Un recente
studio del Cnr esamina le ondate migratorie dei greci in Italia durante il XX
secolo. Storie di vita vissuta, col cuore sospeso tra due mondi
“Metà
francese, dunque, e metà libanese? Niente affatto. L’identità non si suddivide
né in metà, né in terzi. Non ho parecchie identità, ne ho una sola, fatta di
tutti gli elementi che l’hanno plasmata, secondo un ‘dosaggio’ particolare che
non è mai lo stesso da una persona all’altra”.
Così lo
scrittore franco-libanese Amin Malouf nel saggio “L’identità” (tradotto in
Italia da Bompiani) spiega il proprio travaglio interiore, la fatica di vivere
in Libano con il cuore nella cultura francese e quella, decisa in seguito, di
vivere in Francia con la nostalgia mai rinnegata per la martoriata terra degli
avi: un’identità divisa o, meglio, distribuita fra le due sponde del
Mediterraneo.
Parole di uno
scrittore per descrivere il sentirsi “né carne né pesce” di milioni di persone
che lasciano il paese in cui sono nati per fondare una nuova vita e una
famiglia altrove e gli sforzi di tutti, padri, figli e nipoti, per costruire
una propria identità.
“Identità
ibrida”, l’hanno battezzata gli autori di “Terra ancestrale. La diaspora
ellenica contemporanea in Italia tra prima e seconda generazione ”, Andrea Pelliccia del Cnr e Rigas
Raftopoulos, dottore di ricerca in Storia e critica della politica, uno studio
pubblicato dall’Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali
del Cnr.
In questo
libro la Terra ancestrale è l’archetipo della cultura occidentale, perché un
po’ tutti l’abbiamo assorbita a scuola, da quando ci raccontavano le avventure
di Ulisse o le imprese di Achille: è la Grecia, i cui abitanti hanno cominciato
a spargersi nel mondo da millenni, dalle fondazioni delle prime colonie
elleniche in Italia meridionale dell’ottavo secolo avanti Cristo in poi.
Facendo arrivare questa diaspora ai nostri tempi: tanto per rimanere in Europa,
nel 2005 i cittadini di origine greca in Germania sono circa 350mila e
rappresentano la seconda più grande minoranza etnica europea del paese (la
prima è quella italiana).
E si sa come,
con l’attuale crisi economica ellenica, il flusso sia continuato:
particolarmente per quanto riguarda la fuga di cervelli, medici in testa.
Allargando lo sguardo, i principali flussi migratori dalla Grecia si sono
realizzati nel secondo dopoguerra e fino a tutti gli anni Settanta non solo
verso la Germania ma anche verso il Canada (177mila persone), Stati Uniti
(155mila) e Australia (138mila).
Le migrazioni
dei greci in Italia
Ma lo studio
del Cnr si concentra sui greci che si sono stabiliti in Italia nel XX secolo:
sono arrivati a ondate, la prima dopo la Seconda guerra mondiale, quando la
situazione economica ellenica è drammatica, con un paese uscito da anni di
guerra, da una feroce occupazione straniera seguita, dal 1945 per cinque lunghi
anni dalla guerra civile. Non solo emigrati alla ricerca di un lavoro, ma anche
esuli politici che in patria sono messi al bando dalla vita civile dai
tristemente famosi “fakelloi” (“buste”), archivi della polizia il cui contenuto
è stato solo recentemente reso disponibile al pubblico dal governo Tsipras.
La seconda
ondata è quella degli anni della dittatura, dal 1967 al 1974: studenti ed esuli
politici. Un solo dato la dice lunga sull’esodo di giovani che lasciano Atene e
dintorni per iscriversi nelle università italiane: se negli anni dal 1952 al
1965 rimangono a una costante quota di duemila iscritti, dopo il golpe dei
colonnelli la cifra si impenna fino a raggiungere circa 17mila (dati Istat).
Erano i tempi in cui, nella Facoltà di architettura di Milano, si contavano
quasi più striscioni scritti in greco che in italiano: “No al fascismo, no
all’Imperialismo” recita, invece, uno striscione del Movimento studentesco
universitario di Trieste del 1975 riportata in “Terra ancestrale”.
Già, le
comunità elleniche storiche in Italia sfilano nelle pagine del libro: dalla più
antica, Venezia, che si sviluppa a partire dalla caduta di Costantinopoli in
mano ai turchi ottomani, nel 1453, a testimoniare quanto la diaspora ellenica
abbia influenzato la nascita e la cultura dell’Umanesimo italiano. Qui ancora
oggi ha sede l’Arcidiocesi ortodossa d’Italia e Malta, con la chiesa di san
Giorgio dei greci. Poi seguono Roma, Napoli, Trieste, Ancona, Livorno. Alcune
sono ancora numerose e fiorenti, altre si sono a poco a poco diradate. Un
esempio? La prestigiosa comunità di Venezia, che un tempo aveva fra i suoi
membri personaggi come Domenico Theotokopoulos, più noto come il geniale
artista El Greco, oggi si è ridotta a un piccolo gregge di un centinaio di
persone. Trieste, Livorno e Ancona, legate ai commerci, idem.
Fino ad
arrivare ai numeri che il ministero degli Esteri ellenico fornisce alle soglie
del Duemila: nel 1992 risiedevano stabilmente in Italia settemila cittadini
greci, fra cui non sono annoverati circa 14mila studenti, concentrati
soprattutto a Milano e Napoli. Sul massiccio fenomeno dei rientri in patria
conta l’ingresso della Grecia nell’Unione europea prima (1981) e nella zona
euro poi (2002), con le Olimpiadi ad Atene nel 2004 a celebrare un’impressione
di ritrovato benessere, prima dell’arrivo dell’attuale crisi a partire dal
2008.
“Mio padre è
venuto in Italia dopo la guerra civile greca, per studiare” racconta Costas, 55
anni, il cui padre è originario di Chalkida, nell’isola di Eubea, uno dei 256
intervistati dall’indagine di “Terra ancestrale”. “…Non so perché scelse
proprio l’Italia e Roma…forse perché l’Italia era più vicina, visto che allora
non si viaggiava in aereo... Mia madre dalla Toscana venne a Roma per lo stesso
motivo, per studiare farmacia, e stava nella stessa pensione. Si sono
conosciuti lì e si sono messi insieme”. Così nascono le nuove famiglie, si
passa dalla prima alla seconda, adesso alla terza generazione.
Due mondi nel
cuore
Storie di
vita, in cui risalta il travaglio di mettere insieme la propria complessa
identità: “Essere italo-greco è diverso dall’essere italiano o greco: vuol dire
avere una cultura di greco in Italia” riflette Loukas, 20 anni, il cui padre è
originario di Kalithea, vicino ad Atene. “…Ma io non mi ritengo un greco
d’Italia. Sono nato e cresciuto in Italia, ho frequentato qui le scuole, i miei
modi di fare e di vestire sono più italiani che greci. Però, d’altra parte, non
posso non considerarmi greco. Perché metà della mia famiglia si trova in
Grecia, porto un cognome greco, sono primogenito maschio di quella famiglia e
quindi, più che della famiglia di mia madre, mi ritengo più rappresentativo di
quella di mio padre… Forse di fatto sono italiano, ma paradossalmente, nel mio
cuore porto la Grecia. Perché è il paese dove vorrei andare a vivere”.
C’è chi ha il
sogno-progetto di vivere nella terra degli avi, chi invece non ci pensa
neppure: “Gli altri mi considerano più greca di quanto mi senta io. Ed essendo
amanti della Grecia, si esaltano molto più di me quando gli dico che mia madre
è greca” confida Serena, 37 anni, la cui mamma è originaria del Pireo.
C’è chi è
stato influenzato nelle scelte lavorative e di studio dall’origine ellenica, e
apre una scuola di danze greche, c’è invece chi ama la mitologia ma si
rammarica di non sapere parlare il greco. Forse, uno degli spartiacque fra il
modo di vivere questa identità ibrida sta proprio nel rapporto con la lingua.
Una lingua speciale, diversa dalle altre: un idioma nobile, che ha segnato la
cultura occidentale.
Se molti
greci di seconda generazione sono cresciuti come Mario, 49 anni, la cui madre
ha sempre parlato greco in casa (“Non possiamo sgarrare: se le parliamo in
italiano non ci risponde!”), altri hanno avuto padri ellenici che hanno
lasciato più alla moglie italiana l’educazione linguistica dei figli. Per i
ragazzi di terza generazione, costruire la propria identità sarà quindi una
scommessa tutta da giocare.
Una cosa è
certa: avere nel cuore due mondi può essere faticoso, ma apre le finestre della
mente, soprattutto se il genitore “immigrato” si è integrato bene in Italia e
non vive (solo) di nostalgia: “In realtà mi piacerebbe vivere ovunque” dichiara
Danai, 28 anni, la cui madre è ateniese “Non ho quel razzismo insito che hanno
tutti quanti: per quanto uno sia aperto culturalmente c’è sempre una mentalità
che casa propria è meglio. Il fatto di avere questa doppia origine aiuta
tantissimo a essere aperta alle altre culture. Io sono molto poco nazionalista.
Mia madre mi ha dato questa cosa bella: ogni paese può diventare casa tua”.
Gilda Lyghounis
Gilda Lyghounis
Δεν υπάρχουν σχόλια:
Δημοσίευση σχολίου