Occupati da altri problemi, ci siamo forse dimenticati della Grecia e dell’incerta situazione dei suoi debiti.
Occupati da altri problemi, ci siamo forse dimenticati della Grecia e dell'incerta situazione dei suoi debiti. Purtroppo per loro (e anche per noi) le loro sofferenze non sono per nulla finite e a scadenze prestabilite il problema si ripresenta. Entro il luglio prossimo Atene dovrebbe restituire ai vari creditori istituzionali stranieri ben sei miliardi di euro e, nel frattempo, il suo debito pubblico è arrivato al 180% del prodotto nazionale lordo. Ciò significa, in altre parole, che rappresenta quasi il doppio di quanto vale la sua economia annuale.
Tutti i programmi di rifinanziamento che hanno consentito, attraverso nuovi prestiti a tassi agevolati, di posticipare i pagamenti in scadenza prevedono che la Grecia riesca a finire di pagare il dovuto solo nel 2059. Lo sta facendo alle date concordate, grazie ai surplus di bilancio ottenuti da risparmi sulle spese, riforme strutturali (ad esempio con la riduzione delle pensioni, la diminuzione degli stipendi degli impiegati pubblici, una riforma delle leggi sul lavoro ecc.) e nuove tasse. La scadenza di luglio è la più vicina ma, prima della fine dell'anno, dovrà ripagare altri sette miliardi circa. Successivi versamenti importanti (dagli undici ai quattordici miliardi ogni anno) sono previsti nel 2019, 2036, 2037, 2039 mentre nelle altre annualità le cifre dovrebbero non superare gli 8/9 miliardi di euro nei dodici mesi.
Per un Paese di soli dieci milioni di abitanti e con un tessuto produttivo piuttosto ridotto si tratta di cifre molto importanti e, se si vuole essere sinceri con se stessi, è ben difficile immaginare che tutta l'operazione vada a buon fine.
Fino a poco fa i Governi greci avevano continuato a chiedere un taglio del debito, ma con scarso successo. Oggi, il dibattito è su come rendere sostenibili gli impegni concordati e proprio sulla sostenibilità degli impegni esiste la prima frattura tra il Fondo Monetario Internazionale e il Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM). Il primo, conscio delle reali difficoltà, ha proposto una moratoria su tutti i debiti greci fino al 2040 ma i creditori europei insistono (l'ultimo meeting è dello scorso 29 gennaio) nel sostenere che la Grecia è in grado di ripagare i crediti ricevuti. Il dissidio tra le due controparti assume grande importanza perché sia il FMI sia l'Unione Europea sono entrambi creditori e le condizioni per il terzo programma di aiuti devono essere decise entro la fine di marzo. L'organismo finanziario internazionale ritiene che l'imposizione voluta dall'Europa, quella che impone ai greci di realizzare un surplus nel 2017 corrispondente al 3,5 percento del PIL, sia irraggiungibile e si rifiuta di partecipare a un nuovo piano di rifinanziamento se le condizioni non saranno rese più praticabili. D'altra parte l'Europa è in difficoltà ad acconsentire a causa delle opinioni pubbliche restie a venire incontro alle esigenze elleniche. Inoltre, il Governo tedesco aveva ottenuto l'autorizzazione dal proprio Parlamento a compartecipare alle operazioni di "bailout" solo se vi avesse preso parte anche il FMI. Senza quest'ultimo, Berlino dovrebbe opporsi a qualunque nuovo piano di aiuti anche se deciso e supportato da Bruxelles.
Nel 2015, grazie a un aumento delle tasse, Atene aveva realizzato un surplus dello 0,7 % e sembrerebbe che nel 2016 sia arrivata addirittura al 2 % (si badi bene: non si tratta di una crescita dell'economia locale, che è invece in costante impoverimento, ma solo della differenza tra entrate e uscite dello Stato). Nuovi aumenti dell'imposizione fiscale su una popolazione già allo stremo e con un ridotto potere d'acquisto sono politicamente impraticabili e non si riesce a capire come si possa creare un grande avanzo di bilancio nel 2017 senza nuovi licenziamenti nel settore pubblico e una riduzione generalizzata della spesa. L'aumento della disoccupazione che ne conseguirebbe, comunque, diminuirebbe ancor di più il potere d'acquisto generalizzato e farebbe calare ancora di più il PIL.
Tutti i soggetti coinvolti vorrebbero chiudere le discussioni sull'argomento prima che inizino le campagne elettorali in alcuni Paesi europei per evitare che il debito greco diventi materia di discussione elettorale, ma il tempo che resta è ben poco e, per ora, non s'intravedono soluzioni percorribili. In Olanda si voterà in marzo, in Francia in aprile e a settembre sarà la volta della Germania. In questa situazione, anche Atene non gode di stabilità politica sicura e una nuova stretta sull'economia farebbe aumentare il già profondo malcontento popolare con conseguente rischio di crisi di governo.
La maggioranza di cui gode Tzipras è di soli cinque deputati e il suo è pur sempre un governo composto da una coalizione eterogenea. Per cercare di mantenere quel che resta del suo consenso, l'ex "cattivo ragazzo" ha deciso di utilizzare una parte dell'avanzo di bilancio del 2016 per distribuire un bonus a tutti i pensionati, suscitando però le reprimende dei creditori. Bisogna mettersi nei suoi panni: aveva promesso alla popolazione che i sacrifici sarebbero stati temporanei e che l'economia si sarebbe stabilizzata e tornata virtuosa. Tuttavia, dopo tre anni di sofferenze, gli era indispensabile dare l'impressione che le cose stessero migliorando e quella piccola elargizione doveva servire a dimostrarlo.
Se ora fosse costretto alle dimissioni per l'abbandono di qualche deputato della sua maggioranza, si andrebbe a nuove elezioni e la campagna elettorale che la maggior parte dei partiti svolgerebbe sarebbe centrata sulla promessa di abbandono dell'austerità'. Si accentuerebbero i toni anti euro e anti Europa e il risanamento del debito diventerebbe ancora più improbabile. Non resterebbe che dichiarare il default e vedere la Grecia uscire dalla moneta unica.
Che succederebbe allora all'Euro e agli altri Paesi con alti debiti pubblici come l'Italia? La speculazione si scatenerebbe, ci sarebbe un forte aumento dello spread e anche noi saremmo costretti a considerare l'abbandono della moneta comune. Qualcuno che già lo chiede ne sarebbe contento, ma che ne sarà di tutti i detentori di mutui che si troverebbero ad avere debiti in euro da dover ripagare con una nuova lira svalutata di almeno il trenta percento? E cosa faremo del nostro debito pubblico verso l'estero (circa il cinquanta percento del nostro debito totale)? Dichiareremo fallimento o lanceremo una "patrimoniale" per riuscire a non farci espellere dalla comunità finanziaria internazionale?
L'Euro fu, molto probabilmente, un errore in assenza di un'unità politica e fiscale ma, ora che c'e', o tutta l'Europa, in primis la Germania, capisce che sono necessarie maggiore solidarietà e lungimiranza tra gli Stati membri o "mala tempora currunt". Anche a Berlino.
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