L’università di York, la City University di Londra e l’International Organization for Migration hanno analizzato le procedure di identificazione in Italia e in Grecia. Non esiste un metodo standard, né un database comune. E migliaia di famiglie non sanno che fine hanno fatto i propri cari. In Eritrea ormai è diventata una triste consuetudine. I funerali di figli, fratelli, sorelle, padri e madri si celebrano attorno a una bara vuota. Quasi ogni famiglia ha almeno un morto annegato nel Mediterraneo nel tentativo di raggiungere l’Europa. Il più delle volte le famiglie vengono avvisate dai compagni di viaggio. E, in assenza del corpo, la cassa resta vuota. Perché spesso i cadaveri dei migranti morti in mare non vengono né identificati né restituiti alle loro famiglie. E in molti casi si finisce per seppellirli nei nostri cimiteri senza nome e cognome. Solo con un numero sulla lapide.
Tra il 2015 e la prima metà del 2016 più di 6.600 rifugiati e migranti sono annegati o dati per dispersi in mare. Ma molti dei loro corpi non sono stati identificati, e le famiglie a casa non sanno cosa è accaduto ai propri cari. L’università di York, la City University di Londra e l’International Organization for Migration per 12 mesi hanno lavorato sull’isola greca di Lesbo e in Sicilia, i due principali punti d’ingresso per i migranti e i rifugiati in Europa, osservando le pratiche di identificazione dei cadaveri dei migranti.
Quello che è emerso è che le indagini ufficiali sono state «limitate e spesso lacunose», dicono. «Dietro alla catastrofe visibile dei naufragi e delle morti nel Mediterraneo esiste una catastrofe invisibile che riguarda i corpi recuperati, in quanto non si fa abbastanza per identificarli e informare le loro famiglie», dice Simon Robins, autore principale del rapporto e membro del Centro per i diritti umani applicati all’Università di York. Quello che resta sulle spiagge non viene mai raccolto sistematicamente o messo da parte per supportare l’identificazione. E anche la gestione dei dati sui corpi è confusionaria. In Italia, per esempio, ogni regione archivia i dati in maniera indipendente. E in Grecia, anche se i campioni di Dna prelevati dai cadaveri sono archiviati in un unico sito, non c’è modo di collegare il campione di Dna conservato ad Atene con i corpi seppelliti nel cimitero di Lesbo, perché fino a poco tempo fa i corpi non venivano etichettati uniformemente.
http://www.linkiesta.it/it/article/2016/09/16/cosi-molti-dei-migranti-morti-in-mare-restano-senza-nome/31773/
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