Alexīs Tsipras e la Grecia, due anni dopo. Era infatti il 25 gennaio 2015 quando il leader di SYRIZA, un partito politico della sinistra radicale, vinceva le elezioni politiche conquistando oltre il 36% di consensi e ottenendo per la sua coalizione 149 seggi nel Parlamento ellenico, al termine di una campagna elettorale tutta incentrata sul rifiuto delle politiche economiche messe in atto nel Paese dai precedenti esecutivi, in accordo con la Troika, e sulla richiesta di una riforma delle politiche di austerity nell'Unione europea.
Non è un caso che il primo commento del neoeletto Premier sia stato il seguente: «Oggi il popolo ha scritto la storia. La speranza ha scritto la storia. La Grecia volta pagina!». E il popolo ellenico difatti, stremato come pochi da una feroce e perdurante crisi economica, in quelle prime settimane del nuovo anno voleva disperatamente scrivere una nuova pagina di storia, per provare a lasciarsi alle spalle tutti i drammi e le privazioni che aveva dovuto sopportare fino a quel momento. In ogni caso le aspettative sembravano buone: dopo essersi insediato, Tsipras aveva subito dato inizio ai negoziati con i creditori esteri (BCE, FMI e UE) per un deciso taglio del debito pubblico. E fu proprio in quei primi mesi che il governo Tsipras mise in atto politiche di discontinuità con il passato ed in forte contrasto con il volere degli organi europei. Gli esempi in tal senso sono numerosi: la legge approvata dal Parlamento per contrastare la povertà (ovviamente con il dissenso dei creditori rapaci), la quale sarebbe stata finanziata con il ricavato ottenuto dalla lotta al contrabbando ed avrebbe fornito gratuitamente buoni pasto, elettricità e sussidi per pagare l'affitto alle famiglie elleniche più bisognose; la riassunzione di 500 donne della polizia licenziate dal precedente governo guidato da Antōnīs Samaras; la riapertura della ERT (Ellinikí Radiofonía Tileórasi), l’azienda radiotelevisiva di Stato greca, sopprimendo la NERIT (Nea Ellinikí Radiofonía, Internet kai Tileórasi, fondata temporaneamente fra il 2013 e il 2015); la richiesta di pagamento (per molti aspetti anacronistica), avanzata alla Germania, di 279 miliardi di euro come forma di risarcimento per i debiti insoluti riguardanti i danni subiti dalla Grecia per colpa dell'occupazione nazista nel corso del secondo conflitto mondiale. Nel frattempo, però, gli spietati creditori europei ed internazionali non stanno certo a guardare, subendo passivamente quella che poteva essere la rinascita del popolo greco, e dal canto loro propongono un piano di salvataggio (o forse sarebbe più corretto chiamarlo diktat) che impone al governo greco di varare alcune riforme come condizione per poter ricevere gli aiuti: tra queste figurano l'aumento dell'età pensionabile a 67 anni, accompagnato dall’eliminazione dei prepensionamenti e dell'EKAS (un assegno bonus che integra le pensioni minime); l'aumento dell'IVA; l'abolizione degli sconti fiscali per le isole; la riduzione dei salari dei dipendenti pubblici; il taglio consistente delle spese militari; il proseguimento delle privatizzazioni in molti settori avviate dal governo Samaras. Un successivo referendum consultivo, richiesto ad hoc da Tsipras nell’estate 2015 per passare la palla agli elettori, non può far altro che bocciare in tronco l’assurdo piano proposto da Commissione europea, BCE e FMI (prevale il NO con il 61,31% dei voti). Il programma alternativo presentato dal Premier greco ai creditori dopo l’esito referendario viene puntualmente bocciato, e a questo punto i creditori gli impongono addirittura tra lo scegliere il programma bocciato dal popolo nel referendum o l'uscita della Grecia dalla zona euro. È in questa occasione che Tsipras dà evidente dimostrazione di arrendevolezza, accettando in toto il ricatto della Troika, causando una scissione all’interno di SYRIZA (si ricorderà l’uscita dal partito dell’ex Ministro delle finanze Gianīs Varoufakīs), finendo di scrivere la nuova pagina di storia iniziata pochi mesi prima, tradendo il suo elettorato ed il popolo greco in generale, condannando la Grecia a morire una seconda volta. Perché di morte si tratta, anche se della lenta agonia dei greci nessuno ormai parla più da tempo, facendo erroneamente credere che la situazione nel Paese si sia normalizzata. Purtroppo la realtà è ben diversa. Oggi in Grecia lo Stato non esiste, circa il 60% dell’opinione pubblica si dichiara deluso ed arrabbiato, la giustizia sociale è ai minimi storici (pari a 3,66 nel 2016 da 4,44 del 2008, con il Paese collocato all’ultimo posto nella classifica dei 28 Stati membri dell’UE), il tasso di disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli drammatici (48,3%), le finanze pubbliche sono ridotte all’osso. Un esempio che, insieme agli altri, contribuisce a fotografare il dramma ellenico è rappresentato dal collasso della sanità: la spesa sanitaria è passata dal 9,9% del PIL all’attuale 4,7%; gli ospedali non hanno più soldi, e molti di questi non riescono ad effettuare nemmeno le analisi del sangue perché troppo costose; mancano il personale, le attrezzature e i medicinali; i pazienti rischiano di morire anche solo per una semplice infezione poiché non vi sono i mezzi per curarli; risulta esserci un solo infermiere ogni quaranta pazienti. Tutto ciò accade nel 2017, non certo al tempo delle guerre con i persiani, ed è il risultato di anni di disastrose politiche di austerità che stanno facendo diventare la Grecia un Paese da terzo mondo e che farebbero meritare alla Troika una condanna per crimini contro l’umanità. Come è stato giustamente scritto di recente in un articolo pubblicato su “Forexinfo.it”: «Nel 3.200 a.C., insieme alla Grecia, nasceva la cultura e l’umanità si cominciava ad innalzare dal suo stato bestiale. […] Nel 2017 la Grecia è invece un Paese sottosviluppato, dove le persone muoiono perché i soldi per la spesa sanitaria sono stati tagliati. L’euro e le politiche di austerità sono riuscite in ciò che nessun altro popolo barbaro è riuscito ad attuare: distruggere la culla della cultura antica e moderna».
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