La filologia non è soltanto
quel corso di laurea, la cui finalità è ignota ai più e che sovente provoca
grossi disagi allo studente medio nel tentativo di spiegarne lo scopo ai non
addetti ai lavori. Confusa per una rapida assonanza con “filosofia”, la
filologia è quella scienza che si occupa (solamente in parte) di ridare ai
testi la versione voluta in origine dall’autore. Il quesito arriva
spontaneamente: come? Ebbene, nella filologia si intersecano studi di diversi
settori: il filologo, infatti, può scoprire, smentire, ricostruire basandosi
sulla coerenza fra il testo e la storia, fra il testo e la sua veste
linguistica, fra il testo e il suo supporto scrittorio, fra il testo e le diverse
fonti coeve.
Nell’epoca della cosiddetta
post-verità, ogni affermazione, sia pur ben conservata e facilmente reperibile
(verba volant, scripta manent, Facebook non ti dico) subisce una serie di
infinite interpretazioni, che mirano a scardinare la responsabilità dell’autore
nei confronti della sua frase. Appare quasi spontaneo ritenere, quindi, la
filologia un approccio lontano, anacronistico, superfluo.A che serve ridare ad
un testo la sua veste originale, studiarne le interpretazioni, le ricadute storico-sociali,
quando nemmeno l’autore ne rivendica la paternità? Presto detto: la filologia
non è altro che la lente della coerenza sulla storia.
Origini della filologia
Come molte delle cose ben
riuscite nel corso della storia, i pionieri della filologia risalgono,
ovviamente, alla cultura greca/ellenistica, già prima della nascita di Cristo.
Gli ambienti privilegiati per la filologia erano Alessandria e Pergamo, dove
esistevano rispettivamente una grandiosa Biblioteca ed una famosa Scuola. Qui
la filologia assumeva la fisionomia di uno studio della grammatica,
dell’esegesi e dell’analisi retorica dei testi, che circolavano in rarissimi
esemplari, appannaggio di ricchi centri culturali o uomini illustri.
È con l’avvento degli
amanuensi, copisti di professione, che si creano le basi per una vera
filologia, per come oggi la intendiamo: l’operazione ci copia conforme
all’originale, spesso in una lingua differente dalla propria, comportava una
serie inevitabile di errori, che si trasmettevano da copia a copia.
Intensissima fu l’operazione di raccolta di opere durante il periodo di Carlo
Magno, all’interno della Schola Palatina, che copre il periodo dell’VIII-IX
secolo d.C.; contemporaneamente si assiste ad una rinascita ed un interesse
filologico nell’oriente bizantino, che mantiene fino alla caduta di
Costantinopoli un certo interesse per la trasmissione della cultura
greco-romana.
Lorenzo Valla, il primo
filologo
Ma se la geografia ha la
barbabietola da zucchero, la storia il limes egizio che si deposita dopo
l’esondazione del Nilo, se il latino ha rosa-rosae-rosae, l’italiano ha I
Promessi Sposi, la matematica le funzioni; insomma, se ogni ambito del sapere
ha la sua punta di diamante, la filologia non è da meno e trova la sua origine,
il suo masterpiece, il marchio di fabbrica nell’universo che circonda la
Donazione di Costantino. XV secolo, una Firenze in cui fioriscono gli stimoli
dell’umanesimo tutto italiano, e Lorenzo Valla, polemico e appassionato uomo di
cultura. È a partire questi elementi che viene pubblicato il De falso credita
et ementita Constantini donatione, un testo col quale Valla smonta una delle
più controverse pagine della tradizione cattolica.
La falsa donazione di
Costantino
La donazione di Costantino,
infatti, rappresentava la legittimazione del potere temporale della Chiesa:
Costantino il Grande (IV secolo d.C.), secondo questo documento, avrebbe
stabilito la supremazia del vescovo di Roma sulle altre chiese patriarcali
(Gerusalemme, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia) e di conseguenza su tutto
il mondo sacerdotale; ma soprattutto, l’imperatore avrebbe definito il potere
papale superiore a quello imperiale e per sancire questo (ndr.
vantaggiosissimo) sodalizio, avrebbe donato al papa enormi poteri e privilegi
sui territori dell’attuale Italia e su gran parte dell’attuale Europa
Occidentale. Lorenzo Valla, primo filologo propriamente detto della storia,
evidenzia alcune incongruenze, che ritardano necessariamente la periodizzazione
della Donazione: nel testo latino, infatti, comparivano numerosi elementi
anacronistici, come parole provenienti dalle lingue germaniche o termini ben
più tardi (la parola feudo o il riferimento a Costantinopoli, che sarebbe nata
solo successivamente). Pubblicato nei primi anni del XVI secolo, il testo di
Valla fu in pochi anni inserito dalle autorità ecclesiastiche nell’indice dei
Libri proibiti. La verità fa male, specialmente in epoche senza screenshot.
Cos’è oggi la filologia,
cosa fa ora il filologo?
Ma cos’è oggi la filologia?
Per rispondere bisogna interrogare il grande Alberto Varvaro, immenso filologo
siciliano, orgoglio dell’ateneo Federiciano, recentemente deceduto. Nella sua
Prima lezione di filologia, pubblicato nel 2012 con Laterza, Varvaro mostra i
diversi significati di questa parola e le accezioni differenti nelle altre
lingue (philology, philologie, filología), fino a mettere in evidenza la
difficoltà di una definizione univoca, con la straordinaria umiltà che sempre
lo ha contraddistinto.
La ricostruzione del testo
nella sua forma più adeguata possibile è certamente la fase preliminare del
lavoro filologico, ma non ne è il compimento. Quando lo studioso ha portato a
termine il lavoro ecdotico non ha affatto completato il suo lavoro: ne ha solo
costituito il necessario punto di partenza. Al testo, quale è stato
ricostruito, restano da porre tutte le domande che nel loro complesso
costituiscono i diversi aspetti dell’interpretazione, che è il fine reale della
filologia. (A. Varvaro, Prima lezione di filologia, pp. 11-12).
Il filologo e la tradizione
di un testo
Affrontiamo brevemente i
fattori in gioco nello studio filologico di un testo, senza una scientifica
pretesa di esaustività. Il primo passo da compiere riguarda la ricostruzione
della tradizione: cosa è accaduto al testo a partire dal concepimento da parte
dell’autore fino ad approdare ai giorni nostri? Dove, come, perché il testo si
è diffuso, in quale ambiente culturale, secondo quali traiettorie e sotto la
volontà di chi? Dietro i testi più famosi della storia letteraria, in
particolar modo nel Medioevo, si celano le grandi attività dei filologi, che
cercano di ricostruire le fasi di scrittura, copia, pubblicazioni (sia volute
dall’autore che, diremmo oggi, “pirata”) di differenti versioni dello stesso
testo. In questo bailamme di mani e manoscritti, interviene la filologia per
stabilire dei punti fermi, costituiti da versioni del testo che fungono da
esemplare per le altre successive copie.
Il filologo raccoglie, o
meglio, recensisce e ispeziona tutti i testimoni pervenuti di quel determinato
testo e delle sue versioni. Sulla base dei tratti comuni, e soprattutto degli
errori condivisi dalle versioni, può emergere quello che viene chiamato lo
stemma codicum, ossia un’ipotesi di relazioni fra i testimoni (e fra i
testimoni e ipotetici antecedenti detti archetipi) che permettono di trarre
conclusioni e definire, con un certo margine di errore, rapporti gerarchici. Il
metodo di ricostruzione più diffuso è detto Metodo di Lachmann, in onore del
creatore che operò il procedimento sul De rerum natura di Lucrezio.
Settore di particolare
rilevanza per la filologia è rappresentato dal mondo delle edizioni critiche,
con la quale si intende ricostruire e pubblicare un testo secondo determinate linee
d’azione: il lavoro può avvenire con lo scopo di pubblicare il testo secondo
l’ultima volontà dell’autore, ma non necessariamente e non esclusivamente. Si
può anche decidere di lavorare su una variante dello stesso testo, che ha avuto
una fortuna parallela a quella più “celebre”. Ne è un esempio la storia della
tradizione dei Promessi Sposi, circolati in differenti versioni e con diversi
titoli nel corso dei secoli. Nell’edizione critica, il filologo – editore si
occupa di esplicitare riferimenti e scelte operate, specialmente nel caso di
controversie linguistiche interne ad una sezione del testo: tutte queste
considerazioni rientrano in quello che viene chiamato apparato critico, che
spesso supera in dimensioni effettive lo stesso testo riprodotto.
Insomma: la filologia è
senza ombra di dubbio uno scomodissimo campo del sapere, un campo in cui si
cerca non solo la verità ultima di un’espressione linguistica, ma anche le
verità intermedie, le contraddizioni, le trasmissioni di quanto detto e
scritto. Rappresenta un esercizio mentale di grande rilevanza, che punta non
solo alla verità, ma alla coerenza di quanto detto con le incancellabili
dimensioni di tempo e spazio. Insomma, la filologia è così attuale da apparire
come uno strumento politico di finissima e intellettuale coerenza.
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