Da martedì le forze armate di Turchia e Grecia sono in stato di massima allerta e i militari turchi con licenza estiva hanno ricevuto l’ordine di rientrare ed essere pronti ad un massimo dispiegamento rapido; quindi essere pronti in caso di chiamata alle armi, ovvero guerra.
Il 22 luglio, ha avuto luogo una grande prova di forza della marina militare turca, che ha schierato 17 navi militari da prima linea e 6/7 sottomarini in prossimità delle acque greche. Ma che cosa sta accadendo? Andiamo con ordine.
Il 27 novembre, il governo turco e il governo di accordo nazionale libico hanno siglato un accordo sulla delimitazione dei confini marittimi nel Mediterraneo che ha portato alla nascita di un “corridoio acquatico” turco-libico funzionale alla legittimazione di rivendicazioni territoriali ed energetiche nel Mediterraneo orientale da parte dei due firmatari. Il motivo dell’accordo è chiaro: nel Mediterraneo orientale si trovano ricchissimi giacimenti di gas naturale, e la Turchia è stata finora esclusa da ogni iniziativa regionale di ricerca, esplorazione e sfruttamento. Approfittando della pandemia e della rendita di posizione garantita dalla questione migratoria (e anche da altre ragioni), la Turchia ha accelerato i lavori per dare concretezza a quell’accordo.
Innanzitutto è stata effettuata una prova, il 21 maggio, per verificare le capacità e la volontà di reazione da parte europea e greca. Un piccolo esercito, composto da +30 soldati, ha invaso una striscia di terra greca lungo il fiume Evros, installandovi sulla sommità la bandiera a mezzaluna e stella turca, che da allora lì sventola. Dall’Unione Europea non giungono dichiarazioni di condanna ma inviti al dialogo; la Grecia minaccia ritorsioni militari ma abbaia solo. Sono i segnali che la Turchia stava aspettando: via libera alle operazioni.
Nei mesi di giugno e luglio gli sconfinamenti turchi nelle acque territoriali e nello spazio aereo greci sono aumentati a dismisura, così come sono aumentate le minacce di inviare navi da ricerca nelle acque sotto sovranità greca che l’accordo del 27 novembre ha trasformato in possedimenti turchi. La tensione aumenta, soprattutto nel dietro le quinte, e il 10 luglio il governo tedesco decide di prendere in mano la situazione.
Quel giorno, a Berlino sono stati invitati diplomatici turchi e greci, sedutisi ad un tavolo di discussione insieme ad una squadra di mediatori rispondente agli ordini di Angela Merkel. L’incontro è stato avvolto in un manto di assoluta segretezza ed è avvenuto su richiesta esplicita di Berlino.
La notizia della trilaterale è stata data soltanto diversi giorni dopo. Due gli argomenti di discussione: le rivendicazioni turche nel Mediterraneo orientale e il dossier dei territori contesi. Ora, visto che noi vi diciamo sempre di fare attenzione ai dettagli, abbiamo analizzato quando accaduto nel dopo-incontro e abbiamo notato immediatamente che:
1) La notizia è stata fatta circolare dai media turchi, che ne hanno parlato in termini ultra-positivi
2) L’opinione pubblica greca è venuta a sapere di queste trattative segrete dai media turchi
3) L’esecutivo greco ha prima negato ogni indiscrezione sulla veridicità dell’incontro e dopo ha declinato ogni commento.
Avevamo scritto che, secondo noi, questi tre eventi avrebbero potuto essere degli indizi, o addirittura delle prove, che se letti adeguatamente avrebbero permesso di capire la piega assunta dall’incontro. Avevamo scritto che, secondo noi, l’incontro non si era concluso positivamente per Atene e che molto probabilmente i delegati di Berlino e Ankara erano seduti dalla stessa parte del tavolo. Avevamo anche scritto questo: “Potremmo dire che questi eventi costituiscono delle vere e proprie prove, ma attendiamo. Vediamo cosa succederà nei prossimi giorni.“
Nei giorni successivi è accaduto il finimondo. La tensione fra Grecia e Turchia non è mai stata così alta dall’epoca dell’incidente di Imia del 1996, un episodio caduto nel dimenticatoio durante il quale persero la vita tre soldati greci a causa di un elicottero caduto presumibilmente a causa del fuoco turco.
A inizio luglio, decine di pescherecci turchi hanno iniziato a stazionare nella zona economica speciale greca e nei pressi di Lesbo alcuni di quei pescherecci stanno “scortando” una nave “civile” turca. Abbiamo spiegato il nostro punto di vista su questo fatto curioso: Ankara, forse, ha in mente di provocare i greci ed ottenere un incidente fra i “finti civili” turchi e le forze militari greche per invalidare l’art. 42 TEU (possibilità per stato membro UE di chiedere assistenza agli altri in caso di attacchi di vario tipo). Un’operazione sotto falsa bandiera, insomma, che funga da casus belli. Non è per nulla irrealistico e vi spieghiamo perché.
Il 22 luglio, l’aviazione turca ha intercettato un caccia greco vicino a Castelrosso (isola greca dinanzi le coste turche). L’aereo è stato costretto ad allontanarsi dall’isola, che ripetiamo è greca, dopo essere stato avvicinato dall’aviazione turca ed intimato di allontanarsi “dal territorio turco”. Ci hanno anche accusato di diffondere bufale, semplicemente perché la stampa tradizionale non ne sta parlando, pur avendo spiegato che abbiamo fonti in loco e infatti, a distanza di qualche ora, anche gli stessi media greci hanno iniziato a parlare di questi eventi.
Anche in quel caso si è trattato di una prova: intercettare un caccia greco, in territorio greco, per tentare di leggere la mente di Atene. A parte una riunione militare, nient’altro. Il segnale che Ankara attendeva: nella stessa giornata, il governo turco annuncia che, sulla base degli accordi del 27 novembre, inizieranno a breve, brevissimo, operazioni di ricerca di risorse naturali nelle acque di Castelrosso che dureranno fino al 2 agosto.
Nel dopo-annuncio, le forze militari greche sono state messe in stato d’allerta e pronte ad intervenire qualora i turchi dovessero violare le acque territoriali di Atene. Entrambi i paesi hanno anche iniziato grandi manovre militari. Tutto qui? No.
Veniamo a sapere che se la forza mostrata in pubblico è grande, quella nel dietro le quinte lo è ancora di più. Questa settimana, la Merkel avrebbe disperatamente mediato fra le due parti, evitando una “guerra aperta”. Questa è la versione dei media tedeschi. Ma noi, che dubitiamo per natura, crediamo che la Germania stia, sì, mediando, ma che non sia schierata dalla parte greca. Perché?
Torniamo all’incontro ultra-segreto di Berlino. Parliamo di un vertice ultra-segreto, nascosto al pubblico e della cui esistenza si è venuti a sapere solo grazie ai media turchi. Quello è il primo indizio. Erdogan ha iniziato una politica ultra-muscolare proprio all’indomani di quell’incontro. Questo è il secondo indizio. E se dietro le mosse turche nell’Egeo e nel Mediterraneo orientale vi fosse il tacito assenso di Berlino? Eloquente il silenzio tombale tedesco di questi giorni. Le solite dichiarazioni di circostanza: minacce di sanzioni, massimo supporto diplomatico ai greci. Nient’altro. Dichiarazioni che sono state fatte su richiesta del primo ministro greco, tra l’altro. Quello è il terzo indizio.
Sì, secondo noi, Erdogan gode del supporto tedesco, altrimenti queste azioni sarebbero insensate: perché violare i termini stabiliti ad un incontro? Perché perdere il sostegno di Berlino, che è la voce amica di Ankara più influente nell’Ue?
La Germania è con le spalle al muro, non ha potere negoziale nei confronti della Turchia, e i motivi sono differenti: visione liberale e post-storica delle relazioni internazionali contro una realista, aggressiva e muscolare; paura della bomba migratoria; paura della polveriera all’interno dei propri confini (+6 milioni di turchi, largamente pro-Erdogan, e presenza capillare di bande di strada turche ed un esercito invisibile di oltre 10mila fra radicalizzati veri e presunti); e non è da trascurare un’indifferenza di fondo verso gli interessi di Atene, paese che la Germania, per prima, ha contribuito a rovinare e degradare negli ultimi vent’anni per scopi di egemonia geoeconomica.
https://geopoliticalnewspr.news/2020/07/23/venti-di-guerra-fra-grecia-e-turchia-vediamoci-chiaro/
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