Παρασκευή 20 Οκτωβρίου 2017

Grecia - Vivere in uno stato di shock a Samos

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Secondo alcune stime, ci sono circa 4.000 persone nel campo di Vathy e nei suoi dintorni, sull’isola di Samos. La capacità è di circa 700 persone. Non c’è abbastanza acqua, né aiuto medico o psicologico, e la depressione generale è diffusa dal campo alla cittadina. Nonostante la stagione delle piogge stia arrivando, nessuno ha piani per il futuro.

Traduzione di Jacopo Spatafora e Cristina Guglielmini

La strada accidentata si arrampica a tornanti sulle colline in direzione di Vathy, a Samos. La vista dalla strada è spettacolare: una bellissima città vecchia, un porto e il mare e il cielo infiniti, entrambi dello stesso blu profondo.

Ma la strada conduce al campo, circondato con filo spinato e telecamere di sicurezza. Prima di arrivare alla porta principale, su entrambi i lati della strada della ripida collina, ci sono diverse tende, ripari improvvisati e biancheria stesa ad asciugare ovunque. Sulla strada e attorno alle tende ci sono troppi bambini, alcuni così piccoli che ancora gattonano. Genitori stanchi li tengono d’occhio dai loro ripari, nascondendosi agli occhi dei nuovi arrivati. Sono arrivati tutti a Samos, sulle barche, durante l’ultimo mese e mezzo. La maggior parte sta nel campo.

Ufficialmente, circa 2.000 persone vivono qui. Ufficiosamente, rasentano le 4.000 presenze. 900 di loro sono bambini. Alcuni vivono in container sovraffollati, in dodici anziché in otto. Dentro il campo ci sono circa 250 tende piccole e alcune più grosse. Attorno al campo gravitano oltre 100 tende e ripari di fortuna.

Bogdan Andrei, uno dei coordinatori di Samos Volunteers, vive sull’isola da 17 mesi. Dice che la situazione non è mai stata così difficile. “Ho paura che peggiorerà ancora di più quando arriverà la stagione delle piogge, ormai a giorni. Al momento, abbiamo più persone e meno supporto che mai”. Bogdan esprime le sue preoccupazioni, condivise da tutti sull’isola: rifugiati, residenti, volontari, ONG. Il gruppo Samos Volunteers è l’unico a guida internazionale rimasto a Samos. Offre ai nuovi arrivati vestiti asciutti e un kit base di accoglienza, tra le altre attività.

Procedura d’arrivo

Da metà agosto, sono stati registrati nuovi arrivi quasi ogni giorno a Samos. Vengono mandati tutti al campo o alle tende che lo circondano. E’ difficile che da lì se ne vadano.

A Samos, solo le autorità e Frontex possono occuparsene. Chi è passato per il “processo d’accoglienza” lo descrive come lungo e confuso.

All’arrivo o una volta salvati, i rifugiati – spesso con indosso vestiti fradici – sono portati in un’area isolata per la registrazione. A seconda del numero delle persone, la procedura può richiedere fino a molte ore.

Il passo successivo è un controllo fisico e dei loro averi, seguito da una sessione informativa con UNHCR, la squadra di salvataggio locale e le squadre RIC, e quindi uno screening medico.

“Tutto questo avviene mentre le persone sono ancora in stato di shock dopo un viaggio pericoloso, e molti capiscono a malapena quello che viene detto” commenta Majida Ali, una siriana arrivata su una di quelle barche circa un anno fa.

Stato di shock è l’espressione usata da una delle due infermiere che abbiamo incontrato. Lavora nel campo di Samos da diversi mesi. “La gente affronta un viaggio pericoloso sperando di trovare sicurezza dall’altro lato. E alla fine, quando raggiungono l’Europa, vengono piazzati in una struttura e poi in un campo che assomigliano più a delle prigioni. Alcuni mi hanno detto che stanno sentendo di perdere la loro dignità e la loro umanità”.

Privazione del libero arbitrio

Bogdan Andrei è uno dei coordinatori di Samos Volunteers. Di recente, il gruppo ha avuto problemi ad approcciare i nuovi arrivati, che quindi sono costretti ad indossare vestiti fradici per ore. “Non c’è una ragione o una spiegazione specifica per questo” - ci dice il coordinatore.

Ufficialmente, i nuovi arrivi non possono lasciare il campo per i primi 25 giorni. Questo tempo di detenzione è per prevenire l’attraversamento illegale. Contrariamente ad altre isole, a Samos questa misura non viene imposta severamente e le persone entrano ed escono usando il cancello sul retro, alla fine del campo. E’ lì che riusciamo a parlare con alcuni rifugiati, tutti increduli davanti alla situazione in cui sono stati messi. Alcuni credono ancora che partiranno presto e potranno continuare il loro viaggio.

L’infermiera ci dice: “A dire il vero, vediamo tutti i giorni che la prima misura nei confronti dei nuovi arrivati è privarli della loro libertà. Le persone vengono semplicemente processate, portate a colloquio, valutate, poi ricevono dei vestiti che non possono scegliere, vengono piazzate in container o in tende, e private di qualsiasi possibilità di prendere decisioni per loro stesse. E va avanti così senza fine”. Aggiunge che questo trattamento influenza la salute mentale, creando molti problemi. “Alcuni non capiscono neanche cosa succede attorno a loro”.

“Chi vive nel campo, chi c’è da tempo e chi c’è appena arrivato, nessuno di loro ha informazioni su nulla”. Così Majida Ali descrive la situazione. Come donna single, Majida era considerata vulnerabile, e lei ha deciso di lasciare il campo tempo fa. Ha persino ricevuto asilo politico, ma ha deciso di rimanere sull’isola per cercare di aiutare chi è rimasto spiaggiato a Samos.

“Molte delle persone che abbiamo incontrato a Samos vivono in uno stato di shock costante. Quelli abbastanza “fortunati” da vivere nel campo soffrono per l’acqua razionata, bagni e docce non igienici, sporco e molti pericoli, specialmente per donne e bambini. Alcune donne, cosi ci è stato detto, non usano neanche i bagni, specialmente di notte, perché hanno paura”.

Un posto molto pericoloso

Dopo molti mesi al campo, l’infermiera con cui abbiamo parlato richiama alla mente molti pazienti che hanno sofferto problemi fisici, “ma quando ci parli capisci che sono i danni psicologici a danneggiarli. Molti soffrono di disturbo da stress post-traumatico, depressione, tendenze al suicidio, autolesionismo... Specialmente fra la popolazione maschile”.

In aggiunta, le persone sono arrabbiate per le condizioni in cui sono costrette a vivere, e non vedono la luce in fondo al tunnel. Spesso le conseguenze sono i conflitti all’interno del campo.

“C’è molta rabbia, e si capisce. Presa dalla disperazione e dall’ira, la gente qui entra in conflitto e crea una situazione molto pericolosa” ci spiega Majida, definendo il campo “un luogo molto rischioso”.

Perdipiù, i residenti si lamentano della violenza della polizia. In alcuni casi, questa usa la forza o un linguaggio molto offensivo. Precedentemente, abbiamo pubblicato un video che mostrava i poliziotti picchiare i rifugiati nel campo. Ci è stato detto che solo ad agosto quattro casi di violenze da parte della polizia erano stati denunciati alle autorità, e in un caso la persona coinvolta intende andare a processo. Gli altri sono troppo spaventati per portare avanti il loro caso contro la polizia locale.

Siamo stati anche informati riguardo le severe misure che vietano di fare fotografie all’interno del campo, persino per i residenti. Uno di loro testimonia: “Ci hanno detto molte volte che non possiamo fare foto. Dopo che alcune foto sono state pubblicate da AYS, la polizia ha rastrellato il campo, e ha confiscato tutti i cellulari alla ricerca di foto e video”.

I residenti del campo fanno foto comunque, sapendo che questo è l’unico modo per far conoscere al pubblico le condizioni di vita in cui sono costretti. Ma fanno di tutto per nasconderle, spaventati dalle ripercussioni. Spesso abbiamo sentito di minacce di rimpatri in Turchia o di detenzione.

Perdendo la speranza

Al porto di Samos, abbiamo potuto osservare il centro di detenzione dall’esterno, e ci è sembrato un posto di cui nessuno avrebbe paura. In un vecchio edificio di pietra sul porto, dietro a finestre sbarrate con assi di legno, cosicché nessuno possa vedere all’interno, tra cui perfino i raggi di sole faticano a passare, ci sono delle persone. Chiunque si avvicini può sentire le loro voci. Solo i membri della famiglia possono far visita ai detenuti, ma la maggioranza sono uomini soli. Alcune delle persone con le quali abbiamo parlato sono riuscite a vedere all’interno della struttura e ci hanno parlato di persone stipate in una stanza, che dormono sopra a delle coperte stese direttamente sul pavimento, che utilizzano un solo bagno, senza porte. Noi non siamo stati in grado di verificare queste testimonianze.

Samos volunteers organizza diverse attività all’interno del campo e presso l’Alpha centre, situato in città. Offrono del tè 2 volte al giorno, una libreria mobile 2 volte a settimana, attività per i bambini, fitness per uomini, attività per le donne, classi di lingua… Una volta a settimana, con l’aiuto dei rifugiati, cercano di pulire il campo. E con quasi 4000 persone all’interno, c’è un’enorme quantità di rifiuti. Che attirano animali, come sciacalli, serpenti, ratti e topi. Il campo ne è pieno.

I volontari fanno fatica a far fronte alle necessità delle persone all’interno del campo. Uno dei problemi infiniti e continui è quello della carenza di pannolini per bimbi e assorbenti per le donne. Da quando è stato introdotto il cash card system, ci si aspetta che le persone comprino questi prodotti attraverso questo sistema. Con 90 euro a persona al mese, è decisamente irreale come possibilità.

“Molte persone stanno perdendo fiducia all’interno del campo e questo è un grande problema” spiega Bogdan. “E la cosa più difficile per tutti è che fino ad ora, non c’è nessun piano”.

La sera, la maggioranza delle persone cammina dal campo verso il centro città, seguendo la spiaggia, oppure alcuni si siedono sulle panchine. Altri tentano di pescare, magari sperando di racimolare un pasto migliore, soprattutto per ammazzare il tempo.

I ristoranti e i bar, per la grande maggioranza, sono riservati solamente a turisti e gente locale. Molti di questi posti non permettono nemmeno ai rifugiati di entrare, sedersi o persino comprare qualcosa all’interno del locale. In aggiunta, alcuni hotel di Samos si rifiutano di ospitare rifugiati, anche quando il pagamento del servizio verrebbe garantito da organizzazioni in grado di farsi carico delle spese.

Uno degli abitanti locali, attivo con gruppi solidali, ci racconta che all’inizio le persone erano aperte ed accoglienti, ma tutto è cambiato col tempo. “Non c’è abbastanza informazione e comunicazione e nessuno cosa aspettarsi nel prossimo futuro”, ci dice.

Intimidazione e paura

Poco è stato fatto per risolvere questa situazione. Inoltre, alcune usanze e pratiche locali sono molto intimidatorie per i rifugiati. Per esempio, le piccole parate militari nel centro cittadino ogni domenica pomeriggio.

Soldati con fucili sulle spalle, e una sfilata militare con banda annessa, percorrono su e giù la strada principale, fino ad arrivare alla piazza, dove viene suonato l’inno nazionale e issata la bandiera. I rifugiati, molti dei quali scappano da guerre, assistono in parte, mentre l’atmosfera diventa chiaramente poco piacevole.

“L’unica soluzione è trasferire le persone in sistemazioni migliori, ma è estremamente difficile in queste circostanze”, ci viene riferito da attivisti locali.

L’altra soluzione è quella di velocizzare il processo di trasferimento verso la terraferma. “Abbiamo bisogno di una seria decisione di decongestionare l’isola. Con questo numero di presenze, è ingestibile”, conclude il coordinatore di Samos volunteers, sollecitando tutti i responsabili a fare qualcosa, mentre l’inverno è alle porte.


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