Santa Sofia, ultimo atto. Il Consiglio di Stato ieri ha annunciato quello che molti già sapevano, ossia che l’ex basilica di Santa Sofia, per quasi un secolo museo, può tornare moschea.
La Danistay si era riunita lo scorso 2 luglio per poco più di un quarto d’ora, in cui ha deciso di cancellare un provvedimento firmato nel 1934 da Mustafa Kemal Atatürk, che aveva trasformato l’edificio giustinianeo in sede espositiva, sottraendolo al culto religioso. Meno di un’ora dopo il verdetto, il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan ha firmato il decreto dando il via libera all’applicazione della sentenza, twittando un messaggio beneaugurante e annunciando di aver già comunicato all’Unesco che Santa Sofia adesso finirà sotto la Direzione per gli affari religiosi.
Decine di persone si sono radunate davanti all’ex basilica, urlando «Allah akbar», Dio è grande. Una folla considerevole, aumentata nel corso delle ore, che nemmeno le transenne poste dalla polizia per evitare assembramenti sono riuscite a contenere. Alla preghiera della sera, erano diventate centinaia e hanno occupato tutta l’area di Sultanahmet.
Ma al capo di Stato non è bastato. Ha voluto tutta la scena per sé, anche stavolta e così questa sera in diretta televisiva, il “Sultano” ha tenuto un discorso in cui ha annunciato che la prima preghiera, come solenne inaugurazione della moschea, si terrà il 24 luglio e che per entrare nell’edificio non sarà più necessario pagare il biglietto di ingresso.
Sfuma quindi – pare per ragioni logistiche – l’ipotesi di allestire la preghiera il 15 luglio, quarto anniversario del fallito golpe: idea avanzata nei giorni scorsi da dirigenti dell’Akp. «Mostremo a tutti quelli che mettono in giro voci – ha ammonito Erdogan, in un discorso denso di simbologie, riferendosi alle polemiche degli ultimi giorni – che siamo un esempio e che questo posto sarà sempre aperto a tutti, musulmani e cristiani».
Il presidente ha proseguito dicendo che la decisione della Danistay è «un diritto sovrano» che «tutti devono rispettare» e così si è recuperata la «volontà e l’obiettivo» di Maometto II il Conquistatore, citato più volte durante il suo discorso, e che la Turchia rimane un «punto di riferimento per la libertà di tutte le confessioni religiose».
Le reazioni non si sono fatte attendere, soprattutto dal mondo ortodosso. La ministra della Cultura greca, Lina Mendoni ha detto che «il nazionalismo mostrato da Erdogan ha portato indietro il Paese di sei secoli», accusando la magistratura turca di scarsa indipendenza, mentre il Dipartimento di Stato Usa si è detto «deluso» e l’Alto rappresentante per la politica estera Ue Josep Borrell ha parlato di decisione «deplorevole».
La Chiesa russo ortodossa, ha espresso «preoccupazione» per la decisione, affermando che, con la sua sentenza «ha ignorato la voce di milioni di cristiani». Nei giorni scorsi, il Patriarca Bartolomeo aveva chiesto «ponderazione» prima di prendere una decisione del genere, chiedendo, in caso di riapertura al culto, di consentire anche la Messa nelle festività più importanti.
L’Unesco, che nel 1985 ha iscritto Santa Sofia nella lista dei Beni patrimonio dell’Umanità, avvertito per primo da Erdogan dopo la firma del decreto, ha espresso «profondo rammarico per una decisione presa senza dialogo e confronto». Il futuro dell’ormai ex museo preoccupa anche molti storici dell’arte. Ci si chiede, infatti, come verranno trattati i mosaici millenari che si trovano all’interno. Dal governo turco sono arrivate rassicurazioni sulla loro tutela, spiegando che verranno oscurati con tecniche d’avanguardia solo durante le ore di preghiera. Ma in molti temono che l’ex basilica non sarà più visitabile con la libertà che si aveva fino a ieri.
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