Sabato scorso Avvenire ha fatto un titolo quantomeno ambiguo sulla trasformazione della basilica di Santa Sofia in moschea: "Santa Sofia è di Erdogan".
Il sottotitolo recitava: "Insorgono l'Onu, gli ortodossi, Usa, Ue e Atene". Dall'elenco mancava clamorosamente l'istituzione che più avrebbe dovuto manifestare dolore e disappunto: la Santa Sede. Un silenzio imbarazzante che - col passare delle ore - diventava sempre più insostenibile, perché rischiava di replicare l'analogo silenzio del papa di domenica scorsa su Hong Kong quando Bergoglio si è rifiutato di leggere, all'Angelus, un pensiero sulla repressione della libertà e dell'autonomia di Hong Kong da parte del regime comunista cinese.
Oltretutto con la replica di un altro silenzio papale, stavolta relativo all'Italia, cioè alla controversa legge sull'omofobia, in discussione al Parlamento, che - secondo vescovi, sacerdoti e laici - minaccia gravemente la libertà di insegnamento della Chiesa. Anche su questo il papa - sempre così interventista nella politica italiana - sta osservando il più rigoroso silenzio (pur essendosi pronunciato più volte, in passato, su questi temi). Dunque Bergoglio ieri ha ritenuto che - almeno sulla vicenda di Santa Sofia - doveva dire una parola, forse anche per non esporsi troppo alle critiche di chi lo accusa di non difendere i cristiani e di chi nota la sua spiccata acquiescenza verso il mondo islamico, persecutore dei cristiani, e verso i regimi comunisti, specialmente quello cinese. Così ieri all'Angelus papa Bergoglio ha detto una parola su Santa Sofia: si è detto «molto addolorato».
È poca cosa, ma è comunque un messaggio, quanto basta per non passare alla storia - fra l'altro - come il papa che è stato indifferente alla trasformazione in moschea di Santa Sofia. Il pronunciamento pontificio esprime infatti il dolore della Chiesa cattolica. È un intervento significativo anche per l'Italia, dove sono stati Matteo Salvini e Giorgia Meloni a intervenire su questo caso che - peraltro - evidenzia il problema internazionale rappresentato dalla Turchia di Erdogan. Giorgia Meloni ha scritto sulla sua pagina fb: «Erdogan completa il processo di trasformazione della laica Turchia in un sultanato islamico convertendo (nuovamente) in moschea il museo di Santa Sofia di Istanbul. Con questo atto, che Erdogan crede essere una dimostrazione di forza della sua deriva islamista, l'aspirante sultano non fa altro che ammettere di essere incapace, nel 2020, di costruire qualcosa che possa anche solo avvicinare la maestosità della basilica di Santa Sofia costruita circa 1500 anni fa dalla cristiana Costantinopoli».
Matteo Salvini, preannunciando anche un presidio della Lega davanti al consolato turco di Milano, ha scritto su Twitter: «La stessa Turchia che qualcuno vorrebbe far entrare in Europa, trasforma Santa Sofia in una moschea. La prepotenza di un certo Islam si conferma incompatibile con i valori di democrazia, libertà e tolleranza dell'Occidente». Con l'operazione Santa Sofia il "Sultano" Erdogan ha riconfermato le sue mire espansionistiche ed egemoniche che vanno addirittura dalla Spagna a Gerusalemme (passando per la Libia). Infatti Erdogan, parlando ai turchi e ai musulmani di tutto il mondo, ha detto che la «riconversione» di Santa Sofia è «precorritrice della liberazione della moschea al-Aqsa», cioè di Gerusalemme (gli sono giunti applausi da Hamas) e fa parte del piano che vuole risvegliare l'Islam «da Bukhara, in Uzbekistan, all'Andalusia, in Spagna». Una sorta di Califfato. Come si vede c'è di che preoccuparsi. Gad Lerner - sul Fatto quotidiano - ieri ha notato l'inquietante riferimento a Gerusalemme, mettendone giustamente in luce il senso destabilizzatore. Poi ha sentito l'inspiegabile bisogno di improvvisarsi storico parlando del 1236 «quando la reconquista cristiana della penisola iberica fu suggellata dalla trasformazione della Mezquita islamica di Cordoba in cattedrale dell'Immacolata Concezione».
https://www.liberoquotidiano.it/news/politica/23771078/papa-francesco-accordo-matteo-salvini-islam-santa-sofia-addolorato.html
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