Chios (la Scio dei Genovesi) è, con 900 kmq., una delle principali isole dell’Egeo, al centro dell’Arcipelago in prossimità delle coste dell’Asia Minore.
Genova vi ottenne privilegi già in base al Trattato di Ninfeo del 1261 e gli Zaccaria, famiglia con grandi interessi nei centri vicini di Smirne e Focea, se ne impadronirono nel 1304. La presenza ligure divenne continua dal 1346, quando ne riassunse il controllo una maona (Argenti, 1958):1 ottenuto da Genova il possesso dell’isola e ricevuto l’avallo di Costantinopoli, essa organizzò l’amministrazione e la vita politica ed economica. La madrepatria gestiva le relazioni estere e la giurisdizione civile, ma i Maonesi avevano responsabilità di controllo territoriale, difesa e amministrazione. Venne incentivato il trasferimento di coloni con la concessione di terreni ed esenzioni:2 l’importanza di Chios era legata anzitutto alle risorse agricole, e la coltura principale si rivelò quella del lentisco per la produzione di mastice. Crebbe anche l’importanza del porto dell’isola, che raccoglieva i prodotti di altri stanziamenti liguri, come l’allume di Focea. Ben presto a Chios, «dal sistema di rigida separazione che caratterizza la fase iniziale delle conquiste», si passò «a un sistema pragmaticamente compromissorio» di integrazione (Fanciullo, 2008: 172) caratterizzato da una conoscenza reciproca dei due idiomi (Balard, 1989: 167): ne sono prova i frequenti atti notarili tra membri delle due comunità redatti senza ricorrere ad interpreti (Cortelazzo, 2008: 290; 291), o l’uso del genovese in una lettera del 1373 di alcuni isolani che chiariscono a un funzionario certi aspetti delle consuetudini locali (Pagano, 1846: 310); il documento, scritto da (o per conto di) ellenofoni, testimonia di un prestigio locale per il quale non mancheranno conferme, come la lapide murata nel 1400 all’ingresso del porto con cui si diffidavano i naviganti dal lordarne le acque.
Le fortune dell’isola cominciarono a declinare con l’accentuarsi della pressione ottomana. Sottoposti a tributo già nel 1415, i Genovesi di Chios parteciparono alla difesa di Costantinopoli, tuttavia l’isola rimase ai Maonesi per oltre un secolo, fino a quando, cioè, i Turchi ritennero conveniente disporre di un’enclave attraverso la quale passavano i traffici con l’Occidente. Venuta meno questa funzione, nel 1566 gli Ottomani si impadronirono dell’isola: ai Maonesi venne consentito di restarvi, conservando alcuni degli antichi privilegi, ma fu fatto loro divieto di abbandonarla. Durante le lotte per l’indipendenza, Chios conobbe (1822) un orrendo massacro di civili; colpita da un rovinoso terremoto nel 1881, l’isola restò dominio turco fino al 1912 per poi conoscere nel 1922 l’immigrazione di profughi dell’Asia Minore, la cui presenza alterò le caratteristiche culturali e linguistiche della popolazione. Le conseguenze linguistiche dell’antica convivenza greco-ligure sono note anche per il periodo successivo alla conquista ottomana: se a metà del sec. xvi la lingua degli abitanti di Chios era «partie Grec, partie Italien corompu, comme est le Genevois» (Balon, 1554: 84a), la situazione non si era modificata nel 1582, quando J. Palerne «segnala l’uso dell’italiano [sic] come lingua corrente per le relazioni interpersonali delle persone colte» (Banfi, 1985: 24); un secolo dopo, nel capoluogo, O.F. de Nointel parlava ancora di «un quartiere totalmente genovese» (Banfi, 2014: 238). C’è da chiedersi cosa esattamente implicassero queste affermazioni, ma è degno di nota che il concetto di «italiano corrotto» formulato da Balon non si riferisse a forme di commistione col dialetto neogreco, bensì alla percezione che del genovese poteva avere un umanista francese; in altre parole, i due idiomi convissero a lungo, con momenti di maggiore o minore apertura reciproca (Fanciullo, 2008: 170) e non senza reciproci influssi, ma ciò non implicò l’elaborazione di una varietà intermedia. È da notare anzi che il dialetto presentato nelle raccolte lessicali del sec. xvii presentava sì un discreto tasso di genovesismi, ma era pur sempre considerato dagli autori dei repertori come un modello di neogreco utilizzabile per le esigenze comunicative dei «latini» nel resto dell’area ellenica. Il genovese a sua volta mantenne la propria autonomia avendo assunto il ruolo di lingua, oltre che della minoranza d’origine ligure, delle componenti locali che mantenevano rapporti con l’antica potenza egemone: non si spiega altrimenti l’affermazione di un viaggiatore francese che visitando l’isola nel 1573, parla di gentildonne con le quali era permesso agli stranieri «de deviser privément [...] en langue Genevoise, sans creinte quelconque» (Du Fresne- Canaye, 1897: 44). Un rapporto diretto, considerando la netta separazione tra le due comunità cristiane (Balard, 1989: 169), dovette instaurarsi anche tra uso del genovese e adesione al cattolicesimo:3 lo testimonia nel 1606 una descrizione del rito del Πολυχρονισμός, durante la quale «le heraut commençoit à crier à haute voix en langue Genevoise, afin qu’il fust plus intelligible, puis en grec» (Iustinian, 1606: 71): emerge bene, da ciò, sia il ruolo del genovese come lingua «etnica» della comunità latina, sia la sua discreta diffusione, se l’araldo se ne serviva per essere meglio compreso da una parte dell’uditorio4 . È difficile dire quanto si protrasse la situazione attestata tra la fine del sec. xvi e l’inizio del xvii: se l’uso del genovese fu legato all’appartenenza religiosa, considerato il decremento costante dei cattolici (6000 su 40.000 abitanti nel 1668, 3500 su 60.000 nel 1754), è probabile che abbia finito per ridursi a un ristretto utilizzo familiare. Nel sec. xix esso dovette tuttavia ritrovare una certa vitalità presso il ceto marittimo e mercantile. Ne è prova il fatto che alcuni genovesismi del chiotico moderno sembrano risalire a quella fase di rinnovati contatti commerciali con la marineria ligure, e al 1876 risale ancora una testimonianza sull’uso del genovese: «visitammo la città e ne osservammo gli abitanti. Notai tra l’altro che molti di questi hanno cognomi genovesi e parlano il dialetto di Balilla» (D’Albertis, 1877-1878: 220). Cinquant’anni dopo E. Ramondo nei suoi primi Saggi non farà più cenno alla presenza di parlanti genovese a Chios, certificando probabilmente un’estinzione avvenuta già entro i limiti cronologici del sec. xix. L’esame dei prestiti liguri nel dialetto di Chios è utile per sviluppare alcune considerazioni sul lascito linguistico genovese nel Levante, tema poco frequentato rispetto alla discreta abbondanza di studi sull’influsso veneto. Da questo raffronto era partito anche l’autore delle ricerche più approfondite (Ramondo, 1923-1925; 1940), evidenziando come «mentre voci veneziane entrarono anche nel patrimonio comune del greco volgare, molte delle genovesi attecchirono soltanto in zone limitate, quelle cioè dove i Genovesi ebbero più intensi e prolungati contatti»; d’altronde la maggior fortuna dei venezianismi, legata a modalità diverse della presenza in area greca, fu anche il veicolo per l’assunzione di italianismi, e «la maggior somiglianza del veneziano alla lingua [italiana] influì poi sull’esito delle indagini, perché voci di diretta provenienza italiana possono venire, come vennero, erroneamente attribuite al dialetto» (Ramondo, 1940: 70-71). Ciò è avvenuto anche per elementi lessicali che potrebbero in realtà risalire al genovese.5 Per Fanciullo, (2008: 183), così, una derivazione da venez.zonta del neogr. τσόντα ‘pezzo che si aggiunge’, ‘giunta di tessuto’, ‘arrotondamento’ è «fuor di dubbio» in base ai riscontri su Boerio (1867), ma anche in Casaccia (1876), e nella documentazione storica, genov. zunta vale ‘giunta, aggiunta’, ‘quello che si dà per soprappiù, fatto il mercato’, ecc.:6 in casi simili la dislocazione geografica di un prestito nelle aree che furono di volta in volta dominate da Venezia o da Genova può essere dirimente. Un’altra circostanza che rende difficile l’individuazione dei ligurismi è l’evoluzione subita dal genovese negli ultimi secoli rispetto alle voci penetrate in neogreco: in βεγγέρα ‘veglia serale’ o πάρα, μπάρα ‘pala (del remo)’ diventa arduo riconoscere i mod. vegêa, pâ (Casaccia, 1876) a meno di non conoscere la letteratura genovese preottocentesca o i dialetti conservativi della Riviera di Ponente (Ramondo, 1940: 74). Una ricerca sistematica sulle fonti storiche, da valorizzare alla luce delle acquisizioni recenti sul lessico ligure, resta in ogni caso, per il momento, tra i desiderata.7 Vediamo intanto di analizzare, per esempi, alcuni aspetti di questo apporto lessicale.8 Il lascito ligure nei dialetti neogreci comprende anzitutto termini attestati soltanto nella documentazione genovese medievale: un caso significativo è quello di busnera ‘tasca’, oggi sconosciuto in Liguria, attestato in documenti neogreci tardo-cinquecenteschi e in Somavera, nelle forme μπουζουνέρα, μπουζουνάρα ‘saccoccia, tasca’.9 Ancora Somavera documenta neogr. καμινά ‘sala’ da caminâ ‘sala del camino’ ben attestato tra il Quattro e il Cinquecento;10 è voce «illustre» del genov. ant. ζιζάμια ‘insalata’ (in Somavera anche ‘intingolo con aceto’), l’inzisame di Anonimo Genovese, 115,8 (< *incisāmen, REW, 4354), di cui già Paolo Foglietta nel sec. xvi lamentava la sostituzione con insalatinna; 11 è ben documentato in genov. ant. fenogieti ‘falbalà’, passato in neogreco (φινουγκέτι). Ampie discussioni ha suscitato a sua volta ταβέλλαις ‘lue’, che trova corrispondenza in genov. ant. tavella di incerta etimologia.12 Diverso è il caso di ασγαβάδα ‘trottola’, registrato da Somavera e presente in chiot. mod. (Pernot, 1907: 223; 1946: 367): come segnalato da Cortelazzo, 1982: 80 (da una nota di Meyer, 1895: 14), corrisponde a (a)sgavada, dell’Anonimo Genovese, voce ben viva nella Riviera di Ponente e più sporadicamente a Levante (col dimin. sgavàudura, sgavàdura), mentre a Genova cominciò dal sec. xvi a essere sostituita da ziàrdua. 13 In qualche caso il riconoscimento dell’origine ligure delle voci si rivela difficile per il rivestimento grafico: la discussione di Ramondo (1940: 84) sul valore dei gruppi consonantici -γγ-, -γκ-, -ντζ- e -τζ-, nella scripta chiotica è sotto questo aspetto istruttiva. Nel caso invece di κουζέρα, presente nei documenti antichi di Chios forse per ‘volta a crociera’ o ‘stanza con volta a crociera’, pur riconoscendovi genov. ant. croxera, per la caduta di -r- in posizione postconsonantica, Cortelazzo (1998: 52) parla di «grande enigma irrisolto», spiegandolo attraverso una metatesi con successiva caduta della -r- del nesso -rz- (*κρουζέρα > *κουρζέρα > κουζέρα: Cortelazzo (2008: 288); in realtà, l’aspetto di genovesismi assunti in altre lingue rivela come, spesso, l’articolazione di -r- postconsonantico, più debole rispetto a quella dell’italiano, non fosse percepita da chi apprendeva il genovese come lingua seconda, o da chi trascriveva le forme liguri.14 Il confronto con altre realtà coloniali è utile anche per sviluppare qualche considerazione sulla motivazione di alcuni prestiti dal genovese. È interessante chiedersi, così, perché certe voci liguri abbiano goduto di ampia circolazione nel tempo e nello spazio, penetrando nelle lingue più diverse: se a volte la spiegazione è semplice (come per αντζούγια presente a Panormos sul Mar di Marmara, Cortelazzo, 1998: 52; 2008: 290, e in una ventina di altri idiomi mediterranei grazie alla specializzazione dei Genovesi nella pesca e salagione delle acciughe), resta da capire ad es. la fortuna di sciönia ‘federa’ penetrato in neogr. (σένια), in còrso e in capraiese (asciònia: Toso, 2008); e se in questo caso si potrà invocare la predisposizione dei Liguri a esportare certi beni nell’ambito dell’abbigliamento e del mobilio (non a caso greco, còrso e capraiese condividono anche il ligurismo στραμπούδα ‘materasso’), resta inspiegabile il successo di sciu(r)â ‘sciorinare’ (che continua in σοράρω ‘aerare’ e nel còrso sciurà) o disciüsciâ ‘soffiare’ riconoscibile in σουσάρω ‘smoccare il naso’, nel còrso e capraiese sciusciassi ‘soffiarsi il naso’ e nel lunfardo shushetu ‘soffietto’ e ‘spione’ (Toso, 2008): bisogna allora pensare al valore espressivo di voci che diventano rappresentative di un tipo linguistico di volta in volta oggetto di imitazione o di ironica parodia. Più in generale, però, i ligurismi in neogreco si riconducono a categorie semantiche definite, relative alle attività prevalentemente espletate o promosse dai Genovesi. Spicca no tra questi i termini tecnico-nautici, anche se in quest’ambito i ligurismi sono meno numerosi dei venetismi (Minniti, 2014a,b), e limitati alle aree di diretta dominazione genovese. Si riconoscono così, tra gli altri, αρέτες ‘alette’, κάβος ‘penisola’ (< cavu), κουβέρτα ‘tolda’ (< cuverta), γάσα ‘occhiello per il cordame’ (< gassa), γραντί ‘gratile’ (< gratî), γριζέλες ‘griselle’ (< grixelle, anche per ‘increspature degli abiti’, Cortelazzo, 2008: 289), μαίστρα ‘vela grande’ (< véia méistra), μάσκα ‘lato dell’imbarcazione’,15 μπαλαούρι ‘camera delle gomene’ (< balòu), il già cit. πάρα, μπάρα ‘pala del remo’,16 πινό ‘pennone’ e σεραπινό (< penùn, serapenuìn), πουντάρω ‘allacciare una vela’ (< apuntâ), σαβούρα ‘zavorra’ (Cortelazzo, 1998: 51), σμπίρος ‘sorta di nodo’ (< sbiru), τάλια ‘carrucola’ (< tagia), ταλιαμάς ‘tagliamare’ (< tagiamâ), ζόβενο ‘mozzo’ (da zùvenu ‘giovane’, a Chios: Cortelazzo 1998: 51, ALM), ζούρλον ‘un tipo di legacci’ (< zerlo); di origine ligure più che veneziana o italiana paiono anche κρουζάρω ‘incrociare’ e κρουζέτες ‘crocette’, τρακάρω ‘attraccare’, σταλλία ‘stallia’ (e derivati), e per la fonetica non è da escludere, malgrado l’etimo ellenico, che chiot. φανά ‘faro’ (Paspatis, 1888) sia un «cavallo di ritorno». Dall’ambito marinaresco provengono anche termini come φουγός ‘cucina della nave’, ‘scaldino’ e ‘fornello’ (< fugùn),17 λατού ‘ottone’, στακέτα ‘bulletta’ (< stachétta) e τζαβέτα ‘grosso chiodo’ (< ciavétta, Cortelazzo, 1998: 54; con altri significati: Ramondo, 1923-1925: 176); sono passate a uso generale anche forme avverbiali tipiche di comandi o indicazioni dell’attività marinara, come μάνι μάνι ‘prestamente’ (< de maniman), αλέστα ‘alla svelta’ (< a-a lesta) e αλάργα ‘lontano’ (< a-a larga). Sono termini di pesca, invece, σάμπεγα ‘strascino, sorta di rete’ (< sciàbega), παρούμα ‘paroma’ (genov. mod. pôma) e αμίρα ‘segnale marino’, e ‘mira di fucile o di cannone’ (< ami(r)a, anche in chiot. mod., Cortelazzo 1998: 52).18 A Chios è attestato un manipolo di voci liguri connesse con l’agricoltura (Cortelazzo, 2008: 289): αμπουρκούνα ‘fico primaticcio’ riflette genov. (figu) arbicun (o figa arbi cuña), e μπο(υ)ράντζα ‘borragine’ è adeguamento di buraxa (anche a Lesbo e in chiot. mod.); in ραδίκια ‘cicoria’ si riconosce la radiccia, in γαζία ‘acacia’ la gazzìa; νέσπουρα ‘nespola’ tradisce la sua origine per il solito rotacismo, e βιορέτα ‘viola’ è anteriore alla caduta di -r- e all’inserzione di -v- riempitivo di iato in genov. viuvétta; μάπα ‘tipo di cavolo’ trova corrispondenze nei dialetti ponentini, dove indica il ‘garzuolo’ della pianta. Sempre in ambito agricolo, τσαπέλα ‘treccia di fichi secchi’ riprende con genov. ciapélla l’eco di un procedimento di conservazione comune sulle riviere, consistente nell’aprire i fichi, pressarli tra due assi e lasciarli essiccare al sole;19 chiot. σπορτί risale a lig. occid. spurtìn con lo stesso significato di ‘fiscolo che nei frantoi contiene le olive da spremere’. Più difficile è capire perché il chiotico assunse dal genovese nomi di uccelli come καρδερίνα ‘cardellino’ (< cardariña, mod. cardæña), λούγαρον ‘lucherino’ (< lüga(r)u) o φανέτον ‘fanello’ (< fanéttu). I Genovesi importarono nelle colonie tecniche e forme costruttive che condizionarono il paesaggio urbano e rurale delle zone d’insediamento: uno sguardo a Stringa (1982), rivela le analogie con le città e i borghi della Liguria anche per le costruzioni private di più modesta concezione. Bisogna quindi pensare alla presenza di maestranze, di architetti e ingegneri in grado di esportare non solo uno «stile» genovese nel campo dell’edilizia, ma anche la nomenclatura corrispondente (Cortelazzo, 2008: 287). Oltre ai termini legati all’edilizia, come κασινάτσα ‘calcinacci’ (< câsinassu), κασόρα ‘cazzuola’ < cassö(r)a, μπουκάρω ‘rabboccare i muri’ < imbucâ, σέτρον ‘centina’ < séutru (anche chiot. mod.) o τσαπέλα ‘piastrella’ (< ciapélla), Germano e Somavera ne segnalano altri per ‘sala’ (il già cit. καμινά), ‘dispensa’ (κάναβα, genov. ant. càneva, vivo anche a Thera), ‘cisterna’ (γιουστέρνα < giüsterna, forma rivierasca), ‘stanze a pianterreno’ (μεζάs < mezan), ‘poggiolo’ (μπουντί, ποντί, πουντί < puntin, Thera ‘muro verso la strada’, chiot. mod. ‘balcone’, Meyer, 1895: 73), ‘portico’ (πόρτεγον < pòrtegu), ‘impannata per le finestre’ (σταμένα < stamegna), ‘tetto’ (τραβάκα, Paspatis, 1888: 361: genov. trabacca ‘sottotetto’, contro venez. ‘tenda’ e it. ‘capanna’, Cortelazzo, 1982: 84), ‘tramezzo’ (τραμεζάνες < tramezañe) e ‘strada’ (στρά). Voci legate a tecniche costruttive si riconoscono nel già cit. κουζέρα e in βότα ‘stanza a volta usata come deposito di merci’ (< vòtta ‘archivolto’), presente in una cronaca cipriota del sec. xv (Cortelazzo, 2008: 287), in documenti chiotici e nei dialetti moderni di Chios, Sifnos e Naxos; non meno chiara è la derivazione di βουρδουνάρι ‘trave del tetto’ da genov. burdunâ, 20 mentre in βρουντάνα di Chios ‘pietra posta sul tetto o su un muro per proteggerlo dalla pioggia’ (Paspatis, 1888: 115; Pernot, 1946: 377) la dipendenza da grundaña ‘sporgenza del tetto’ non richiede la contaminazione con neogr. βρονδή ‘gronda’ come supposto da Cortelazzo (1982: 80). Tra i prestiti legati all’arredamento spiccano, oltre a καρέγα ‘sedia’ e a (μ)παγκάρι ‘cassapanca’ (< bancâ, panellenico), parole relative al letto e ai suoi accessori: καριόρα ‘cassa da letto’ (cfr. cariö ‘girello’, contro il neogr. com. καριόλα), i già cit. σένια ‘fo dera’ e στραμπουδα ‘pagliericcio’, γρίζα ‘coperta da letto di lana’ (a Samotracia: Andriotis, 1938: 164-165; Cortelazzo, 2008: 286) e il verbo σοράρω ‘sciorinare’; altri mobili sono la κάνταρα ‘cassettina’ (genov. mod. càntia), la λαιτέρα ‘lettiga’ (< letté(r)a),21 e il τοράς ‘scancia, scaffale’ (genov. ant. torâ), tutti soggetti all’azione della κάμουρα, il ‘tarlo’; genovesi sono anche nomi di suppellettili come καντερέρα ‘lanterna a candela’ (< cande(r)ê ‘candeliere’), φερουγγέ ‘catenaccio, chiavistello’ (< ferugiâ), σκόντρα ‘ingranaggio della serratura’ (< scuntri), μπουρνιά ‘vaso per unguenti’ (< brünìa ‘barattolo’, arabismo), πανέρα ‘paniere’ (pané(r)a, anche a Lesbo), σκαμπέλλο ‘sgabello’ (< sgambello, chiot. mod.), σκανταλέτο o καδαλέτο ‘scaldino’ (< scâdaléttu), σπασούρα ‘spazzola’ (< spasuì(r)a), τανός ‘braciere’ (< tanun, altro arabismo). Per gli indumenti e gli accessori personali si riconoscono, oltre al verbo σαρσίρω ‘rammendare’ (< sarsî), voci come καινέτα ‘catenina, collanina’ (Cortelazzo, 2008: 290), καμιζόρα ‘giacca femminile’ (Lesbo e Chios: lig. camixö(r)a), κορωνέτα, voce lig. per ‘coroncina del rosario’, κουρκέτι ‘gancetto dell’abito’ (< curcéttu, antico francesismo), γαμπάς ‘gabbano’ (< gaban), γασέτα ‘bottoniera, occhiello’, γρίζος ‘indumento di lana da uomo’ (Tracia, Imbro, Cipro, Macedonia: Cortelazzo 2008: 286), πεντί ‘gioiello’ (in cui si riconosce pendin ‘orecchino’, passato anche in còrso), σκούφια ‘cuffia’, τσόκαρον ‘zoccolo’ (chiot. mod. τσόυκαρο) e ancora chiot. mod. σπεγγέτια, σπενγκέτια ‘occhiali’ da genov. spêgétti (anche in còrso, gallurese, ecc.). Cortelazzo (2008: 289) ha sottolineato la presenza di prestiti in ambiti semantici nei quali il veneziano non ha lasciato traccia, a testimonianza delle diverse modalità di colonizzazione; uno è come si è visto l’agricoltura, un altro è quello della medicina, che lascia dedurre una specifica attenzione, per motivi di controllo sociale, della sanità pubblica, che nel porto di Chios obbediva a norme elementari di profilassi che i Genovesi non mancavano di praticare anche in patria. Penetrarono così voci relative a rimedi come μεζίνα ‘medicina, purga’ (< meixiña), πίλουρα ‘pillola’ (< pìllu(r)a), πουζού ‘pozione’ (< pusiun), e anche τζαλάπα ‘gialappa, purgante’ (< scialappa: Cortelazzo, 1998: 49), nomi di malattie come γούσουρα, γόισουρα ‘apoplessia’ (letteralmente ‘gocciola’), μπουκαρέλα ‘afta’,22 la già cit. ταβέλλαις ‘lue’, e per certi aspetti αγκούσα ‘afflizione’ (< anguscia) e μόκος ‘semplicione’ (sviluppo semantico di lig. muccu ‘mogio, triste’); a quest’ambito si associano voci relative al corpo umano come il cit. μάσκα ‘guancia’, μούρη, μούρι ‘faccia’ (< mûru),23 παρπέλα ‘palpebra’ (< parpélla). Anche alcune voci alimentari paiono legate a pratiche mediche, come νέγκια ‘cialda’ (< négia) e μουστοκέτο ‘vin cotto’ (< mustu cöttu, con ö > e che caratterizza i prestiti in neogreco); non è il caso invece di σαβού ‘saporetto, intingolo’ e ραβιόλια ‘sorta di ravioli’ (Paspatis, 1888).
Oltre alla medicina, i Genovesi promossero a Chios la scrittura e il suo insegnamento: τόρα (< tò(r)a) è la ‘tavola dell’abbaco’, κερνόν (< quærnu) il ‘quaderno’, μπουρέτα (< pü(r)a ‘polvere’) il ‘polverino per asciugare l’inchiostro’; nei documenti antichi è inoltre frequente il riferimento a φέτσα, φέντζα, φέγγιο καρτί (< föggiu) ‘fogli, foglio di carta’ e allo στρουμέντο ‘strumento legale’, che vedeva impegnato il σενσάρης ‘sensale’ (< sensâ(r)), di solito poco propenso a vendere a κρέντσα ‘a credito’ (< crensa). Discreto doveva essere anche l’interesse per la musica, a giudicare da voci come βιολί ‘violino’ (viulin), καβίγες ‘cavicchie del liuto’ (< caviggia) e ταμβούρλο (‘tamburo’ a Chios e Lesbo, genov. ant. tamburlo).24 Nell’ambito delle relazioni personali e della vita sociale è significativa la sopravvivenza nella Chios di fine Ottocento di μισέ, termine di rispetto per i membri dell’aristocrazia (Μισέ Ζαννής, Μισέρ Ζόρζι),25 da genov. ant. messê; nei documenti locali era riferito ai membri dell’antica nobiltà (Μισέρ Περή Γγιουστινιά καί Μισέρ Γγιουσέπη Γγιουστινιά, 1518, traslitterazione di Messer Perin Giustinian e Messer Giuseppe Giustinian: da Kanellakis, 1890: 391); oggi questo appellativo è caduto in disuso, e già negli anni Venti del sec. xx aveva assunto una connotazione ironica. Inoltre le fonti riportano voci liguri relative ai legami di parentela, come μπαρμπάς ‘zio’ (< barba, barban in documenti chiot. del sec. xvii), κουνιά ‘cognata’, κουνιός ‘cognato’ (< cügnâ e cügnòu), μαδόννa ‘suocera’ (Paspatis, 1888) e anche παϊρίνος ‘padrino’, dalla forma arcaica pairin, 26 mentre πάγιες, πάγες ‘padre’ (< genov. ant. pàire), era usato a Chios come forma di rispetto (Fanciullo, 2008: 179); una φαντίνα ‘ragazza da marito’ (< fantiña ‘ragazza nubile’, Chios: Kanellakis, 1890; Samo, Smirne, Vourlà: Cortelazzo, 1998: 52) che non fosse μαλφέτα ‘di facili costumi’ (< mâ fæta, in Tracia), trovava il suo pretendente frequentando la tradizionale βεγγέρα ‘veglia serale’ (< veggé(r)a: Chios, Peridis, 1878; a Thera nella variante φεγγέρα), ma la società coloniale non ammetteva grandi svaghi: si ricordano tuttavia l’uso di giocare a palla con le palette (τζάπα, insolita specializzazione del genovese ciappa) 27 e quello di organizzare chiassose suonate di τένεμπρα ‘raganella’, strumento che ha conservato il nome ténebra anche nella Riviera di Ponente.
Questa rapida sintesi, suggerendo qualche precisazione sulla lettura e l’interpretazione di alcune voci, ha evidenziato taluni aspetti dell’eredità lessicale ligure a Chios e più in generale in neogreco. Sono state evidenziate in particolare le modalità di un’interferenza rilevante negli spazi geografici e culturali in cui la presenza ligure si radicò maggiormente: emerge una varietà dei campi semantici interessati, che non si limita al lessico marinaro o a quello mercantile, mettendo in luce la profonda integrazione tra elementi indigeni e genovesi nella Chios «coloniale». Elemento costitutivo dell’«identità» (non solo linguistica) di quest’isola, la genovesità ha permeato in modo più discreto altre aree dell’Egeo, raggiungendo di rado una diffusione ampia del suo lessico: è difficile che ulteriori acquisizioni possano modificare sostanzialmente questo quadro, ma è lecito attendersi, da un auspicabile aggiornamento delle ricognizioni su fonti documentarie e dialettologiche, l’assunzione di materiali utili per una più precisa valutazione dell’eredità ligure in uno spazio —e in una fase storica— di cruciale interesse per le dinamiche del contatto linguistico nel bacino del Mediterraneo.
Fonte: https://publicacions.iec.cat/repository/pdf/00000231/00000018.pdf
Δεν υπάρχουν σχόλια:
Δημοσίευση σχολίου