Cosa significa la parola tragedia? Se in un altro
articolo abbiamo parlato delle origini di questo genere, qui parleremo
dell’etimologia del termine.
Tragedia = il canto dei capri
Tragedia in greco è τραγῳδία, composto dalle
parole τράγος e ᾠδή. Se la seconda
parola, canto, non ci desta perplessità, più problemi causa la prima parola.
Tràgos significa infatti capro. Ma cosa c’entra il capro con una
rappresentazione teatrale? Secondo l’interpretazione più antica, pre-ellenistica,
significherebbe “canto dei capri”, in riferimento ai coreuti e al loro legame
con i satiri. In età ellenistica è stato invece inteso come “canto per il
capro”, dove quest’ultimo sarebbe stato il premio in palio di una gara. La
teoria è attestata anche fra i Romani.[1]
Lo stesso Erodoto, però, ci fornisce un’altra
informazione preziosa che può farci fare un ulteriore passo in avanti nella
questione. Sto parlando del brano delle Storie riguardo Clistene, tiranno di
Sicione.[2]
Clistene, in lotta con gli abitanti di Argo, decise di
colpirli indirettamente, proibendo il culto locale dell’eroe Adrasto, presente
nel ciclo tebano.
«Con ciò mi sembra che Clistene abbia imitato il suo
nonno materno Clistene, tiranno di Sicione. Quando era in guerra contro gli
Argivi, questo Clistene soppresse a Sicione le competizioni tra i rapsodi per i
poemi omerici, per il fatto che Argivi e Argo vi sono troppo elogiati; inoltre,
poiché proprio nella piazza centrale di Sicione sorgeva, e sorge ancora, un
eroon dedicato ad Adrasto figlio di Talao, a Clistene venne voglia di
espellerlo dal paese, perché Adrasto era Argivo: si recò a Delfi e chiese all’oracolo
se poteva estromettere Adrasto; e la Pizia gli rispose sentenziando che Adrasto
era re dei Sicioni, lui invece il loro lapidatore. Poiché il dio non lo
autorizzava, tornato a casa, meditava un sistema grazie al quale Adrasto se ne
andasse da sé. Quando credette di averlo trovato, inviò a Tebe di Beozia un
messaggio: voleva trasferire a Sicione la salma di Melanippo figlio di Astaco;
e i Tebani acconsentirono. Clistene portò in patria i resti di Melanippo, gli
assegnò un recinto sacro dentro al Pritaneo e lì lo collocò, nel punto più
difeso. Clistene traslò Melanippo (certo questo va spiegato) in quanto era
nemico giurato di Adrasto: gli aveva ucciso il fratello Meciste e il genero
Tideo. Una volta dedicatogli il recinto, distolse da Adrasto sacrifici e
festeggiamenti e li concesse a Melanippo. I Sicioni erano soliti solennizzare
Adrasto in maniera splendida: infatti il loro paese apparteneva a Polibo e
Adrasto era nipote di Polibo (per parte della figlia), sicché Polibo, morendo
senza figli, gli aveva lasciato il potere. Vari altri onori i Sicioni
tributavano ad Adrasto, in particolare ne celebravano le sventure con cori
tragici, venerando non più Dioniso ma Adrasto. Clistene restituì i cori a
Dioniso, e il resto della cerimonia lo dedicò a Melanippo. »
(Erodoto, Storie, V,67)
Adrasto e la tragedia greca
Apparentemente non c’è nulla di sconvolgente. L’eroe
Adrasto sarebbe al centro di una tragedia che, appunto, ne celebrava le
sventure. Ma il termine utilizzato nella frase finale tradotto con “restituì”,
è però traducibile anche con “attribuì”.[3] Allora, in realtà, Dioniso è solo
il sostituto di tutt’altra persona, di Adrasto?
Il Lessico Suda arricchisce la vicenda. Un
certo Epigene, secondo alcuni anch’egli un euretès come Arione, avrebbe cercato
di introdurre nella città di Corinto i cori tragici in onore di Dioniso, a cui
il popolo rispose con “οὐδέν πρός τόν Διόνυσον”, che significa “Niente a che fare con Dioniso”. La
frase, intendibile superficialmente come un rifiuto della popolazione al culto
dionisiaco, potrebbe invece significare che sono i cori tragici a non aver
“niente a che fare con Dioniso”.
Insomma, dietro Dioniso si celerebbero l’Eroe e i suoi
“pathea”, e il capro avrebbe tutt’altro significato. In realtà il coro avrebbe
cantato la passione e morte del vero protagonista della tragedia, poi
sostituito con Dioniso, forse, come ci suggerisce la vicenda di Clistene, per
ragioni politiche. A questo punto, risolta una questione, ne emerge un’altra.
Chi è questo eroe? Perché cantarne la passione e la morte? E il fatto che sia
stato “scelto” come sostituto l’unico dio, Dioniso, protagonista di una morte e
una rinascita, è soltanto un caso?
Note:
[1] « Carmine qui tragico vilem certavit ob hircum »
(Orazio, Ars poetica)
[2] Jstor – Clistene di Sicione, Erodoto e i poemi del
Ciclo tebano
[3] Casertano-Nuzzo, L’attività letteraria nell’antica
Grecia, Palumbo, 1997
Davide Esposito
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