Con queste
parole Giampaolo Malgeri esordisce nella sua prefazione al volume di Marcello
Rinaldi “Verso un’inevitabile amicizia. Italia e Grecia tra il 26 maggio 1944 e
il 5 novembre 1948”, edito dalla Società Editrice Dante Alighieri nella collana
della «Biblioteca della Nuova Rivista Storica».
10 MAGGIO 2018 | di Dino Messina
di Valentina Sommella
“Esistono
aspetti della politica estera dell’Italia che non hanno goduto della giusta
attenzione da parte della nostra storiografia o, come nel presente caso, sono
stati esaminati distrattamente, come tema secondario in relazione ad altre e
più rilevanti problematiche. Così, la vicenda dei rapporti tra Italia e Grecia
alla fine della Seconda Guerra mondiale, sovrastata dalle fondamentali
questioni della frontiera orientale e del destino delle colonie, è rimasta colpevolmente
in ombra”.
Con queste
parole, Malgeri vuole anche e soprattutto rendere il lettore fin da subito
consapevole di avere tra le mani un contributo che rappresenta una novità nel
dibattito storiografico sulla politica estera italiana nel Secondo dopoguerra;
un dibattito fin qui forse troppo avviluppatosi su questioni quali quella delle
colonie o del confine orientale, sì fondamentali per un’Italia uscita sconfitta
dalla Seconda Guerra mondiale, ma certamente non le sole ad aver preoccupato i
governi e la diplomazia italiana di allora: loro prioritaria preoccupazione era
stata invitare le Potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale a saper
distinguere la “nuova Italia democratica” dall’Italia fascista di Mussolini,
condizione dalla quale poter poi opportunamente lavorare per restituire al loro
Paese un protagonismo, naturalmente ben diverso dai più recenti trascorsi, sia
in Europa che, ancor prima, nel Mediterraneo.
Per
consentire alla “nuova Italia” di tornare a rivestire, dopo la disfatta bellica,
quel ruolo di naturale e tradizionale punto di riferimento nel bacino del
Mediterraneo, Palazzo Chigi non avrebbe potuto fare a meno di guardare a un
altro importante – divenuto in quel periodo fondamentale – crocevia di
quest’area geografica, ossia alla Grecia, con l’obiettivo ultimo di arrivare a
un’amicizia nuova tra Roma e Atene che superasse, pur senza dimenticarli, gli
anni della guerra, specialmente i momenti bui dell’aggressione italiana del 28
ottobre 1940 e del successivo periodo di occupazione italo-bulgaro-tedesca del
territorio ellenico. Tale amicizia italo-greca sarebbe stata formalizzata a
Sanremo il 5 novembre 1948, con le firme apposte dal Ministro degli Esteri
italiano Carlo Sforza e da quello greco Costantino Tsaldàris sul Trattato di Amicizia,
Commercio e Navigazione, punto di arrivo di un quadriennio in cui i rapporti
italo-ellenici non erano stati affatto facili.
Frutto di un
voluminoso lavoro d’archivio e di una capillare analisi di fonti primarie e
secondarie, sempre opportunamente interpretate dall’autore in relazione sia
alle vicissitudini di politica interna italiane e greche sia alle importanti
evoluzioni di un contesto internazionale in rapido transito dalle fasi finali
della Seconda Guerra mondiale al mondo bipolare della Guerra Fredda, Verso
un’inevitabile amicizia si presenta come una consistente monografia che già dal
titolo desta curiosità al lettore: in particolare quell’aggettivo “inevitabile”
invoglia a capire perché, secondo Rinaldi, il rapporto tra due Stati rimasti formalmente
“nemici” anche dopo la cessazione delle operazioni belliche in Europa si fosse
poi risolto in poco tempo – sostanzialmente quello della periodizzazione
indicata nel sottotitolo dell’opera – in una formale amicizia tra la Repubblica
Italiana e il Regno di Grecia.
Organizzato
in quattro robusti e articolati capitoli, preceduti da un Prologo e seguiti da
un Epilogo, il volume qui recensito muove da un episodio ben preciso, indicato
nel sottotitolo con la data del 26 maggio 1944. Quel giorno Italia e Grecia
erano tornate a parlarsi per la prima volta dopo i più che recenti avvenimenti
bellici intercorsi tra i due Paesi. Protagonisti di quel “primo contatto”
avvenuto presso Napoli erano stati Renato Prunas e Ioànnis Polìtis,
rispettivamente il Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri del
“Regno del Sud” e il Rappresentante del governo greco in esilio al Cairo presso
il Comitato Consultivo alleato per l’Italia. Si tratta evidentemente di due
uomini di peso, nell’occasione portavoce di governi entrambi impegnati in quel
periodo in lotte interne ai loro Paesi occupati, opportunamente presentate
dall’autore per agevolare il lettore ad aver immediatamente chiare quale Italia
e quale Grecia avrebbero, circa quattro anni dopo, stretto amicizia a Sanremo.
In particolare, una volta riassunta nella prima parte la più nota situazione
italiana scaturita dall’8 settembre 1943, Rinaldi, nella seconda parte del
Prologo, traccia un quadro più che esaustivo della frammentazione del panorama
politico ellenico tra il 1943 e il 1944, spaccato essenzialmente in tre
blocchi: innanzitutto esecutivi collaborazionisti dell’occupante tedesco e
bulgaro presenti ad Atene, poi una galassia di gruppi della Resistenza ellenica
tra loro antagonisti e coattamente messi d’accordo dal Fronte di Liberazione
Nazionale (EAM) capeggiato dal Partito Comunista Greco (KKE), infine il governo
allora in esilio al Cairo del Re degli Elleni Giorgio II, esecutivo protetto
dagli Alleati – principalmente dagli Inglesi – e in continuità con quella
Grecia dell’óχι all’ultimatum italiano preludio all’aggressione del 28 ottobre
1940; un governo dunque espressione di quella “Grecia legittima” che,
contrapposta all’EAM e al KKE nella Guerra Civile Ellenica, è indicata fin da
subito da Rinaldi come la Grecia co-artefice dell’amicizia del 5 novembre 1948
con la Repubblica Italiana.
L’incontro
tra Prunas e Polìtis del 26 maggio 1944 non aveva affatto costituito un
superamento dello stato d’inimicizia italo-greco scaturito dall’attacco
italiano al territorio ellenico del 1940; infatti l’autore de Verso
un’inevitabile amicizia argomenta ripetutamente, in particolare nei primi due
capitoli del libro, come i governi della “Grecia legittima” avessero continuato
a considerare l’Italia e il popolo italiano, non volendoli inizialmente nemmeno
distinguere dall’esperienza fascista, “nemici” a tutti gli effetti della
Nazione greca. Gli esecutivi greci, e con loro la stampa ellenica, avrebbero
essenzialmente mantenuto questo atteggiamento non solo fino alla cessazione delle
ostilità in Europa, ma ancora per un ulteriore anno: solo il 24 giugno 1946,
attraverso uno Scambio di Note tra i rispettivi Ministri degli Esteri, i
governi italiano e greco avrebbero ripreso tra loro relazioni diplomatiche,
oltretutto non piene o “normali” bensì “dirette”, vale a dire impostate, per
volere ellenico, sul solo scambio di reciproci Rappresentanti politici non
aventi il rango di Ambasciatore o semplicemente di Ministro.
La data del
24 giugno 1946 può sicuramente essere considerata un momento importante nella
ricostruzione di Rinaldi. Pur tuttavia egli lascia anche ben intendere che
sarebbe improprio ritenere la ripresa di relazioni diplomatiche dirette
italo-elleniche una vera e propria cesura tra “un prima”, in cui i Greci si
erano fermamente attestati sulla posizione dell’“Italia nemica”, e “un poi”,
nel quale Atene avrebbe invece lavorato di comune accordo con Roma per arrivare
all’amicizia di Sanremo: da una parte, prima del 24 giugno 1946, i diversi
governi greci tra loro succedutisi non erano stati in fondo tutti così
granitici nel non voler stringere rapporti diplomatici con quelli italiani, ne
sia dimostrazione l’intensa e propositiva attività di dialogo svolta nella
Penisola da Gheòrghios Exindaris, successore di Polìtis quale Rappresentante
ellenico presso il Comitato Consultivo alleato per l’Italia; dall’altra, dopo
quella data, ad Atene non si era affatto pensato che con Roma erano stati
improvvisamente regolati i conti del recente passato al punto tale da aprire
negoziati per stabilire un’amicizia tra i due Paesi, prova ne sia proprio la
pretesa greca, accuratamente puntualizzata da Rinaldi, di non volere nella
capitale ellenica un Ambasciatore o un Ministro italiano, ma solo e
semplicemente un Rappresentante politico.
In realtà,
l’elemento principale che impedisce di reputare quale cesura lo scambio di Note
italo-greco del giugno 1946 è la questione della pace italiana, una costante
per i Greci determinante ab origine la loro attitudine verso l’Italia per tutto
il periodo studiato e ricostruito da Rinaldi. Era stata più che altro la paura
di trovarsi in sede di Conferenza di pace di fronte a un’Italia in un certo
senso “perdonata” dalle maggiori Potenze alleate, specialmente da Gran Bretagna
e Stati Uniti, a indurre gli esecutivi greci a disconoscere inizialmente la
distinzione sostenuta dai governi antifascisti italiani tra il regime di
Mussolini e il popolo italiano vittima del fascismo, e dunque a portare Atene a
insistere nel dichiarare l’Italia e il suo popolo ancora “nemici” della Grecia
a dispetto degli armistizi del settembre 1943 e di episodi quali il
riconoscimento anglo-americano della cobelligeranza italiana e la Dichiarazione
di Hyde Park pronunciata da Churchill e Roosevelt. Proprio simili episodi
avrebbero ancor più alimentato questa paura greca, poiché avvertiti come spia
di una nuova Italia democratica e antifascista che, in quanto tale, avrebbe
potuto alla fine anche essere considerata non così responsabile del secondo
conflitto mondiale e pertanto non così colpevole per quanto subìto dalla Grecia
dal 28 ottobre 1940 in poi, il che, di conseguenza, avrebbe anche potuto
tradursi in un mancato o solo parziale riconoscimento da parte delle Nazioni
Unite di tutto quello che gli Italiani aggressori e sconfitti avrebbero dovuto
ai Greci vincitori in termini di cessioni territoriali, riparazioni e via
discorrendo. Una possibilità quest’ultima fortemente temuta dai governi
ellenici, al punto tale da spiegare non solo il loro reiterato procrastinare la
ripresa delle relazioni diplomatiche italo-greche fino all’ottenuta certezza,
una volta superate le remore sovietiche, del definitivo assenso di USA, URSS,
Regno Unito e Francia all’annessione greca del Dodecaneso, ma anche i seguenti
vincoli posti da Tsaldàris, analizzati da Rinaldi negli ultimi due capitoli
nonché nell’Epilogo: anzitutto quello di elevare a “normali” i rapporti
diplomatici diretti tra Italia e Grecia attraverso lo scambio di Ministri
Plenipotenziari non prima però che Roma e Atene avessero depositato a Parigi i
rispettivi strumenti di ratifica del Trattato di pace italiano; poi quello di
provare a legare il più possibile, se non addirittura indissolubilmente, la
stesura e la firma di un Trattato d’Amicizia, proposto e promosso da Sforza nel
1948, alla contemporanea e globale soluzione di tutte le questioni ancora
pendenti tra i due Paesi, su tutte quella delle modalità e dei termini di
pagamento dei 105 milioni di dollari di riparazioni dovuti dall’Italia alla
Grecia ai sensi del Trattato di Parigi del 10 febbraio 1947; infine il vincolo
di stringere un’amicizia che non avrebbe in alcun modo e per alcun motivo
potuto e dovuto prescindere dal fondarsi sul peso morale e storico
dell’aggressione italiana del 28 ottobre 1948, riconosciuto nel Preambolo del
Trattato di Sanremo da parte italiana con l’adozione della formula «… animés
d’un égal désir de renouer la tradition et resserrer les liens d’amitié entre
leurs deux Pays …».
Riportata
testualmente nel titolo dell’Epilogo, tale formula, voluta dai Greci in luogo
della più consueta «… animés d’un égal désir de resserrer les liens d’amitié
traditionnelle entre leurs deux Pays …», è commentata da Rinaldi come «un
inciso da considerare probabilmente il massimo risultato politico
effettivamente conseguibile per … Tsaldàris e per il suo dicastero degli Esteri
nel quadro delle tutt’altro che facili relazioni italo-elleniche di
quell’immediato Secondo dopoguerra»; i Greci, infatti, «difficilmente avrebbero
potuto ottenere qualcosa di più dall’esecutivo di Roma», in virtù di una
diplomazia italiana ben consapevole del bisogno per la Grecia, immersa in una
lunga e logorante guerra civile, di stringere un’amicizia con l’Italia che le
consentisse di raggiungere in primis i seguenti obiettivi: tentare di venir
fuori da un isolamento balcanico frutto di una Guerra Fredda nella sua fase
embrionale e di avere a che fare stabilmente con un partner commerciale
interessato, diversamente dal monopolio anglo-americano imperante nell’economia
ellenica, ad assorbire almeno una parte del non trascurabile surplus di merci
greche d’esportazione – su tutte il tabacco – accumulatosi a seguito della
disfatta bellica della Germania, che fino al 1943-1944 era stata il
tradizionale mercato di riferimento per l’export ellenico.
Dal volume
emerge chiaramente come le questioni economiche e commerciali, al pari di
quelle più prettamente politiche e geopolitiche, fossero state determinanti ai
fini del processo di avvicinamento italo-ellenico nell’immediato Secondo
dopoguerra; ne siano prova le approfondite riflessioni e valutazioni fatte da
Rinaldi intorno all’intesa commerciale provvisoria siglata ad Atene da
Tsaldàris e da Giuseppe Cosmelli il 31 marzo 1947, uno dei momenti chiave nel
cammino verso un’amicizia “inevitabile” non solo per la Grecia, ma anche per
un’Italia «intenzionata a ritornare protagonista a pieno titolo nel
Mediterraneo dopo il disastro della guerra». A tal proposito, nel febbraio
1947, cioè proprio contemporaneamente ai negoziati in corso nella capitale
greca tra Tsaldàris e Cosmelli e subito dopo la firma a Parigi del Trattato di
pace, Sforza aveva lanciato l’idea di una cooperazione tra gli Stati
mediterranei, rivolgendosi prima alla Nazione turca con un Messaggio pubblicato
il 17 sul giornale «Tasvir» e poi, quattro giorni dopo, ai Greci mediante
quattro risposte rilasciate al corrispondente a Roma della testata ellenica
«Vradynì». Favorevolmente salutato sia ad Ankara che ad Atene – e non avrebbe
potuto essere altrimenti per due realtà come quella turca e greca in quel
momento più di altre direttamente esposte alla minaccia slavo-comunista –, il
lancio di quest’idea del neo-Ministro degli Esteri italiano rappresenta per
Rinaldi l’effettivo inizio «di una nuova politica mediterranea intrapresa dalla
diplomazia italiana, secondo la quale l’Italia, sfruttando opportunamente
l’avvicendamento tra Gran Bretagna e Stati Uniti nel ruolo di massima Potenza
di riferimento nel Mediterraneo, si sarebbe dovuta essenzialmente impegnare a
ritagliarsi il proprio spazio e i propri margini di manovra in quella che da
sempre era stata l’area di suo maggior interesse». Nel perseguire una simile
politica di medio-lungo periodo, l’Italia avrebbe dovuto necessariamente
promuovere «una sana e fruttuosa cooperazione con gli Stati del Mediterraneo,
il che sarebbe stato possibile anche e soprattutto attraverso la stipulazione
di Trattati d’Amicizia come quello stretto con la Grecia a Sanremo il 5
novembre 1948», punto di arrivo, esattamente settant’anni dopo, di
quest’interessante e non poco originale ricerca condotta da Marcello Rinaldi.
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