Grecia,1936,
la dittatura di Metaxas e gli occhi di una bambina. La tigre in vetrina, il
libro di esordio della scrittrice per ragazzi Alki Zei, uscito in Italia nel
1978 per Einaudi, è stato recentemente rieditato da Salani nella traduzione di
Marisa Aboaf Lorenzi.
23/05/2018 - Diego Zandel
La ormai
novantaduenne Alki Zei è prettamente una scrittrice per ragazzi (e, in questa
veste è stata invitata al Salone del Libro di Torino di quest’anno, per
presentare la traduzione in italiano del suo libro “Il nonno bugiardo”, edito
da Camelozampa). Fa eccezione, per essere sostanzialmente il suo unico romanzo
scritto per gli adulti, il bellissimo “La fidanzata di Achille”, edito da
Crocetti una ventina di anni fa, nel quale la scrittrice greca affronta il tema
dei condizionamenti che una donna subisce pur nella fortuna, e magari
l’orgoglio, di essere la sposa di un dirigente rivoluzionario, considerato dai
suoi un eroe. Come capita alla protagonista del romanzo, Elena, che ripercorre
tappe della vita stessa della scrittrice - comunista, esule in Unione Sovietica
dal 1954 al 1964 durante i cosiddetti “anni di pietra”, quando il KKE, in
seguito alla guerra civile che aveva dilaniato il paese dal 1946 al 1949, venne
messo al bando, e più tardi a Parigi, durante la dittatura dei colonnelli – la
donna non potrà mai godere di una propria autonomia e libertà di decisione,
dovendo infatti sempre tener conto delle esigenze politiche e degli obblighi
morali, se non moralistici, imposti dalla sua posizione prima di fidanzata e poi
moglie del compagno Achille.
Un’analisi
profonda la sua che invita alla riflessione, a sinistra, sul rapporto tra la
teoria della liberazione dell’essere umano dai vincoli sovrastrutturali imposti
dalla società e la prassi nel concreto della vita quotidiana e sociale vera e
propria. Rapporto che la storia dei paesi dell’est, ma anche la vita dei
partiti comunisti nei paesi occidentali, là dove questa è stata significativa,
ha rivelato generalmente fallimentare e bisognoso ancora di una elaborazione che
non si fermi alla teoria o alle sole intenzioni, bensì che si eserciti nei
fatti.
Detto
questo, veniamo a parlare di un libro significativo di Alki Zei, rieditato in
questi giorni da Salani, una casa editrice che, pur non esulando dalla
pubblicazione di importanti titoli per adulti, si è caratterizzata in
particolare nella narrativa per ragazzi. Parliamo de “La tigre in vetrina”, il
suo libro d’esordio e che forse le ha dato maggior fama nel mondo. In Italia fu
già pubblicato da Einaudi nel 1978 nella tradizionale collana di narrativa
dell’editore torinese dei Nuovi Coralli. Era un anno ancora non lontano dalla
caduta del regime dei colonnelli, avvenuta nel 1974, che segnava il ritorno
alla piena libertà della Grecia dalla fine della guerra civile con il ripristino
dei partiti, anche quello comunista, e dei fondamentali diritti umani. Alki
Zei, tornata in patria dall’esilio parigino, poteva finalmente scrivere in
piena libertà, affrontando le tematiche che più le stavano a cuore, tematiche
politiche, ma trattate in forma di favole e, soprattutto, in un linguaggio a
misura di adolescenti.
Il migliore
esempio viene proprio da “La tigre in vetrina”, un romanzo ambientato nel 1936,
durante la dittatura di Metaxas, metafora ovviamente di tutte le altre
dittature di stampo nazionalista, che si sono succedute in Grecia e che narra
in prima persona l’infanzia trasparentemente autobiografica, di una bambina,
Melissa, chiamata col diminutivo di Melia, in un’isola dell’Egeo. E lo fa con
una freschezza e lievità tali per cui, chiuso il libro, resta il dubbio se esso
sia un romanzo politico oppure una sorta di “avventura” personale in cui
l’elemento politico debba necessariamente entrare data l’epoca in cui, appunto,
il romanzo è ambientato.
A suscitare
questa impressione è forse l’ottica con la quale molte vicende sono messe a
fuoco: quella di come apparivano allora agli occhi della bambina protagonista
(nel 1936 Alki Zei aveva 11 anni, essendo nata ad Atene nel 1925). E si sa
quanto sia difficile nell’infanzia discernere il gioco dalla realtà, la fiaba
dal dramma. Così, in questa complessità che non è solo puramente narrativa ma
anche scelta di linguaggio, un elemento accompagna l’altro in un quadro che ci
affida intatti il sapore di quella infanzia e insieme gli eventi che
travolgeranno i più limpidi valori della società civile greca del tempo.
La trama del
libro è esile, pur sullo sfondo avventuroso recepito dai bambini che ne sono i
protagonisti, Melissa stessa, la sorella Myrto, gli amici Manolis e Pipitsa, in
un interno famigliare piccolo borghese col padre impiegato di banca e timoroso
di perdere il posto di lavoro se si espone troppo politicamente, il nonno
dignitoso oppositore e cultore degli antichi greci, la mamma dalla vita schiva
ma con le sue idee, la zia Despina, invadente e di funesta fede monarchica, la
domestica Stamatina, simpatica e complice del vero protagonista del romanzo, il
cugino maggiore Nikos, oppositore del regime, ricercato dalla polizia e per il
quale i ragazzi stravedono per la sua capacità con la sua vita e i suoi
racconti fantastici di animare le loro giornate, grazie a storie imperniate
sulla tigre impagliata che zia Despina tiene chiusa nella vetrina del suo
salotto. Una tigre che diventerà presto il tramite di messaggi clandestini che
renderanno vivaci e pericolose, seppur in una chiave che non esclude il
divertimento, le giornate dei ragazzi e, perché no?, dei lettori.
Ultima
annotazione la traduzione del romanzo edito da Salani è la stessa di quella
edita da Einaudi vent’anni fa, cioè di Marisa Aboaf Lorenzi.
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