L’autobiografia di Angelo Celli, nato a Sartiano
(oggi nel comune di Novafeltria) nel 1860 è diventata l’occasione per un gruppo
di studiosi opportunamente preparati da una equipe di professori universitari,
allora coordinata dalla locale Comunità Montana, per uno studio attento e
meticoloso della storia sociale e antropologica tardo ottocentesca di tutta la
Valmarecchia.
9 Maggio 2018
9 Maggio 2018
Il professor Silvestro Venturi, il prof. Roberto
Monacchi, l’avvocato Lorenzo Valenti La prof.ssa Tea Giannini Celi e il signor
Luigi Rossini sono gli autori di un volume uscito nel 1986 dal titolo “Odissea
di Angelo Celli e di tutta la sua famiglia” che racconta appunto la travagliata
vita di un uomo come tanti altri tramite i suoi scritti diretti, e quelli di
altri personaggi del tempo. Prendendo spunto da essa fu decodificata la
difficilissima e assai precaria situazione del nostro territorio a tutti i
livelli nella seconda metà dell’ Ottocento.
Ora il gruppo di ricerca sopracitato ha ricevuto
dall’Ente Parco dello zolfo e delle Marche un finanziamento per la ristampa del
volume, con la collaborazione- si auspica- della società di studi storici
leontina e con l’occasione sono stati effettuati ulteriori approfondimenti che
hanno portato alla luce scenari ed eventi inediti ma preziosi per la storia
della Valmarecchia. Il libro è stato arricchito da vivaci documenti
cartografici provenienti dall’Archivio di Stato di Pesaro Urbino che rivelano
conformazioni dimenticate di paesaggi e di centri abitati ormai sconosciute ai
tempi nostri. Gli studiosi hanno potuto ricostruire gli eventi, anche
sanguinosi, seguendone la dinamica direttamente sulle mappe dei tempi grazie a
un certosino lavoro di ricerca capillare fra i documenti e gli archivi. Una
frase nei racconti di Celli ha attirato l’attenzione dei ricercatori: quando
andò in Grecia egli fu accolto a braccia aperte, contrariamente a quanto di
solito accade agli immigrati. Il professor Venturi, con il suo team di
studiosi, ha voluto capire il motivo di tale festosa accoglienza e ha scoperto
un legame che unisce le nostre zone a Kamariza e Lavrio, città greca sull’Egeo
a sud di Atene in una zona ricca di miniere di piombo argentifero e zinco.
L’area deve la sua fortuna a un imprenditore riminese, Gianbattista Serpieri,
che nella seconda metà dell’Ottocento trovò il modo di realizzare profitti
dalle tonnellate di scorie prodotte dalla lavorazione dei metalli estratti
dalla miniera. Costruì dunque strade, scuole e infrastrutture creando posti di
lavoro e attirando così centinaia di famiglie anche feretrane e la zona, prima
poverissima e quasi disabitata, conobbe un periodo d’oro di prosperità e
sviluppo, ma anche di problemi, purtroppo sempre connessi allo sviluppo
industriale. Nel 1888 poi Serpieri acquistò le miniere di rame della
Montecatini a Val di Cecina che in seguito, col celebre Guido Donegani, ebbe
stretti rapporti anche con le miniere di zolfo di Perticara e delle zone
limitrofe..
Il padre di Serpieri, Enrico, nel 1844 fu arrestato in
seguito ai moti risorgimentali di quegli anni e rinchiuso nelle carceri di San
Leo e affidò alla carta il racconto di quegli anni terribili di prigionia e
privazioni.
Giambattista Serpieri, dopo anni in cui fu considerato un
filantropo benefattore, è stato in seguito osteggiato e dipinto come un
colonialista, un truffatore, e fu anche accusato di aver portato inquinamento
con i fumi delle industrie da lui create. Il gruppo di ricerca finanziato dal
Parco dello zolfo delle Marche ha inserito la vicenda di Serpieri nella
ristampa del volume su Angelo Celli per riabilitare la figura dell’industriale
riminese e creare un gemellaggio fra il museo di Lavrio e il museo dello zolfo
di Perticara, ricreando quel ponte che ha unito l’Italia, e in particolare la
Romagna e la Valmarecchia, alla Grecia.
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