Nessuno ne
sentiva la mancanza, ma il 27 febbraio la Troika farà ritorno in Grecia.
Ancora. I rappresentanti dei creditori internazionali (Ue, Bce e Fmi) si incontreranno
per decidere quali nuove riforme imporre ad Atene in cambio della seconda
tranche del prestito da 85 miliardi sottoscritto nell’agosto del 2015. Soldi
con cui la Grecia potrà rimborsare un debito di 7,2 miliardi di crediti in
scadenza a luglio ed evitare così la bancarotta. Ancora.
Tutto come da
copione? No, almeno secondo Jeroen Dijsselbloem. Il Presidente dente
dell’Eurogruppo assicura che stavolta la Troika e il governo greco “lavoreranno
su un ulteriore pacchetto di misure adottando un cambiamento di politica
economica, con una minore enfasi sull’austerità di bilancio e una maggiore
attenzione su profonde riforme economiche”.
Il tono suona
amichevole, ma è interessato e falso. Interessato perché quest’anno nell’agenda
dell'Ue ci sono elezioni importantissime e le polemiche sulla Grecia rischiano
di favorire gli euroscettici. Naturalmente Dijsselbloem assicura che è tutto
“completamente indipendente dal ciclo elettorale”, del resto “vi sono sempre
elezioni da qualche parte in Europa”. Il buon Jeroen dimentica però di
precisare che nei prossimi mesi si voterà nella sua Olanda (a marzo), in
Francia (aprile-maggio) e in Germania (settembre). Non proprio le repubbliche
baltiche.
Fin qui l’interesse. Passiamo alla falsità. Dijsselbloem favoleggia di “minore enfasi sull’austerità”, ma nella sostanza è proprio di austerità che si continua a parlare. I componenti della Troika hanno già concordato di chiedere alla Grecia, in cambio degli aiuti, misure restrittive per altri 3,6 miliardi, il 2% del Pil. Le clausole di salvaguardia scatterebbero se non venisse centrato l’obiettivo dell’avanzo primario al 3,5% del Pil (una meta praticamente irraggiungibile) e prevedono i soliti tagli alle pensioni oltre a misure per ampliare la base imponibile.
Con questi
interventi – che per ora il governo Tsipras non ha adottato – i creditori
europei vogliono in primo luogo convincere l’Fmi a rientrare nella partita.
L’anno scorso, infatti, il Fondo monetario ha smesso di pagare aiuti ad Atene
perché non riteneva sostenibile un programma che potrebbe far lievitare il
debito pubblico ellenico dall’attuale 180 al 275% del Pil entro il 2060.
Su questo punto
l’Fmi ha ragione da vendere. Per avere un’idea di quanto sia non solo inutile
ma perfino dannosa la medicina dell’austerità basta dare uno sguardo alla
macelleria sociale prodotta in Grecia negli ultimi otto anni. Qualche numero:
il Pil è crollato del 25%, la pressione fiscale è aumentata dal 38 al 52%, il
tasso di disoccupazione è al 27% e sale al 60% fra i giovani, il Pil pro capite
(calcolato dallo stesso Fmi) è crollato del 56%, passando dai 32.198 dollari
del 2008 ai 18.078 dollari del 2016.
E ancora: il 50%
della popolazione vive di sole rendite previdenziali, il 43% dei pensionati
riceve meno di 660 euro al mese (dal 2010 le pensioni sono state tagliate 11
volte), il 15% dei greci (1,6 milioni di persone) vive sotto la soglia di
povertà con un reddito inferiore a 180 euro al mese, cioè 6 euro al giorno. Ma
ancora non basta. Dopo aver ridotto la Grecia in questo stato la Troika
pretende d’imporle nuove misure di austerità. Vuole continuare su questa strada
distruttiva a ogni costo, contro ogni evidenza, difendendo l’indifendibile.
Il fallimento è
totale. L’austerità non ha aiutato il Pil greco, gli ha dato il colpo di
grazia. Non ha nemmeno migliorato i conti pubblici: li ha affossati. Ed è
proprio per questo che Atene non sarà mai in grado di produrre il surplus di
bilancio che servirebbe a ripagare i suoi debiti. Il gioco perverso è sempre lo
stesso: la Grecia non si risolleva a causa dell’austerità e, siccome non si
risolleva, la Troika le impone nuova austerità.
Finché si
continua su questa strada è assurdo immaginare che un giorno Atene riuscirà a
tornare sul mercato, finanziare da sola tutto il proprio debito pubblico e
ripagare per intero i prestiti ricevuti. In realtà – come lo stesso Fmi
sostiene da tempo – l’unica soluzione sarebbe abbattere il debito ellenico. I
creditori europei lo sanno da anni, ma continuano con questo schema Ponzi (debiti
nuovi per ripagare i debiti vecchi) che tiene artificialmente in vita i conti
di Atene ma intanto uccide il Paese. Tutti gli anni è sempre la stessa storia.
E pensiamo davvero che possa finire oggi, a pochi mesi dalle elezioni in
Germania?
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