Dettaglio di Rhogudi con alcuni animali. Fotografia
via Wikipedia
Arroccate su un ciglione a 519 metri di altitudine un
grappolo di case, strette, quasi l’una sull’altra, formano un centro sospeso
tra il verde più inaccessibile e misterioso dell’Aspromonte.
Parliamo di Roghudi, uno dei borghi fantasma più
affascinanti della Calabria
Effettuando una rapida ricerca su Google, alla voce Roghudi
troviamo un risultato che parla di un piccolo comune in provincia di Reggio
Calabria, nei pressi di Melito di Porto Salvo, con anche un migliaio di
abitanti; dunque la domanda sorge spontanea: di quale borgo fantasma stiamo
parlando?
La risposta è presto data: il web ci riconduce a Roghudi
Nuova, il centro sorto sul finire degli anni ottanta del secolo scorso (nato
ufficialmente nel 1988) distante circa 40 chilometri dal borgo originario di
Roghudi, riportato sulle mappe come Roghudi Vecchio.
È Roghudi Vecchio la città fantasma di cui parliamo.
Abbarbicata sull’Aspromonte e affacciata sulla fiumara Amendolea, ora quasi
completamente secca, Roghudi è stata abbandonata tra il 1971 e il 1973, a causa
di un’emergenza alluvione e frane che aveva messo a serio rischio l’incolumità
della popolazione del borgo, che contava allora circa 1650 anime.
L’esodo fu imposto dall’allora sindaco Antonio Romeo:
Il paese era inagibile e pericoloso
Roghudi – il cui nome deriva dal greco“Rogòdes“, pieno di
crepacci, o da “Rhekhodes“, che significa aspro – era sorto intorno al 1050 da
alcuni gruppi di pastori nomadi che decisero di insediarsi e costruire le prime
abitazioni. Con i dissesti dell’inizio del 1971 i 1650 abitanti del borgo
aspromontano dovettero abbandonare le proprie dimore e si sparsero nelle zone
limitrofe della provincia di Reggio Calabria. Alcuni, stoici, resistettero,
riparando nella frazione di Ghorio di Roghudi (o Chorio – in greco “Paese”), ma
presto, con i nuovi smottamenti del 1973, dovettero cedere al volere della
natura.
Così Roghudi fu abbandonata e, come già detto, sul finire
degli anni ottanta nacque una enclave nel territorio di Melito di Porto Salvo
dove sorse la nuova Roghudi. È così che terminò il secolare isolamento della
popolazione di Roghudi, una distanza e impossibilità di intrecci con i paesi
più vicini constatabile ancor oggi: per arrivare al borgo abbandonato non
esistono infatti strade asfaltate; dopo aver percorso la strada provinciale
bisogna procedere per stradine accidentate, piene di buche e in preda alla
vegetazione.
Il lungo isolamento di Roghudi ha portato al mantenimento
di un particolarissimo dialetto, il grecanico (o greco calabrese), una lingua
che è una mescolanza tra l’antico greco dei territori della Magna Grecia e il
dialetto calabrese. Tra i poeti grecanici Roghudi ha dato i natali a
Mastr’Angelo Maesano, Francesca Tripodi, Salvatore Siviglia e Salvino Nucera;
di quest’ultimo esistono alcune opere come Agapào na Graspo (Città del Sole
Edizioni) e Chalònero (Qualecultura). Il grecanico è una lingua affascinante ed
enigmatica, un idioma del quale oggi sono in pochissimi i conoscitori e che,
come il vecchio borgo, è destinato a sparire.
In quello che fu il centro di Roghudi e nelle frazioni di
Ghorio e Ghalipò le case sono costruite in pietra e oggi risultano ricoperte di
piante, fogliame, rovi e muffa.
Le piccole abitazioni – ma tante, considerati i 1650
abitanti al tempo dell’esodo – oggi sono divenute dimora di topi e pipistrelli,
a loro agio tra le tenebre e la vegetazione. Generano un misto tra malinconia e
inquietudine i letti, le sedie, i mobili e gli armadi totalmente distrutti ma
ancora presenti in molte case, segno di una vita che c’era e che ora non c’è
più. Tra i vicoli muti di Roghudi spirano venti di tempi passati, di vecchie
leggende greche che si tramandano tra i più anziani, bambini nella Roghudi che
fu, ora lontani dal paese natio.
Nella frazione di Ghorio di Roghudi esistono due rocce
che, modellate da secoli di vento e di pioggia, hanno acquisito una particolare
conformazione: la “Rocca tu dracu”, Roccia del drago, ha una forma che ricorda
la testa di un drago, e leggenda vuole che fosse lui a decidere il destino del
borgo e a regolarne le alluvioni e gli smottamenti; le cosiddette “Vastarùcia“,
le Caldaie del latte, sono altre rocce che, modellate dagli agenti atmosferici,
hanno assunto una forma sferica in alcune parti, e secondo leggenda servirono
da nutrimento per il drago padrone del borgo.
Altre leggende vogliono che di notte i coraggiosi
visitatori del centro disabitato sentano le urla dei bambini cascati in passato
nel burrone che dà sulla fiumara Amendolea o le sirene delle Anarade, donne con
zoccoli di mulo al posto dei piedi in ricerca perenne di uomini da sedurre.
Roghudi Vecchio è in un’area a rischio R4, il che
significa che nel borgo non si può né costruire né vivere.
Le leggende, il grecanico e le vecchie abitazioni sono
destinate a svanire inghiottite dalla vegetazione
Il borgo fantasma di Calabria è stato protagonista di una
puntata del programma Ghost Town su Rai 5. Sotto, un video del National
Geographic mostra la piccola città abbandonata:
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