A partire dal
periodo in cui Atene viveva il glorioso secolo di Pericle , Lipari, a parte
qualche breve parentesi, avendo assunto il controllo del Tirreno combattendo i
pirati e gli Etruschi, visse la più felice stagione della sua storia anche
forte di quell’organizzazione sociale che probabilmente ispirò Platone nel suo
De Repubblica. E questo fino a quando, nel 251 a.C., essendosi alleata con
Cartagine non venne sconfitta da Roma che, occupandola, si abbatté su di essa
con forza distruttrice per farle pagare la lunga resistenza alle incursioni
delle sue flotte.
Negli anni che
vanno dal V alla metà del III secolo a.C. essa era una superba cittadina di
almeno tre mila abitanti con imponenti edifici come il Pritaneo, cioè il cuore
della città dove veniva conservato il fuoco sacro, e ricchi tempi votivi
dedicati ad Efesto ed Eolo sulla rocca ed i templi dedicati a Demetra e Dioniso
nella città bassa dove era stato eretto uno splendido teatro all’aperto con
strutture di legno praticamente al termine della zona chiamata oggi “il
Timparozzo”, in cui si rappresentavano le migliori commedie e tragedie del
mondo antico, da Eschilo a Menandro, da Aristofane ad Astidamante. E oltre le
mura, si aprivano i campi coltivati e la necropoli entrambe realtà care alla
dea dei misteri eleusini.
Probabilmente la
via principale – lungo la quale, soprattutto nelle ore serali, amavano
passeggiare i liparesi di tutte le età mettendo in mostra abiti lussuosi e i
gioielli di famiglia – si stendeva da quella che oggi è piazza Mazzini fino al
teatro dedicato a Dioniso. Erano i tempi in cui si potevano incontrare per le
vie della Città, intenti a disputare con altri comuni mortali, Menandro e
Senofane di Colofone che non disdegnava di risiedere a Lipari malgrado avesse
paura dei vulcani; o come ci riferisce Diogene Laerzio, Aristippo, il fondatore
della Scuola Cirenaica, che decisero entrambi di avere qui sepoltura; e ancora
Zenone di Elea, il filosofo che rispose a Dionisio che il maggior vantaggio che
se ne ricava dalla filosofia è il disprezzo della morte e che proprio a Lipari,
stando sempre a Laerzio, organizzò la congiura contro il tiranno di Elea,
Nearco, partendo da qui, verso la fine del V secolo a.C. con una spedizione
armata di aristocratici; per non parlare di Ebro di Lipari, a cui dedicò Neobule
e i suoi amori, come ci tramanda Orazio.
Ed era sempre su
questa via che si aprivano – per la curiosità e la gioia soprattutto delle
signore e delle giovani – vere e proprie botteghe d’arte di artigiani che
lavoravano l’oro e gioielli facendone anelli, monili, diademi, collane . Di
anelli a Lipari ne sono stati trovati parecchi nei corredi funerari:
dall’anello-sigillo a castone aureo con la Nike in volo, ad anelli con la
figura di una giovane donna incedente con passo di danza, ad anelli con
scarabei, solo per fare alcuni esempi. E dopo gli anelli gli orecchini sia
quelli a sistema rigido costituiti da un elemento unico molto semplice, a
quello più complicato con pendente mobile, dall’orecchino a navicella a quello
cosiddetto a Helix, a quelli con teste di animale. Quindi i pendagli, le
collane, i braccialetti.
E sempre sulla
via principale, a fianco alle botteghe artigiane che lavoravano l’oro e i
gioielli, vi erano i laboratori nei quali tenevano scuola eminenti maestri di
pittura, scultura e decorazione, soprattutto vascolare.
“Rimasta fuori
dalle guerre che devastarono la Sicilia e la Magna Grecia del V e del IV secolo
a.C. Lipari potè godere – scrivono Luigi Bernabò Brea e Madeleine Cavalier.[1]
– di una notevolissima prosperità e raggiungere, soprattutto nel IV e nella
prima metà del III secolo a. C. un livello economico molto elevato di cui
sicura ed appariscente documentazione è la ricchezza e la qualità degli oggetti
che costituiscono i corredi delle quasi 3000 tombe messe in luce dagli scavi
dell’ultimo cinquantennio. In quell’ambiente di agiatezza e diffuso benessere
fiorirono la cultura e le arti. Abbiamo notizia di due scrittori liparesi
Pisistrato e Pyron di cui non ci sono pervenute le opere. Prosperarono gli
artigianati locali come quello della ceramica dipinta figurata che nella prima
metà del III sec. a. C. sviluppò, con l’uso del caolino locale, una vivacissima
policromia ad opera di una serie di maestri anonimi, il principale dei quali è
conosciuto con il nome convenzionale di ‘il Pittore di Lipari’”.
Anzi possiamo
dire che per merito del Pittore di Lipari e della sua scuola, Lipari ci
apparirebbe oggi come il massimo centro artigianale – in quell’epoca – di
questa ceramica. Forse il centro dove questa tecnica sarebbe stata creata e
perfezionata”[2].
L’innovazione
tecnica del pittore di Lipari e della sua scuola può essere indicata
principalmente – oltre che nel materiale adoperato per i vasi formato da una
miscela fra l’argilla importata a Lipari dalla Sicilia con il caolino locale –
dall’aggiunta di una vasta gamma di colori applicati a tempera e non sottoposti
a cottura alle figure rosse su fondo nero con ritocchi di colore bianco e
giallo. Ed il fatto che i colori fossero applicati a tempera senza cottura
diceva chiaramente che questo vasellame non era destinato ad un uso pratico
quotidiano perché i lavaggi li avrebbero cancellati, ma al decoro delle
abitazioni o ad un uso sacrale e funerario.
Oltre ai crateri
di cui se ne conservano alcuni molto belli nel Museo Archeologico di Lipari si
sviluppò l’artigianato delle piccole terrecotte figurate che in un primo tempo
produsse splendidi modellini di maschere dei personaggi della tragedia, della
commedia e dei drammi satireschi che erano più in voga, poi si specializzò
nella produzione di vivacissimi statuette di attori della commedia nei più
diversi atteggiamenti; infine – negli ultimi decenni del IV secolo – si
cominciarono a produrre anche statuette di belle ragazze che con il teatro non
avevano nulla a che vedere ma certo volevano sottolineare come la bellezza e la
grazia muliebre facessero parte della quotidianità di questa cittadina. Sono
statuette alte poco più di 10 cm. modellate con grande freschezza ed abilità
che qualche volta risentivano forse un poco dell’influenza dei modelli della grande
statuaria greca a cui si ispirarono, ma che in generale rispecchiano piuttosto
i costumi, le mode, le pettinature, gli atteggiamenti che erano in voga in quel
tempo.
“Ci danno cioè –
commentano i due archeologi – un ritratto immediato delle belle ragazze che si
potevano ammirare nelle strade e nell’agorà di Lipari all’inizio dell’età
ellenistica” [4] . A cominciare dal loro abbigliamento e dalle loro
pettinature.
L’abbigliamento
femminile in Grecia e, quindi anche nella Lipari di allora, non subì mai grandi
cambiamenti ed era in realtà molto semplice. Si componeva di due soli pezzi: il
chitone e il himation. Il chitone era una specie di tunica semplicissima che
scendeva unita fino alle caviglie, fatta da una pezza di tela di lino ripiegata
su se stessa e cucita ai due lati che lasciava in alto due aperture per le
braccia e nella quale era praticata superiormente un’apertura per il capo.
Questa tunica di tela sottile poteva essere assai ampia e quindi, stretta alla
vita da una cintura, anziché scendere unita poteva formare delle pieghine
verticali a più ampi fasci di pieghe. Non mancano chitoni forniti di mezze
maniche.
La donna stava in
chitone solo nell’intimità delle pareti domestiche. Quando usciva ravvolgeva
intorno ad esso un himation. L’himation era una specie di grande scialle e cioè
un drappo di forma rettangolare allungata che poteva venire ravvolta intorno al
corpo nelle maniere più varie, più stretto o più ampiamente drappeggiato.
Poteva essere portato anche al di sopra del capo, e rifasciarlo e dinnanzi al
volto lasciando scoperti gli occhi. Poteva invece essere gettato sulle spalle a
guisa di mantello.
Naturalmente l’
himation, come anche il chitone poteva essere, a seconda della stagione, di
stoffe diverse, ora di calda e pesante lana, ora di tela sottilissima leggera
come se fosse di seta e talora addirittura trasparente.
Pur con abiti
così semplici l’intraprendenza femminile sapeva trovare mille risorse ed
ottenere gli effetti più vari evitando la monotonia. Su centinaia di statuette
femminili rinvenute a Lipari non ne troviamo due in cui l’himation sia
drappeggiato nello stesso modo segno che l’eleganza e la raffinatezza erano
doti molto diffuse. Negli scavi da noi è stato rinvenuto persino un lembo di
stoffa tessuta a fili d’oro.
Oltre al vestiario
anche la capigliatura era oggetto di particolare attenzione. Nella seconda metà
del IV secolo a.C. era molto diffusa la pettinatura con una crocchia di capelli
abbastanza voluminosa portata sull’alto del capo proprio al di sopra della
fronte ma fu una moda che durò poco. Alle volte invece si avevano due masse
voluminose di riccioli leggeri bipartiti sulla fronte. Più semplice era la
pettinatura con chiome bipartite cadenti sulle spalle in lunghi boccoli. Più
avanti negli anni cominciò a compatire la pettinatura cosiddetta “a melone” e
cioè con boccoli ritorti che partono parallelamente dalla fronte e dalle tempie
e che si riuniscono in una crocchia rotonda sull’occipite: una pettinatura
assai raffinata ed elaborata quanto maggiore era il numero delle ciocche
parallele che dalle otto a dieci nelle forme più semplici potevano arrivare
fino a sedici e più.
Nell’ultimo
periodo della Lipari greca assistiamo ad un notevole cambiamento nella moda
femminile. Non tanto negli abiti ma soprattutto nel tipo delle acconciature che
diventano varie e ricercate. Da quella semplicissima bipartita sulla fronte,
che doveva essere quella normale portata da tutte le ragazze nella loro vita
quotidiana, a quella elaboratissima delle giovani spose per la cerimonia
nunziale, a quelle della matura madre di famiglia dove i capelli bipartiti
sulla fronte formano intorno al volto una serie di riccioli ricercati ed un
nodo più o meno voluminoso sull’alto del capo, alla vecchia domestica che ha
una acconciatura seria ma accurata con i capelli tirati sulle tempie a
ravvolgere un cercine che circonda il capo e che resta scoperto sulla fronte
dove poteva portare anche un piccolo ornamento.
La donna nella
Lipari greca si occupava soprattutto della casa e delle attività domestiche.
Così abbiamo statuette di donne che filano la lana, altre che triturano il
grano con una macina rettangolare mentre la farina si raccoglie nella vaschetta
di forma ovale ed un gatto adagiato comodamente su un margine della vaschetta
non sembra minimamente disturbato dal lavoro della padrona, altre di donna
seduta che sta rimescolando in una ciotola il cibo che sta preparando, altre di
donne dinnanzi a graticole o a un forno, altre di donne che fanno il bagno al
bambino dentro una vaschetta a forma di scafo.
Ma oltre alla
casa ed alle attività domestiche la donna si dedicava alla musica ed alla
danza, curava il proprio maquillage, praticava la religione ed in particolare
prendeva parte al culto di Demetra. Proprio il culto di Demetra aveva via via,
col trascorrere dei decenni soppiantato, soprattutto fra le donne, il culto di
Efesto che era il dio che proteggeva dalle eruzioni e dai terremoti , di Eolo,
custode dei venti, con il rito di gettare nel bothros sormontato dal leoncino
cnido vasellame prezioso come offerta votiva perché proteggesse nei viaggi per
mare, e di Apollo che era il dio tutelare della città a cui i Liparesi avevano
costruito un tempio nell’isola di Delfi in Grecia e lì inviavano offerte votive
per chiedere la protezione nelle guerre e nei combattimenti.
Demetra era la
Grande Madre benigna dispensatrice di ogni fecondità ed il cui culto in qualche
modo ci riporta ai primordi della storia con il culto della vita, della
fecondità, della crescita, delle stagioni. A Lipari in particolare il culto di
Demetra si legò sempre più a quello dei morti divenendo la dea a cui ci si
rivolgeva per la salvezza dei propri cari scomparsi.
I misteri
eleusini erano riti religiosi misterici – ed infatti si chiamavano Mysteria –
che si celebravano ogni anno nel santuario di Demetra nell’antica città greca
di Eleusi. Essi erano antichissimi, si svolgevano già prima del periodo
miceneo, circa 1600-1100 a.C.. I Mysteria erano periodi di festa durante i
quali si svolgevano riti atti a consentire agli iniziandi di entrare nell’oscurità
della morte di vincerla e di risalire alla luce della vita; in genere
ricorrevano due volte l’anno: a metà febbraio, e da settembre a ottobre.
A Lipari si
tenevano in autunno con una festa grande con preghiere, canti, danze, cortei,
cerimonie di purificazione, estasi mistiche, offerte, pasti sacri ed anche
rappresentazioni teatrali. Erano riti interdetti agli uomini. Un mondo al
femminile per eccellenza, misterioso e oscuro che aveva come simbolo il
porcellino e la fiaccola e statuette con fiaccola e porcellino sono state
ritrovate numerose ritrovate a Lipari.
Il porcellino
rappresentava l’offerta più ricorrente nei riti eleusini, durante i quali le
donne usavano gettare porcellini vivi in pozzi votivi e compiere sacrifici di
maiali e questo in riferimento ad un episodio del mito: quando Kore, rapita da
Ade, sprofonda nel suolo si trascina dietro le scrofe di Eubuleo. Anche la
fiaccola assumeva un preciso significato rituale. Essa rievocava l’immagine di
Demetra che nel mito recava torce accese durante la disperata ricerca di Kore.
E così durante le cerimonie eleusine la fiaccola diveniva uno strumento di
culto, tenuta da sacerdoti e dalle fedeli durante le processioni ed i riti
notturni
di Michele Giacomantonio
A partire dal
periodo in cui Atene viveva il glorioso secolo di Pericle , Lipari, a parte
qualche breve parentesi, avendo assunto il controllo del Tirreno combattendo i
pirati e gli Etruschi, visse la più felice stagione della sua storia anche
forte di quell’organizzazione sociale che probabilmente ispirò Platone nel suo
De Repubblica. E questo fino a quando, nel 251 a.C., essendosi alleata con
Cartagine non venne sconfitta da Roma che, occupandola, si abbatté su di essa
con forza distruttrice per farle pagare la lunga resistenza alle incursioni
delle sue flotte.
Probabilmente la
via principale – lungo la quale, soprattutto nelle ore serali, amavano
passeggiare i liparesi di tutte le età mettendo in mostra abiti lussuosi e i
gioielli di famiglia – si stendeva da quella che oggi è piazza Mazzini fino al
teatro dedicato a Dioniso. Erano i tempi in cui si potevano incontrare per le
vie della Città, intenti a disputare con altri comuni mortali, Menandro e
Senofane di Colofone che non disdegnava di risiedere a Lipari malgrado avesse
paura dei vulcani; o come ci riferisce Diogene Laerzio, Aristippo, il fondatore
della Scuola Cirenaica, che decisero entrambi di avere qui sepoltura; e ancora
Zenone di Elea, il filosofo che rispose a Dionisio che il maggior vantaggio che
se ne ricava dalla filosofia è il disprezzo della morte e che proprio a Lipari,
stando sempre a Laerzio, organizzò la congiura contro il tiranno di Elea,
Nearco, partendo da qui, verso la fine del V secolo a.C. con una spedizione
armata di aristocratici; per non parlare di Ebro di Lipari, a cui dedicò Neobule
e i suoi amori, come ci tramanda Orazio.
Ed era sempre su
questa via che si aprivano – per la curiosità e la gioia soprattutto delle
signore e delle giovani – vere e proprie botteghe d’arte di artigiani che
lavoravano l’oro e gioielli facendone anelli, monili, diademi, collane . Di
anelli a Lipari ne sono stati trovati parecchi nei corredi funerari:
dall’anello-sigillo a castone aureo con la Nike in volo, ad anelli con la
figura di una giovane donna incedente con passo di danza, ad anelli con
scarabei, solo per fare alcuni esempi. E dopo gli anelli gli orecchini sia
quelli a sistema rigido costituiti da un elemento unico molto semplice, a
quello più complicato con pendente mobile, dall’orecchino a navicella a quello
cosiddetto a Helix, a quelli con teste di animale. Quindi i pendagli, le
collane, i braccialetti.
E sempre sulla
via principale, a fianco alle botteghe artigiane che lavoravano l’oro e i
gioielli, vi erano i laboratori nei quali tenevano scuola eminenti maestri di
pittura, scultura e decorazione, soprattutto vascolare.
“Rimasta fuori
dalle guerre che devastarono la Sicilia e la Magna Grecia del V e del IV secolo
a.C. Lipari potè godere – scrivono Luigi Bernabò Brea e Madeleine Cavalier.[1]
– di una notevolissima prosperità e raggiungere, soprattutto nel IV e nella
prima metà del III secolo a. C. un livello economico molto elevato di cui
sicura ed appariscente documentazione è la ricchezza e la qualità degli oggetti
che costituiscono i corredi delle quasi 3000 tombe messe in luce dagli scavi
dell’ultimo cinquantennio. In quell’ambiente di agiatezza e diffuso benessere
fiorirono la cultura e le arti. Abbiamo notizia di due scrittori liparesi
Pisistrato e Pyron di cui non ci sono pervenute le opere. Prosperarono gli
artigianati locali come quello della ceramica dipinta figurata che nella prima
metà del III sec. a. C. sviluppò, con l’uso del caolino locale, una vivacissima
policromia ad opera di una serie di maestri anonimi, il principale dei quali è
conosciuto con il nome convenzionale di ‘il Pittore di Lipari’”.
Anzi possiamo
dire che per merito del Pittore di Lipari e della sua scuola, Lipari ci
apparirebbe oggi come il massimo centro artigianale – in quell’epoca – di
questa ceramica. Forse il centro dove questa tecnica sarebbe stata creata e
perfezionata”[2].
L’innovazione
tecnica del pittore di Lipari e della sua scuola può essere indicata
principalmente – oltre che nel materiale adoperato per i vasi formato da una
miscela fra l’argilla importata a Lipari dalla Sicilia con il caolino locale –
dall’aggiunta di una vasta gamma di colori applicati a tempera e non sottoposti
a cottura alle figure rosse su fondo nero con ritocchi di colore bianco e
giallo. Ed il fatto che i colori fossero applicati a tempera senza cottura
diceva chiaramente che questo vasellame non era destinato ad un uso pratico
quotidiano perché i lavaggi li avrebbero cancellati, ma al decoro delle
abitazioni o ad un uso sacrale e funerario.
Oltre ai crateri
di cui se ne conservano alcuni molto belli nel Museo Archeologico di Lipari si
sviluppò l’artigianato delle piccole terrecotte figurate che in un primo tempo
produsse splendidi modellini di maschere dei personaggi della tragedia, della
commedia e dei drammi satireschi che erano più in voga, poi si specializzò
nella produzione di vivacissimi statuette di attori della commedia nei più
diversi atteggiamenti; infine – negli ultimi decenni del IV secolo – si
cominciarono a produrre anche statuette di belle ragazze che con il teatro non
avevano nulla a che vedere ma certo volevano sottolineare come la bellezza e la
grazia muliebre facessero parte della quotidianità di questa cittadina. Sono
statuette alte poco più di 10 cm. modellate con grande freschezza ed abilità
che qualche volta risentivano forse un poco dell’influenza dei modelli della grande
statuaria greca a cui si ispirarono, ma che in generale rispecchiano piuttosto
i costumi, le mode, le pettinature, gli atteggiamenti che erano in voga in quel
tempo.
“Ci danno cioè –
commentano i due archeologi – un ritratto immediato delle belle ragazze che si
potevano ammirare nelle strade e nell’agorà di Lipari all’inizio dell’età
ellenistica” [4] . A cominciare dal loro abbigliamento e dalle loro
pettinature.
L’abbigliamento
femminile in Grecia e, quindi anche nella Lipari di allora, non subì mai grandi
cambiamenti ed era in realtà molto semplice. Si componeva di due soli pezzi: il
chitone e il himation. Il chitone era una specie di tunica semplicissima che
scendeva unita fino alle caviglie, fatta da una pezza di tela di lino ripiegata
su se stessa e cucita ai due lati che lasciava in alto due aperture per le
braccia e nella quale era praticata superiormente un’apertura per il capo.
Questa tunica di tela sottile poteva essere assai ampia e quindi, stretta alla
vita da una cintura, anziché scendere unita poteva formare delle pieghine
verticali a più ampi fasci di pieghe. Non mancano chitoni forniti di mezze
maniche.
La donna stava in
chitone solo nell’intimità delle pareti domestiche. Quando usciva ravvolgeva
intorno ad esso un himation. L’himation era una specie di grande scialle e cioè
un drappo di forma rettangolare allungata che poteva venire ravvolta intorno al
corpo nelle maniere più varie, più stretto o più ampiamente drappeggiato.
Poteva essere portato anche al di sopra del capo, e rifasciarlo e dinnanzi al
volto lasciando scoperti gli occhi. Poteva invece essere gettato sulle spalle a
guisa di mantello.
Naturalmente l’
himation, come anche il chitone poteva essere, a seconda della stagione, di
stoffe diverse, ora di calda e pesante lana, ora di tela sottilissima leggera
come se fosse di seta e talora addirittura trasparente.
Pur con abiti
così semplici l’intraprendenza femminile sapeva trovare mille risorse ed
ottenere gli effetti più vari evitando la monotonia. Su centinaia di statuette
femminili rinvenute a Lipari non ne troviamo due in cui l’himation sia
drappeggiato nello stesso modo segno che l’eleganza e la raffinatezza erano
doti molto diffuse. Negli scavi da noi è stato rinvenuto persino un lembo di
stoffa tessuta a fili d’oro.
Oltre al vestiario
anche la capigliatura era oggetto di particolare attenzione. Nella seconda metà
del IV secolo a.C. era molto diffusa la pettinatura con una crocchia di capelli
abbastanza voluminosa portata sull’alto del capo proprio al di sopra della
fronte ma fu una moda che durò poco. Alle volte invece si avevano due masse
voluminose di riccioli leggeri bipartiti sulla fronte. Più semplice era la
pettinatura con chiome bipartite cadenti sulle spalle in lunghi boccoli. Più
avanti negli anni cominciò a compatire la pettinatura cosiddetta “a melone” e
cioè con boccoli ritorti che partono parallelamente dalla fronte e dalle tempie
e che si riuniscono in una crocchia rotonda sull’occipite: una pettinatura
assai raffinata ed elaborata quanto maggiore era il numero delle ciocche
parallele che dalle otto a dieci nelle forme più semplici potevano arrivare
fino a sedici e più.
Nell’ultimo
periodo della Lipari greca assistiamo ad un notevole cambiamento nella moda
femminile. Non tanto negli abiti ma soprattutto nel tipo delle acconciature che
diventano varie e ricercate. Da quella semplicissima bipartita sulla fronte,
che doveva essere quella normale portata da tutte le ragazze nella loro vita
quotidiana, a quella elaboratissima delle giovani spose per la cerimonia
nunziale, a quelle della matura madre di famiglia dove i capelli bipartiti
sulla fronte formano intorno al volto una serie di riccioli ricercati ed un
nodo più o meno voluminoso sull’alto del capo, alla vecchia domestica che ha
una acconciatura seria ma accurata con i capelli tirati sulle tempie a
ravvolgere un cercine che circonda il capo e che resta scoperto sulla fronte
dove poteva portare anche un piccolo ornamento.
La donna nella
Lipari greca si occupava soprattutto della casa e delle attività domestiche.
Così abbiamo statuette di donne che filano la lana, altre che triturano il
grano con una macina rettangolare mentre la farina si raccoglie nella vaschetta
di forma ovale ed un gatto adagiato comodamente su un margine della vaschetta
non sembra minimamente disturbato dal lavoro della padrona, altre di donna
seduta che sta rimescolando in una ciotola il cibo che sta preparando, altre di
donne dinnanzi a graticole o a un forno, altre di donne che fanno il bagno al
bambino dentro una vaschetta a forma di scafo.
Ma oltre alla
casa ed alle attività domestiche la donna si dedicava alla musica ed alla
danza, curava il proprio maquillage, praticava la religione ed in particolare
prendeva parte al culto di Demetra. Proprio il culto di Demetra aveva via via,
col trascorrere dei decenni soppiantato, soprattutto fra le donne, il culto di
Efesto che era il dio che proteggeva dalle eruzioni e dai terremoti , di Eolo,
custode dei venti, con il rito di gettare nel bothros sormontato dal leoncino
cnido vasellame prezioso come offerta votiva perché proteggesse nei viaggi per
mare, e di Apollo che era il dio tutelare della città a cui i Liparesi avevano
costruito un tempio nell’isola di Delfi in Grecia e lì inviavano offerte votive
per chiedere la protezione nelle guerre e nei combattimenti.
Demetra era la
Grande Madre benigna dispensatrice di ogni fecondità ed il cui culto in qualche
modo ci riporta ai primordi della storia con il culto della vita, della
fecondità, della crescita, delle stagioni. A Lipari in particolare il culto di
Demetra si legò sempre più a quello dei morti divenendo la dea a cui ci si
rivolgeva per la salvezza dei propri cari scomparsi.
I misteri
eleusini erano riti religiosi misterici – ed infatti si chiamavano Mysteria –
che si celebravano ogni anno nel santuario di Demetra nell’antica città greca
di Eleusi. Essi erano antichissimi, si svolgevano già prima del periodo
miceneo, circa 1600-1100 a.C.. I Mysteria erano periodi di festa durante i
quali si svolgevano riti atti a consentire agli iniziandi di entrare nell’oscurità
della morte di vincerla e di risalire alla luce della vita; in genere
ricorrevano due volte l’anno: a metà febbraio, e da settembre a ottobre.
A Lipari si
tenevano in autunno con una festa grande con preghiere, canti, danze, cortei,
cerimonie di purificazione, estasi mistiche, offerte, pasti sacri ed anche
rappresentazioni teatrali. Erano riti interdetti agli uomini. Un mondo al
femminile per eccellenza, misterioso e oscuro che aveva come simbolo il
porcellino e la fiaccola e statuette con fiaccola e porcellino sono state
ritrovate numerose ritrovate a Lipari.
Il porcellino
rappresentava l’offerta più ricorrente nei riti eleusini, durante i quali le
donne usavano gettare porcellini vivi in pozzi votivi e compiere sacrifici di
maiali e questo in riferimento ad un episodio del mito: quando Kore, rapita da
Ade, sprofonda nel suolo si trascina dietro le scrofe di Eubuleo. Anche la
fiaccola assumeva un preciso significato rituale. Essa rievocava l’immagine di
Demetra che nel mito recava torce accese durante la disperata ricerca di Kore.
E così durante le cerimonie eleusine la fiaccola diveniva uno strumento di
culto, tenuta da sacerdoti e dalle fedeli durante le processioni ed i riti
notturni
di Michele Giacomantonio
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