantino, ma soprattutto con la IV
Crociata (1204) che diminuì il potere politico-economico e sociale di
Costantinopoli. Al contrario si nota una più abbondante produzione letteraria
in lingua volgare o volgarizzante.
Arrivati
così al grande evento storico della presa di Costantinopoli, da parte dei
Turchi Ottomani nel 1453, che comportò la lenta dissoluzione dell’impero
bizantino, le condizioni dell’uso linguistico proseguirono più o meno sullo
schema precedente. Ma quel grande evento diede inizio a un altro fenomeno,
molto importante: l’esodo degli eruditi greci dall’Oriente verso l’Occidente
alla ricerca della possibile continuità della loro opera. Questo comportò non
solo il trasferimento e la salvezza dei preziosi testi scritti della
letteratura classica, manoscritti e altro, poi custoditi nei centri della
cultura occidentale, ma anche il diffondersi della pronuncia con la quale
avveniva l’insegnamento e la lettura di quegli scritti da parte degli eruditi
greci, pronuncia che rispecchiava la fonetica del loro tempo.
Ed è allora
che per varie ragioni storico-politiche e filologiche nacque il problema della
pronuncia della lingua greca che ha messo in contrasto studiosi umanisti e
filologi per cinque secoli fino ai nostri giorni. Infatti nel 1528 il sommo
umanista Erasmo da Rotterdam, nella sua opera sotto forma di “Dialogo sulla
giusta pronuncia del latino e del greco”, propose una nuova pronuncia per i
testi classici, che fu accettata da gran parte della comunità scientifica.
Basandosi su dati storico-linguistici egli ha voluto, allora, supportare e
soprattutto facilitare la diffusione delle lettere classiche presso i popoli
europei proponendo una pronuncia che era distante da quella corrente. Ha
avvicinato così la pronuncia di alcune lettere, o di nessi consonantici e
vocalici, alla fonetica dell’alfabeto latino, offrendo chiaramente un cospicuo
aiuto agli studiosi occidentali.
Fin dal
primo momento non mancarono opposizioni alle sue teorie, con varie
argomentazioni scientifiche, come quelle del suo maggior avversario, il tedesco
Johannes Reuchlin, sostenitore della pronuncia greca dell’epoca, molto simile a
quella odierna.
Da allora
fino ad oggi vari studi a livello mondiale intorno alla validità o meno della
pronuncia erasmiana, hanno nutrito l’argomento provocando sia reazioni di
appoggio che negazioni, con tesi a volte fortemente contrastanti. Negli ultimi
tempi si è arrivati a dimostrare che l’inizio delle differenziazioni della
pronuncia del greco classico è indubbiamente databile già dal V sec. a.C., e
sono quasi le stesse che ritroviamo nella pronuncia del greco moderno. Oggi è
corretto sostenere che non si può parlare di “pronuncia greca contemporanea”
per il neogreco e dall’altra parte di “pronuncia scientifica o erasmiana” per
la lingua greca classica, quanto piuttosto di “pronuncia greca storica” e di
“pronuncia non-ellenica o artificiale o erasmiana”, rispettivamente. D’altronde
l’esatta pronuncia del periodo omerico e classico è per sempre perduta, a causa
della ovvia mancanza di documenti “sonori” pervenutici dall’antichità, e
storicamente e scientificamente è più giusto pronunciare la lingua greca
secondo la sua evoluzione storica e non con l’introduzione di suoni di altre
lingue parenti.
La pronuncia
del greco moderno apre anche un contatto naturale con la ricchezza dei testi
bizantini e neoellenici che sono il più diretto discendente della koiné
ellenistica. Affrontando il problema dell’insegnamento di Lingua e Letteratura
Neogreca nelle Università italiane si possono sintetizzare alcune osservazioni.
La recente
riforma Gelmini dell’Università, prediligendo il principio della programmazione
manageriale a discapito di quella scientifica, ha offerto la possibilità (ove
si verifichi una scarsità di personale docente di ruolo o una completa sua
mancanza per ragioni di pensionamento) di potere (ma non di dovere) decidere la
soppressione di una disciplina. Così si capisce benissimo sotto quale forma di
procedure, di decisioni e di volontà, sono state soppresse dalla ex-Facoltà di
Lingue di Bari tre lingue e letterature straniere fra cui la Lingua e
Letteratura Neogreca; sono state ridotte a biennali altre tre; sono rimaste
soltanto tre triennali, e infine soltanto quattro possono proseguire nella
laurea specialistica, essere cioè studiate per cinque anni.
Da segnalare
che precedentemente ben tredici lingue e letterature straniere potevano essere
studiate sia come triennali che come quinquennali. Ovviamente non è qui, oggi,
il luogo né il momento di commentare le scelte di tale ridimensionamento.
Vorrei solo
aggiungere che a livello nazionale, negli ultimi anni, erano già avvenute
alcune soppressioni di cattedre di neogreco, come a Napoli, Lecce, Verona,
Trieste, Viterbo, Padova; oggi esistono soltanto a Palermo, Catania, Roma,
Venezia. Il tutto si è accentuato in concomitanza con la crisi economica
generale, soprattutto in Grecia, sempre secondo il profilo manageriale degli
studi che non riconosce garanzie di possibili sbocchi professionali. In ogni
caso, per completare queste notizie, purtroppo negative, anche in altre sedi
prestigiose, con una lunga tradizione di studi classici,bizantini e
neoellenici, come in Francia, Inghilterra, Germania e altrove, molte cattedre
di neogreco sono in bilico o già soppresse.
Ci auguriamo
che una futura ripresa in tutto il settore europeo e soprattutto in Grecia
possa un giorno invertire tali tendenze, ridare la possibilità, dove si studia
il greco classico (e per fortuna sono molte le cattedre), il bizantino
(numerose anche quelle ma in minor numero), di riprendere e fare rivivere lo
studio della δημοτική, il greco moderno, τα Νέα Ελληνικά della Grecia di oggi,
che supporta il patrimonio della cultura europea.
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