I suoi leader sono arrestati, sotto processo dal 2013 con l’accusa di aver guidato una banda dedita all’aggressione di immigrati e militanti di sinistra. Profilo basso, è stata la parola d’ordine fino agli ultimissimi giorni. Ieri, poi, quello che doveva essere un tributo ed un ricordo per i tre militari rimasti uccisi nelle crisi greco-turca per l’isolotto di Imia (Kardak) del 1996, si è trasformato in una vera e propria marcia di protesta.
Così Alba Dorata, l’estrema destra greca, è tornata a farsi sentire, dopo anni di silenzi manifesti. E Atene si è riempita di slogan anti turchi e anti immigrati; Ankara viene accusata di non rispettare i patti, così come il governo di Tsipras di non fare niente per risolvere la situazione. In tutto il paese, dalla chiusura della rotta balcanica, sono rimasti bloccati circa 62mila migranti, che non possono proseguire il viaggio iniziato, e neanche tornare indietro.
La Grecia è ormai diventata una sorta di limbo per molti, terra nella quale si attende di sapere cosa ne sarà del proprio destino; mentre i governi europei decidono, si scambiano accuse, e godono nel rimanere nell’immobilismo più totale, la società civile (non solo quella greca) è ormai messa alle corde da una situazione divenuta insopportabile. “il nostro Paese è un campo aperto, chiunque può andare e venire quando vuole. Vorremmo che si seguisse una politica come quella che sta facendo adesso Trump negli Stati Uniti”, dice un deputato di Alba Dorata.
E’ indubbio che nella stessa geografia dell’Europa, chiudere le frontiere non sarebbe una soluzione definitiva. Servono accordi, possibilmente il più condivisi possibili; e servono soprattutto risposte, da parte dei politici nei confronti della società. In Grecia come in Italia, in Ungheria come in Germania, in Francia come nel Regno Unito della Brexit.
(di Alessandro Marinai)
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