I mercati sono focalizzati su Brexit e banche, ma non sono ancora stati risolti i problemi di 12 mesi fa: la Grecia e la Cina su tutti.
Oggi, presi dalla Brexit e dal rischio terrorismo, i mercati e gli osservatori sembrano essersi dimentica di due elementi di grande instabilità che solamente lo scorso anno mettevano in dubbio il processo di crescita globale: la Grecia e laCina.
Dalla Grexit alla Brexit – Fino a poco meno di 12 mesi fa, il primo indiziato per abbandono dell’Unione Europea non era la Gran Bretagna, bensì la Grecia, alle prese con le farsesche trattative con i suoi creditori al fine di ottenere nuovi aiuti che avrebbero evitato l’ormai certo default. Fu un’estate caratterizzata da continui colpi di scena, con il referendum che bocciava clamorosamente le politiche imposte dai creditori (Commissione Europea, BCE e FMI), ma che veniva altrettanto inaspettatamente smentito dallo stesso promotore, il premier Alexis Tsipras, che poi vinse le elezioni dello scorso settembre. Furono giorni caotici, con una volatilità molto elevata su tutti i mercati finanziari e la quasi certezza che ormai il processo di adesione all’Unione Europea e, ancora più importante, all’euro, fosse reversibile. Dodici mesi dopo possiamo dire, per ora, che solamente la prima parte è vera, ma ad uscire non è stata la Grecia, bensì la Gran Bretagna, e non per evitare politiche di austerity troppo soffocanti, ma per un non meglio declinato desiderio di “indipendenza” da Bruxelles. Ora la Grecia è ancora guidata da Tsipras, che gode, come ogni governo in carica in questo periodo, di molto meno favore popolare di quando fu eletto, e i problemi che hanno portato Atene sull’orlo del default sono stati solo in parte risolti. Tanto che il FMI continua a chiedere una ristrutturazione del debito, mentre il governo ellenico chiede di rivedere i limiti di bilancio imposti dai creditori. Nonostante se ne parli poco, la Grecia può ancora rappresentare un grosso rischio per l’Europa, che, distratta da altre questioni, potrebbe perdere un altro pezzo.
Il crollo della Cina – Il secondo elemento che causò sconcerto e perdite sui mercati fu la crisi delle borse della Cina, che bruciarono oltre 2600 miliardi di euro in poche sedute, dopo che si era assistito ad una clamorosa bolla finanziaria. Nonostante il rapido intervento del governo per impedire ulteriori vendite sugli indici di Shanghai e Shenzhen, il crollo delle borse del dragone ha avuto effetti molto pesanti sui (pochi) risparmi dei cinesi, e l’effetto sui consumi interni si fa ancora sentire. Tutto questo continua a trattenere la crescita del Pil che, nonostante in termini assoluti presenta percentuali di crescita impensabili in Europa (attorno al 7%), non è sufficientemente sostenuta per garantire un effettivo aumento del benessere. Tanto più che il noto cavallo di battaglia dell’economia cinese, le esportazioni, risentono della crisi globale, con il conseguente calo della domanda. Anche questo secondo elemento che caratterizzò l’estate del 2015, a distanza di 12 mesi è lungi dall’essere risolto, e nonostante questo è passato in secondo piano.
Le questioni contingenti – Passate in secondo piano Grecia e Cina, quello che cattura l’attenzione dei mercati, al netto dell’effetto dell’allarme terrorismo, è rappresentato in primo luogo dalla Brexit, che tuttavia negli ultimi giorni ha lasciato spazio ai timori sulla tenuta del sistema bancario europeo, e italiano in particolare. Nonostante le indubbie difficoltà di cui abbiamo parlato nei giorni scorsi, l’esito degli stress test condotti dall’EBA promuove 4 dei 5 istituti italiani coinvolti: Intesa Sanpaolo, Unicredit, UBI e Banco Popolare, mentre la sola Mps (per cui è già in cantiere un ambizioso piano di ricapitalizzazione e cessione di sofferenze) uscirebbe con un giudizio negativo. Questo, al netto delle polemiche sulle modalità con cui vengono implementati gli stress test, dimostra che il sistema bancario italiano è molto più solido di quanto i mercati siano disposti ad ammettere, e che per questo meriterebbe una maggiore fiducia. In ogni caso le preoccupazioni dei mercati sulla Brexit e su alcune banche specifiche sono più che giustificate, non dimenticandosi dei protagonisti della scorsa, calda estate.
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