Conferenza
al Circolo Unione con l’archeologo Paolo Scalora. Dopo i saluti della
presidente di Italia Nostra, Lucia Acerra, è stato illustrato ad un pubblico
attento e interessato il variegato e ancora poco conosciuto patrimonio
archeologico della penisola Maddalena, partendo dal ricordo di Enzo Maiorca,
attraverso una serie di immagini e rilievi. Dopo aver sintetizzato la storia
della ricerca archeologica, lo studioso Scalara ha raccontato le sue indagini
al Plemmirio, soffermandosi, soprattutto, sui nuovi dati sulla preistoria.
Paolo
Scalora ha intrattenuto l’uditorio su “Plemmirio archeologia e storia di una
Penisola”. Attraverso una brillante esposizione corredata da immagini di luoghi
e di mappe, Scalora, che ricordiamo è autore del volume “Archeologia del
Plemmirio, dalla preistoria alla tarda
antichità”, ha esposto in maniera sistematica ed esaustiva la storia di
questo meraviglioso angolo del nostro territorio ricco di testimonianze
archeologiche,storiche e naturalistiche di rilevante importanza per la
comprensione della storia della nostra città.
Nato dalla
revisione e dall’approfondimento della tesi di laurea Magistrale in Archeologia
conseguita col massimo dei voti presso l’Università degli Studi di Catania, il
volume di Paolo Scalora, “Archeologia del Plemmirio dalla Preistoria alla Tarda
Antichità” (con prefazione di Lorenzo Guzzardi) ricostruisce il profilo storico
della penisola della Maddalena fino alle soglie del Medioevo, attraverso lo
studio delle numerose testimonianze archeologiche e delle fonti scritte antiche
e moderne, a partire dagli aspetti geologico e naturalistico; un patrimonio
archeologico straordinario inaspettato e ancora poco conosciuto al grande
pubblico, fatto di tombe dell’età del Bronzo e del Ferro, tombe greche, ipogei
paleocristiani, fornaci per calce, latomie, carraie, resti di villaggi
preistorici, relitti, resti paleontologici, batterie militari della seconda
guerra mondiale e i ruderi di un monumento funerario greco eccezionale.
“Per la
stesura della tesi di laurea (relatore prof. Pietro Militello) mi concentrai
sull’età preistorica – ci racconta Paolo Scalora – e quindi fondamentalmente
sull’età del Medio Bronzo (XV-XIII sec. a.C.), documentata dalle numerose tombe
edite da Orsi a fine Ottocento (poco più di 50): in zona Massolivieri alle spalle
di Punta Mola, dove c’è il nucleo più corposo con una quarantina di tombe a
pozzetto (ipogeiche), avviai la mia indagine topografica (con le autorizzazioni
della Soprintendenza e del marchese Di Gresy) riportando nuovamente alla luce,
per così dire, 15 sepolcri liberandoli dalla fitta vegetazione e facendo di
ognuno uno schizzo planimetrico: fatta eccezione per una o due, tutte le altre
tombe non erano mai state disegnate né ai tempi di Orsi né in tempi recenti”.
Non solo, ma
Paolo Scalora si ritrova davanti a sepolcri di cui Orsi non fornì nessuna
descrizione. “Dopo la tesi estesi la mia attenzione anche all’età greco-romana,
ma fu quella preistorica a regalare altre grandi sorprese. Sollecitato dal
dott. Lorenzo Guzzardi ad effettuare un sopralluogo a Villa Messina (c.da
Isola), – racconta il giovane archeologo –
ci recammo sul posto, insieme al disegnatore Giancarlo Filantropi, dove
venivamo calorosamente accolti dai proprietari. In una parete calcarea, sulla
cui sommità è la Villa, si aprono sepolcri di varia epoca, dall’età del Bronzo
a quella paleocristiana, e tra tutti spicca una tholos, curiosamente sfuggita
all’attenzione di Orsi e dei suoi collaboratori (come tutto il sito), evidente
retaggio di quei felici rapporti col mondo egeo- miceneo durante il Medio
Bronzo. Altri importantissimi risultati si sono ottenuti in altre zone del
Plemmirio con l’attestazione di altre tombe a grotticella artificiale sia
dell’Antico Bronzo che dell’età del Ferro: dunque, la presenza antropica nella
penisola è stata molto più duratura e rilevante di quanto non si pensasse sulla
scorta delle ricerche topografiche, ormai datate, di Orsi.
Con
l’avvento dei Greci il nostro promontorio prese il nome di Plemmyrion (poi
latinizzato dai Romani in Plemmyrium) che significa “ondoso”, in quanto
particolarmente soggetto ai marosi e reso celebre dai noti versi di Virgilio
nell’Eneide. I Greci lungo le coste aprirono numerose latomie, la cui pietra
calcarenitica servì per la costruzione dei templi arcaici (secondo l’opinione
comune). I conci estratti sapientemente venivano trasportati a Ortigia via
mare, risparmiando tempo e fatica.
Le più
grandi cave sono quelle che segnano suggestivamente la Punta della Mola. Ma ciò
che ha reso celebre il Plemmirio è l’assedio ateniese (415-413 a.C.), durante
il quale Nicia lo dotò di tre forti per controllare totalmente la bocca del
Porto. A detta degli eruditi dei secoli passati e di qualche studioso di oggi,
i resti di tali fortificazioni si conserverebbero su un’altura naturale, non
lontano dalla costa settentrionale, consistenti in un basamento circolare (del
diametro di m 24) delimitato, originariamente, da un doppio circolo di grandi
conci: pertanto fu detto “castello di Nicia”. Orsi, che ne scoprì le rovine nel
1897, seppur con qualche dubbio concluse che doveva trattarsi, invece, di un
grande tumulo dove furono sepolti i Siracusani caduti durante la guerra contro
gli Ateniesi, poiché all’interno vi trovò una grande fossa con ossa umane
combuste.
Gli
appuntamenti al Circolo Unione con Italia Nostra proseguono giovedì 29 novembre
alle 17,30, sarà la Prof.ssa Pina Cannizzo con la trattazione di un argomento
altrettanto interessante “ Le torri costiere del territorio di Siracusa” che
verranno illustrate con immagini e commentate con la solita perizia dalla
relatrice, una delle “colonne” della sezione siracusana.
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