La
super vittoria di Macron tra l’esultanza della sinistra da salotto e pistolotto
per tale risultato così come il glorioso cedimento di Tsipras ai nuovi
drammatici tagli sociali imposti dalla troika (vedi nota) affinché i banchieri occidentali potranno speculare,
mostra come la presa del potere oligarchico sulla società sia così forte che
una “liberazione” è difficilmente ipotizzabile all’interno dell’ordine
unipolare che affligge l’occidente.
Paradossalmente la sovranità e dunque la
cittadinanza politica e sociale può essere riconquistata solo con un reale internazionalismo ( ben diverso dal
cosmopolitismo omologante del liberismo) che giochi sulla multipolarità
planetaria ed evada dalla prigione diroccata e di conseguenza guerrafondaia che
trova la sua massima espressione nella Nato.
Noi italiani
dovremmo saperlo molto bene perché godemmo di una sovranità sia pure limitata
solo nel periodo in cui l’Unione sovietica era forte e il Pci era il secondo
partito del Paese, costringendo gli Usa ad ingoiare persino il rospo del centro
sinistra, anche se questa libertà fu
pagata con la stagione stragista culminata con il rapimento Moro il quale
probabilmente fu ucciso anche perché aveva capito chi fossero i mandanti. Ad
ogni modo occorre esaminare attentamente la questione anche perché il piano della geopolitica sembra sempre quello
più sensibile per i poteri liberisti che nonostante le loro grottesche dottrine
sanno benissimo di non poter fare a meno di uno stato guida, anzi padre
padrone, per potersi imporre. Possiamo prendere ad esempio il candidato
gollista alle presidenziali Fillon, dato per sicuro vincitore, ma che è stato
letteralmente cancellato quando si permise qualche critica alle sanzioni nei
confronti della Russia. Questo però fa parte di una aneddotica indiziaria che
balenare solo il problema mentre per andare più a fondo si possono però
esaminare gli snodi essenziali della vicenda greca che forniscono quasi un
vademecum di azione. Dunque nelle elezioni parlamentari del maggio 2012 Syriza,
basando la propria campagna su una critica radicale della UE, triplica i voti
ricevuti appena due anni prima e ottiene il 16,8% dei suffragi. Il presidente
greco, Karolos Papoulias, dopo che Antonis Samaras non riesce a mettere in
piedi un governo, affida il compito a Tsipras, che tuttavia fallisce vista la frammentazione del
quadro politico.
Senza governo, la
Grecia torna alle elezioni un mese dopo e questa volta Syriza arriva al 27%
sulla base di programma elettorale in netto contrasto con l’Europa proponendo
la rinegoziazione del piano di austerità
e massacro sociale imposto alla Grecia dalla Troika. Non è ancora abbastanza
perché il primo partito è ancora la Nuova democrazia di Samaras che riesce
fortunosamente a formare un governo. Tuttavia Tsipras diventa un leader
vincente della sinistra al punto che in suo nome di creano formazioni come
l’Altra europa e non appena il governo di Atene entra nuovamente in crisi si
presenta alle urne nel gennaio 2015 con un programma ancora più radicale che promette
di ricusare tutti gli accordi-capestro che la destra greca ha assunto con la
troika: incassa quasi il 37% e forma il nuovo esecutivo. Tsipras assume la
carica di primo ministro e la manterrà fino al 20 agosto: sette mesi che vanno
esaminati accuratamente per capire cosa è successo.
Il premier dà
subito avvio a una trattativa con la Ue per il taglio del debito sul quale
speculano le banche e in particolare la Rothschild dalla quale è uscito fuori
Macron come un fungo velenoso nonostante i peana di Shuffington Post e nel
frattempo comincia a creare un discontinuità con i governi delle destre in
forte contrasto con la Commissione europea e con la cancelliera Merkel: viene
approvata una legge contro la povertà che spera di trovare le sue risorse nel contrasto
del contrabbando, riassume 500 poliziotte licenziate da Samaras, riapre la
televisione pubblica Ert, chiude quella privata delle destre Nerit e come
spunto propagandistico chiede alla Germania 279 miliardi per i danni di guerra
mai pagati da Berlino. Naturalmente gli ambienti finanziari per queste ed altre misure sparano a zero,
minacciando il governo greco con ricatti di ogni genere e facendo persino
trapelare fra le righe la minaccia del colpo di stato nei quali i chicago boys
sono così esperti. Dopotutto sono sinceri democratici come vediamo ogni giorno.
E’ una vera e propria guerra che sfocia nel referendum dell’ 11 luglio in cui i
greci, pur sommersi da pressioni mediatiche enormi, minacce e profezie di
sventura, dicono no alle politiche della
Troika, vedendosi beffati qualche giorno dopo quando Tsipras firma
l’inaspettata resa senza condizioni alla Ue. Da qui l’idea che il referendum
fosse stato indetto nella speranza che venisse bocciato.
Se è così non lo
sapremo ufficialmente mai, sta di fatto che in questi 7 mesi di ribaltamento
totale possiamo individuare un punto di svolta precisa fra la trattativa
propriamente detta e il conflitto senza prigionieri: è quando Tsipras decide di
volare a Mosca per incontrare Putin l’8 aprile del 2015. Dal leader sovietico
erano andati poco prima Hollande e la Merkel senza che questo suscitasse
sorpresa, ma quando lo fa Tsipras eco che subito viene lanciata l’idea di una
mossa ricattatoria del leader greco che cerca di barattare il debito con la
posizione internazionale del suo Paese. A quel punto non si tratta più solo di
imporre certe politiche, di far guadagnare i banchieri, di condurre uno
spregevole gioco con un Paese che rappresenta si e no il 2% del pil
continentale: si trattava di evitare che la Grecia sfuggisse all’ambito
dell’imperialismo americano e di quello succedaneo e servile dell’Europa. Come
scrisse Panagiotis Lafazanis, allora ministro dell’ambiente e dell’energia:
“l’incontro tra Tsipras e Putin potrà segnare una nuova epoca nei rapporti
energetici, economici e politici di entrambe le nazioni. Un accordo greco-russo
potrebbe anche aiutare la Grecia nei suoi negoziati con l’UE, in un momento in
cui l’UE si rapporta con il nuovo governo greco con incredibile pregiudizio,
come se la Grecia fosse una semi-colonia”. Cosa c’è di peggio per l’impero e i
suoi valvassori?
Era una cosa da
evitare a tutti i costi perché come scrisse in quei giorni Lyndon LaRouche se
questo fosse davvero accaduto “La linea dura farà affondare l’Europa, i suoi
mercati di derivati finanziari e le sue banche fallite, non la Grecia. La
Grecia ha bisogno di sviluppo economico, non di denaro prestato, ed è questo
punto al centro delle discussioni con i Brics”. Lo stesso Obama rimasto in quei
mesi assolutamente silente, comprende la portata della cosa e comincia a
telefonare alla Merkel per evitare “la catastrofe”, interviene sul Fondo monetario internazionale
(internazionale si fa per dire) affinché allentasse un pochino il cappio su Atene. Ma
contemporaneamente le pressioni sulla dirigenza di Syriza si fanno enormi,
tanto che già il 24 maggio di quell’anno al comitato centrale del partito viene
bocciato con 95 voti a 75 un documento
che invita il governo ad abbassare l’avanzo di bilancio primario, a non
tagliare ulteriormente i salari e le pensioni, a ristrutturare il debito, a
stanziare fondi significativi per investimenti pubblici in particolare
infrastrutture e nuove tecnologie.
Non sappiamo come
sarebbe andata a finire se al posto di Tsipras e del suo ministro dell’economia
Varoufakis, pronto a ribaltare tutto ciò che aveva detto prima, ci fosse stato
qualcuno che non partiva ideologicamente azzoppato dalla contraddittoria
dottrina per la quale il primum non è il progresso sociale, l’uguaglianza, la
redistribuzione del reddito e la libertà, ma l’Unione europea comunque essa si
esprima e si strutturi, un errore strategico del resto comune a gran parte
della sinistra continentale. Ma anche un errore tattico, perché con questa
premessa si arriva a qualsiasi negoziato in posizione di minorità: è come se si
andasse un tavolo di poker (quando a sinistra si comincerà a studiare la teoria
dei giochi?) promettendo di non barare e assicurando nel caso la perdita della
posta.
Dunque una
liberazione reale dal neoliberismo oligarchico e dal globalismo schiavista si
può avere solo nell’ambito di una nuova attenzione e concezione del
multipolarismo.
Nota Il nuovo
dikat della troika prevede fra le altre
cose un taglio tra il 9 e il 18 per cento alle pensioni oltre i 700 euro e per
di più un abbassamento dell’area esentasse dagli 8600 euro annui ai 5600,
cosicché il danno per i pensionati, precari, lavoratori a cottimo diventa in
realtà molto maggiore di quanto non appaia a prima vista. Anche chi prende 700
euro finirà per percepirne 600. Questo senza contare i 500 milioni di tagli per
il progetto di aiuto per i cittadini più poveri.
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