Daniel Mendelsohn
Cosa ha un classico da dirci, nel XXI secolo? A cavallo tra anni Settanta e
Ottanta, Italo Calvino scriveva, “I classici sono libri che quanto più si crede
di conoscerli per sentito dire,tanto più quando si leggono davvero si trovano
nuovi, inaspettati, inediti.
Naturalmente questo avviene quando un classico «funziona» come tale, cioè
stabilisce un rapporto personale con chi lo legge. Se la scintilla non scocca,
niente da fare: non si leggono i classici per dovere o per rispetto, ma solo
per amore.” Questa riflessione sembra guidare la scrittura di Daniel
Mendelsohn, intellettuale statunitense, insegnante di letteratura al Bard
College, presso New York, e insigne studioso di cultura classica che in
“Un’Odissea. Un padre, un figlio e un’epopea” (Einaudi,pp.310, 20 euro)
costruisce un inedito e appassionante intreccio narrativo basato sul capolavoro
di Omero.
Il libro si muove su tre piani: il racconto di un seminario sull’”Odissea”
tenuto dall’autore nel 2011 presso la sua università; la conseguente narrazione
empatica del poema omerico; e la ricostruzione del rapporto di Mendelsohn con
suo padre.
Jay Mendelsohn è un anziano ex ricercatore scientifico che decide di
frequentare le lezioni del figlio per approfondire la conoscenza della cultura
classica da lui sempre amata e temuta. Questa mescolanza tra letteratura e vita
crea uno stimolante gioco di specchi, che attraverso il racconto del poema
omerico spinge lo scrittore a riflettere sulla sua relazione complicata con un
genitore burbero e poco propenso a mostrare sentimenti e emozioni. La
conoscenza reciproca tardiva culmina con una bizzarra crociera in Grecia sui
luoghi di Odisseo, a cui i Mendelsohn partecipano al termine del seminario di
Daniel, e che ne dovrebbe essere l’ideale coronamento. Si snoda in questo modo
una colta e piacevole narrazione che chiarisce in toni cordiali, ma sottilmente
amari, quali siano i nodi che hanno allontanato il padre cresciuto alla
periferia di New York in condizioni modeste che ne hanno indurito il carattere,
fino a dargli una mentalità fortemente razionalistica dai principi etici
indiscutibili. E un figlio da lui molto differente, con una mentalità critica e
una prospettiva decisamente differente dal padre sulla realtà.
Questa lontananza ha spinto l’autore a cercare costantemente dei padri
putativi, individuati da adolescente e poi da giovane studente universitario,
in alcuni docenti e intellettuali che facevano della cultura e della
raffinatezza la propria cifra di vita. Al contrario Jay Mendelsohn è rimasto
per Daniel un mistero indagato cautamente nel corso degli anni, il polo opposto
di una madre bella, colta e gioviale, anch’essa insegnante amata dagli
studenti. La presenza del genitore al seminario del figlio assume un carattere
perturbante, visto che l’approccio dell’anziano matematico all’”Odissea” tende
sempre a demistificare con i suoi dubbi e le sue domande le situazioni eroiche
e avventurose e la figura stessa di Odisseo: un comandante che perde tutti i
suoi uomini, è costantemente aiutato dalla dea Atena e talvolta piange.
Ma anche grazie a questi giudizi negativi, gli studenti sono spinti a una
riflessione più stimolante e approfondita sulle avventure e le situazioni
narrate da Omero. Uno dei maggiori spunti di interesse del libro consiste
proprio nel constatare ancora una volta come la didattica anglosassone tenda a
valorizzare un approccio partecipativo degli studenti. I nodi del testo sono
indicati dall’insegnante che stimola i giovani allievi a dare una propria
interpretazione dei diversi episodi in un dibattito aperto e coinvolgente.
Questo da’ modo a Mendelsohn di fare un’ottima divulgazione anche per i lettori
che poco sanno o ricordano del poema omerico, il quale viene rinarrato nei suoi
episodi chiave e nei suoi personaggi. Ed essi spingono l’autore a recuperare
nella memoria diversi momenti della vita del padre e del rapporto con lui.
La tragicomica crociera in Grecia diventa l’occasione per il genitore di
mostrare il suo lato più emotivo e sensibile, grazie all’affiorare di episodi
giovanili e riflessioni sull’amore, specialmente legati a vecchie canzoni. Il
tragitto sui luoghi di Ulisse e il seminario spingono il figlio a compiere a
sua volta un viaggio simile a quello di Telemaco, per interrogare i migliori
amici di Jay Mendelsohn e i fratelli sulla giovinezza quasi sconosciuta del
padre. Questi ha sempre costruito con le sue parole un ritratto di sé e delle
sue scelte che i ricordi di amici e fratelli correggono in senso positivo. Le
scoperte si rivelano sorprendenti, facendo emergere il ritratto di un giovane
uomo cresciuto quasi da solo, appassionatamente preso dallo studio di ogni
disciplina umanistica e scientifica e disposto a arruolarsi subito dopo la fine
della guerra pur di accedere gratuitamente al college, altrimenti impossibile
da frequentare. Un uomo ambizioso e quasi ulissico per la curiosità
intellettuale che ne ha guidato molte scelte di vita.
Attraverso l’intreccio e la sovrapposizione di autobiografia e racconto,
Mendelsohn fa scoprire o riscoprire così al lettore il piacere della narrazione,
una delle componenti – chiave dell’”Odissea”, e il valore paradigmatico che
hanno le avventure di Odisseo. L’accecamento di Polifemo, la tentazione delle
Sirene, i rapporti ambigui dell’eroe con Calipso e Circe non sono semplicemente
narrazioni divertenti, ma fanno riflettere chi ne legge oggi su qualcosa di
significativo per la sua vita, tanto quanto per il pubblico di duemilaottocento
anni fa questi racconti erano educativi in senso ampio. La metafora scontata di
un grande racconto di viaggio come immagine della vita si anima di sottofondi e
sfumature grazie al ritratto in pubblico di un rapporto essenziale, quello
padre – figlio, inscenato come un itinerario di scoperte.
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