Παρασκευή 3 Μαρτίου 2017

Da Milano ad Atene, con l’Italia nel cuore: parla De Rosa

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Una scelta di cuore (la filologia) ed una di vita (la Grecia). Sembra quasi guidata dal richiamo di Itaca la vita del filologo italiano Maurizio De Rosa, che pur di seguire in “quel” loco traduzioni e cultura, ha deciso di lasciare la sua Milano per trasferirsi lì dove, oltre alla moderna letteratura, c’è solo l’imbarazzo della scelta quanto a volumi, tomi e storie di una civiltà che ha plasmato per sempre epoche e popoli.

Da Milano ad Atene. Come misura, da filologo italiano all’estero, la febbre della cultura italiana?

La cultura italiana, come peraltro ogni cultura contemporanea, è assai sfaccettata. Immagino che ci siano campi che ignoro e che, forse, sono all’avanguardia nel mondo. Per limitarmi al campo editoriale e letterario (di cui mi occupo) mi sembra di poter affermare che un grande problema in Italia, oggi, sia il basso livello di autostima. Gli editori, sempre più grandi e impersonali, volti alla sopravvivenza in un mercato sempre più complesso ma anche sempre più ristretto, hanno spesso rinunciato alla gioia della sperimentazione, alla follia della scommessa anche perdente. Le ragioni sono soprattutto economiche ma credo che la paura di osare sia anche dovuta alla terribile paura di sbagliare in un’epoca in cui gli errori si pagano molto cari. E chi non agisce per paura di sbagliare, non crede abbastanza in se stesso e nella forza delle sue scelte. A salvare l’onore degli editori ci sono per fortuna i capitani coraggiosi dell’editoria piccola e media di qualità, che meritano tutta la nostra stima e attenzione. L’assenza di gusto per la sperimentazione si riflette, naturalmente, anche sulla qualità dei libri pubblicati, che sotto una patina di assoluta perfezione (dovuto al lungo lavoro di equipe cui sono sottoposte le opere pubblicate dai grandi editori) celano talora una sconcertante assenza di personalità. Forse non è un caso che in Italia, come altrove, a vincere la partita delle vendite siano i libri di genere, per definizione ripetitivi e seriali. Peraltro niente di nuovo sotto il sole. Il romanzo ellenistico, così come quello del medioevo occidentale e del periodo bizantino, era basato appunto sulla serialità e sulla riconoscibilità delle situazioni e dei personaggi.

elitis

Il nome di Crocetti che ricordi le stimola?

Il nome di Nicola Crocetti (in foto qui sotto) mi riporta al periodo in cui stavo preparando la tesi di laurea, incentrata su un’opera minore di Odisseas Elitis (foto in alto), il poeta greco premio Nobel. Avevo appunto bisogno di un libro di Elitis pubblicato in Italia da Crocetti, che già mi era noto in quanto era, allora, l’unico editore italiano attivamente impegnato nella diffusione della letteratura neogreca. crocettiL’arrivo nell’atelier di Crocetti fu per me una grande emozione anche se purtroppo, in quell’occasione, non ebbi la fortuna di conoscerlo personalmente. Questo sarebbe accaduto un paio d’anni più tardi, quando Crocetti mi fece l’onore di affidarmi la mia prima traduzione (si trattava del romanzo di Zyranna Zateli “E alla luce del lupo ritornano”). Da allora molta acqua e ben 22 anni sono passati sotto i ponti ma nonostante tutto quello di Crocetti, con circa un centinaio di titoli in catalogo tra prosa e poesia, resta il tentativo più sistematico, completo e strutturato di far conoscere in Italia la ricchezza della civiltà letteraria della Grecia contemporanea.

Αποτέλεσμα εικόνας για Nicola Crocetti

Quando e come nasce il suo trasferimento in Grecia?

In Grecia mi sono recato per la prima volta nel 1992. Ero studente di Lettere classiche all’università Statale di Milano, volevo laurearmi in letteratura greca (antica) e per noi di Lettere classiche visitare le antichità elleniche era una specie di viaggio iniziatico. Per me lo fu senz’altro perché quel viaggio cambiò completamente la mia vita. Giunto in Grecia, scoprii che il greco studiato al liceo e poi all’università funzionava in misura notevole per la comprensione della lingua scritta ma era pressoché inservibile per comunicare con i greci. Questo perché la pratica scolastica italiana è incentrata sulla cosiddetta pronuncia erasmiana della lingua greca, che sebbene scientificamente giustificabile almeno per certi periodi della lunghissima storia della lingua greca, viene tuttavia arbitrariamente applicata anche a testi che risalgono, per esempio, al quindicesimo secolo, allorquando la pronuncia moderna è già ampiamente attestata. Questa situazione mi parve paradossale ma per me fu anche la presa di coscienza di quanto il “classico” sia in buona misura una costruzione culturale dei tempi moderni, che spesso poco o nulla ha a che vedere con la realtà storica del mondo greco. Lo stesso concetto di “greco antico” è puramente scolastico. La prima lingua comune dei greci si ebbe in età alessandrina, ossia a partire dal IV sec. a.C., e il cosiddetto greco classico è in realtà sostanzialmente il dialetto attico. Tornato in Italia da quel primo viaggio, decisi di seguire il lettorato di neogreco tenuto alla Statale da Amalìa Kolonia, un’insegnante greca di grande esperienza e preparazione. A poco a poco abbandonai la filologia classica e mi dedicai ad approfondire la sconosciutissima letteratura greca moderna e contemporanea, oltre che la storia e civiltà di un Paese tanto vicino ma relegato, ancor oggi e a maggior ragione allora, al dominio di un certo esotismo. Il resto è venuto da sé: le borse di studio ad Atene e Salonicco, le traduzioni per Crocetti e infine la collaborazione con il Centro nazionale ellenico del libro, che ha fornito l’occasione per il mio trasferimento ad Atene, fino a oggi.


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Dai Vangeli agli Atti degli Apostoli, dalla filosofia di Platone e Aristotele alle conquiste in campo medico e ingegneristico: il mondo moderno si è dimenticato della cultura classica?

La storia muta, la cultura muta e anche gli uomini mutano. La cultura classica soffre, a mio avviso, dell’impianto storicistico e in gran parte elitistico con cui viene tutt’ora trasmessa. Esso ha funzionato per moltissimi anni in un contesto culturale del tutto differente ma adesso mostra segnali di esaurimento. Oggi la sfida, a mio parere, su gioca su altri campi anche per la cultura classica. Non ho ricette da proporre né suggerimenti da dare. Dico soltanto che quando al grande pubblico si fornisce senso, esso non resta indifferente. La cultura classica abbonda di senso e soprattutto di senso primigenio, archetipico, che aiuta a comprendere anche l’oggi. Il punto è trovare nuove forme di trasmissione di questo senso. Quanti film hollywoodiani, per esempio, altro non sono che una variazione sul tema omerico del “ritorno dell’eroe creduto morto”? Il modello è chiaro: l’eroe subisce un torto o scompare, in generale è creduto morto, i suoi amici e il suo mondo sono in subbuglio. Ma infine l’eroe ritorna, svela la propria identità e i prepotenti, che avevano creduto di approfittare della sua debolezza o scomparsa, sono sconfitti. Su questo canovaccio omerico (ma già presente nell’epos di Gilgamesh) sono incentrati decine di film e di libri, e in un’ottica comparatistica e interdisciplinare non lascia indifferente neppure i giovani di oggi e non solo quelli che hanno scelto di frequentare il liceo classico.

Alcuni sostengono l’inutilità del liceo classico e di materie come il greco antico o la filosofia. Come replicare?

Si può replicare partendo dalla mia risposta precedente. La cultura classica fornisce archetipi con cui si possono studiare (e dunque apprezzare) anche le opere culturali di oggi. Per non parlare dello scrigno di sapere racchiuso nei racconti mitologici, utili anche in un’ottica psicanalitica, mentre la filosofia altro non è che un inanellarsi di idee. E Dio solo sa quanto abbiamo bisogno di idee, oggi come oggi, in tutti i campi della vita culturale e civile. Ho la sensazione che il futuro della cultura classica sia legato in un certa misura anche al suo distacco dalla prigione del liceo classico. Intendiamoci: il liceo classico non si tocca fino a quando non si siano trovati, ammesso che vi siano, validi correttivi. Cambiare tanto per cambiare, per apparire al passo coi tempi, per la scarsa autostima cui accennavo poc’anzi o in nome della destrutturazione postmoderna sarebbe un crimine imperdonabile. Nel frattempo però nulla ci vieta di riflettere sull’utilità, oggi, dell’impianto storicistico su cui è basata in generale la scuola italiana e in particolare il liceo classico. E soprattutto nulla ci vieta di chiederci se non sia il caso di introdurre germi di cultura classica anche in altri indirizzi scolastici affinché tutti possano abbeverarsi alla sorgente di senso che è la cultura classica. Anche per chiarire finalmente alcuni equivoci: la filosofia non è soltanto l’esistenzialismo, questo sì se vogliamo un po’ sterile, degli ultimi cento anni, le letterature classiche non sono soltanto una certa filologia che si compiace talora di ridurre i testi a raccapriccianti cavie da laboratorio e gli antichi non sono mummie paludate in possesso di eterne virtù sovrastoriche ma uomini in carne e ossa, che hanno amato, odiato, creato e sofferto proprio come noi. Il che ci conduce a un ulteriore equivoco da chiarire: né il greco né il latino sono lingue magiche, pozioni di Asterix che basta ingurgitare per vedersi trasformare in supereroi del sapere. Prima le due lingue classiche scenderanno dal loro piedistallo (su cui peraltro sono state fatte salire loro malgrado) e meglio sarà per le sorti future della cultura classica.

Una recente statistica rivela che in Italia buona parte dei nuovi avvocati non sa scrivere gli atti in un buon italiano, per non parlare degli svarioni di certa stampa ed anche di alcuni esponenti politici che litigano con i congiuntivi. C’è bisogno di una rivoluzione copernicana per tornare alla “normalità”?

Non se se occorra una rivoluzione copernicana. Per il momento, forse, basterebbe che le scuole medie, il buco nero del sistema scolastico italiano, cominciassero finalmente a funzionare e che gli insegnanti fossero finalmente motivati concedendo loro di più sul piano economico ma pretendendo anche di più sul piano della professionalità. Ma ovviamente occorre anche un cambio di mentalità. Agli italiani, così amanti degli status symbol, va spiegato che lo status symbol per eccellenza è esprimersi in modo semplice e corretto, e che non conoscere bene la lingua italiana è una grave caduta di stile.

Lo studio della filologia è ancore attuale?

La filologia volta alla restituzione dei testi classici è ovviamente una disciplina ormai di nicchia. I testi dell’antichità sono ormai fissati in una forma più o meno definitiva, i moderni mezzi elettronici li hanno sottratti per sempre ai pericoli che li hanno minacciati per millenni e i copisti-redattori non hanno più ragion d’essere. Le scoperte papiracee continuano, e dunque dei filologi c’è ancora bisogno, ma di sicuro i pochi amanti di questa disciplina bastano e avanzano a tenerla in vita. Se invece per filologia si intende lo studio dei testi, quello è sempre attuale soprattutto nel caso di “filologi mediatori culturali” come, per esempio, i traduttori. Non si dimentichi poi che la nostra vita è piena di testi scritti. Una sceneggiatura cinematografica o televisiva è un testo, un’opera teatrale è un testo, la quarta di copertina di un libro anche commerciale è un testo, il paper di uno scienziato nucleare è un testo, una canzonetta è un testo, le istruzioni per l’uso dell’ultimo modello di smartphone è un testo, uno slogan pubblicitario, ricco di figure retoriche, è un testo. Illudersi di poter fare a meno di chi i testi, qualsiasi testo, li scrive, li corregge, li interpreta, li studia, è assurdo.

Come può l’editoria saltare l’ostacolo della crisi (sociale prima che economica) e tornare ad educare le masse?

I bambini, a quanto pare, sono naturalmente attratti dalla parola scritta. Qui ad Atene è attiva una bellissima biblioteca comunale dedicata ai bambini da 0 a 3 anni, ed è molto frequentata. Per qualche ragione, poi, questo seme viene soffocato da varie specie di zizzania: lo stress della competizione scolastica, la quotidianità logorante della vita professionale o genitori che considerano il libro un oggetto per giovani spensierati (un po’ come l’equivoco delle favole considerate storie per bambini) e che magari senza rendersene conto allontanano i figli dal piacere della lettura. Gli editori, per superare la crisi, tra le altre cose dovrebbero convincere i genitori, gli insegnanti e in generale gli adulti coinvolti nell’educazione dei giovani che leggere un libro è altrettanto utile che apprendere una lingua straniera o una competenza pratica. Non c’è nulla di male a puntare sull’utilità della cultura, oltre i dannosi atteggiamenti aristocratici ed estetizzanti ancora tanto in voga. Ma ovviamente gli editori dovrebbero anche ritrovare il gusto per la sperimentazione e per la sfida, cui ho già accennato in precedenza.

Cultura, Mediterraneo e attualità del passato: come uscire dal Medioevo culturale in cui il vecchio continente sembra essere piombato?

Cominciando a partire da quello che si ha, che non è poco: un’editoria moderna e aggiornata, traduzioni numerose (a questo proposito vorrei dire che i Paesi dell’Europa mediterranea sono i maggiori traduttori di letteratura straniera: indice di culture curiose, cosmopolite, aperte al nuovo e al diverso), facilità di accesso al libro. Purtroppo le moderne elite mondiali sono in generale lontane dal libro e questo è sicuramente una delle cause del “medioevo culturale”. Gli strumenti per cambiare però ci sono. Basta imparare a usarli, ritrovare la curiosità per gli altri e non rinchiudersi in se stessi. Leggere un libro è comunicare con altre persone, lontane nel tempo e nello spazio. Credere di poter bastare a se stessi, tranne che nel campo delle merci, è un’illusione pericolosa. Abbiamo bisogno gli uni degli altri non foss’altro per il gusto di parlarci e di scambiarci esperienze. E il libro rende possibile questa espansione dei nostri limitati orizzonti biologici e fisici.

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MAURIZIO DE ROSA

Chi è

Maurizio De Rosa, filologo italiano, è traduttore di alcuni dei maggiori scrittori greci contemporanei. Nato a Milano nel 1971, si è laureato in Filologia greca presso l’Università di Milano, e da alcuni anni vive in Grecia dove si occupa di letteratura greca moderna sia come saggista sia come traduttore.

È il traduttore italiano di alcuni dei maggiori autori greci contemporanei, tra cui Zyranna Zateli, Ioanna Karistiani, Maro Duka e Andreas Stàikos. Collabora con le riviste letterarie “Pulp” e “Poesia”. Attualmente sta lavorando, insieme con il fotografo Giovanni Giovannetti, al volume Voci dell’agorà – Fotostoria della letteratura greca del Novecento, e sta curando la traduzione di due capolavori della prosa greca del ventesimo secolo: L’interrogatorio di Aris Alexandru e Terre insanguinate di Didò Sotirìu. Collabora con il Centro nazionale ellenico del libro (E.KE.BI.) e con il Centro nazionale ellenico della traduzione (E.KE.ME.L.).

È autore del volume Bella come i greci 1880-2015. 135 anni di letteratura greca per la collana “Letteratura e civiltà della Grecia moderna” (Universitalia) e di Il vicino di casa, una delle più complete antologie del racconto greco contemporaneo. Nel 2016 il ministero greco della Cultura lo ha insignito del prestigioso premio nazionale della traduzione. E’direttore scientifico della ETP books.

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preparazione

di Francesco De Palo



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