Tutti zitti,
grosse novità dall’Egeo: Alexis Tsipras ottiene 7 miliardi dai creditori, ma ne
deve restituire 7,4 tra un mese. Quindi taglia ancora le pensioni e aumenta le
tasse. E la Troika? Ancora spaccata, con il Fmi che chiede la riduzione del
debito ellenico come prerequisito per continuare a partecipare al tavolo dei
creditori.
E’ lo spaccato
delle ultime 48 ore in Grecia, dove non a caso il corteo dedicato al 1 maggio
aveva concluso la propria giornata sotto l’hotel Hilton ad Atene, proprio dove
i rappresentati del governo Syriza stavano immolando ancora una volta gli
ultimi e chi proprio non può difendersi: pensionati e poveri. Solo lo scorso25
gennaio il premier in udienza pubblica aveva promesso chenon un altro euro
sarebbe gravato sulle tasche del contribuente greco.
Oggi ha fatto il
contrario, perché dall’inizio della crisi siamo in presenza del quarto taglio
alle pensioni. Non è questa una riforma, o una modernizzazione o il tentativo
di abbattere il costo del lavoro per incentivare nuovi investimenti. No, questa
si chiama macelleria sociale perché rientra in una serie di interventi che non
toccano il grosso dell’evasione fiscale, né chi ha fatto fuggire i canadesi che
cercavano l’oro in Calcidica, in un Paese dove chi sta privatizzando oggi trova
un panorama assurdo, come l’impossibilità di pagare con bancomat un biglietto
del treno o bigliettai che rubavano allegramente gli incassi, o professionisti
che rilasciavano ricevute di un euro. Nessuno vedeva ieri e nessuno vede oggi.
C’è poco da festeggiare, anche se troppi si
affannano a ragionare con il metro del male minore. Cosa avrebbe dovuto fare?
Di fatto questo temporeggiare nelle trattative e la concessione della
tredicesima lo scorso dicembre ai pensionati ha provocato un altro scossone nei
conti disastrati: si chiamano clausole di salvaguardia e se fatte scattare
potrebbero portare, udite udite, un altro aumento dell’Iva ed un altro taglio
alle pensioni.
Quelle basse, si
intende, mentre il cumulo degli stipendi della casta è salvo, e una seria legge
sui conflitti di interessi in Grecia è come la temperatura di Bolzano. Ma
meglio non scriverlo, perché questo è il momento di celebrare accordi e
risultati: le elezioni incombono in troppi Paesi e il 2017 è solo a metà della
sua vita.
Intanto nel Paese
un cronista che volesse consumare qualche paio di scarpe avrebbe molte cose,
originali e diverse, da osservare e riportare. Lasciando poi al lettore la
possibilità di farsi un’idea. Un chilo di mele a 2,5 euro in un mercato di una
cittadina di provincia, l’hotspot delle Termopili con 500 siriani e iracheni
dove con la macchina fotografica è meglio non avvicinarsi perché, mi dicono, le
condizioni igienico-sanitarie sono pessime.
E ancora, i furti
negli appartamenti quadruplicati per via delle bande rom, gli incappucciati e i
black bloc che una volta ogni tre giorni fanno guerriglia urbana per le strade
ateniesi, a cui però la polizia non può replicare in maniera troppo veemente.
Si tratta, infatti, degli stessi contestatori che nel 2012 occupavano piazza
Syntagma sfoggiando le bandiere di Syriza. E che oggi si trovano ad aver votato
un governo che li lascia con un pugno di mosche in una mano. Mentre nell’altra
si moltiplicano le molotov.
Ma al Megaro
Maximos, il palazzo del governo ellenico, non lo sanno: da due anni la
circolazione è sbarrata da due mezzi blindati dalla polizia. Un isolamento
materiale, e finanche uno scollamento ideale, da ciò che sta accadendo davvero
in terra di Grecia.
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