Σάββατο 9 Ιουνίου 2018

Scoperti 31 fortini greci fra Locri e il Tirreno. L’eccezionale ritrovamento in Aspromonte

 Resti di uno dei fortini individuati da Lino Licari sull'Aspromonte. Questo si trova in località Zillastro - Ph. © Lino Licari
Resti di uno dei fortini individuati da Lino Licari sull’Aspromonte. Questo si trova in località Zillastro – Ph. © Lino Licari

Posti dalla città di Locri a salvaguardia della sua via di sbocco sul Tirreno, furono anche una cortina difensiva di tutta l’area di influenza della polis jonica contro gli attacchi dei Calcidesi di Reggio.

di Alessandro Novoli, 08 06 2018

Se il Parco Nazionale d’Aspromonte ha molti assi nella manica per ambire all’ingresso nei Global Geoparks dell’Unesco, un nuovo assist gli viene ora servito sotto il profilo del patrimonio culturale dalla eccezionale scoperta archeologica fatta da una delle guide ufficiali del parco, il rosarnese Lino Licari, il quale da almeno un anno va individuando uno dietro l’altro i resti di una lunga serie di fortificazioni di origine magno-greca (phrouria) presidianti il percorso che dalla importante colonia di Locri Epizephiri - fondata dai Locresi di Grecia al principio del VII sec. a.C. - arrivava fino a Medma (l’odierna Rosarno), subcolonia impiantata sul versante tirrenico verso la fine dello stesso secolo, periodo in cui i Locresi fondarono anche la città di Hipponion (Vibo Valentia).

Licari ne ha identificati ben 31 e, stando ai primi esami delle strutture e al ritrovamento di frammenti di ceramiche, risalirebbero ai primi secoli di vita (VI-V a.C.) della colonia jonica, interessata ad avere un autonomo percorso di sbocco sul Tirreno, meta dei principali traffici commerciali; una via alternativa allo Stretto di Messina posto sotto il rigido controllo delle potenti città di Reghion (Reggio Calabria) e Zancle (Messina), fondate nell’VIII secolo da coloni Calcidesi. Ragioni economiche e politiche spinsero dunque i Locresi ad occupare nuovi territori sul versante occidentale della Calabria – area particolarmente fertile per l’abbondante presenza di acque e di terreni alluvionali oltre che strategica per posizione geografica – e a presidiare la via di collegamento fra i due versanti costieri, creando al tempo stesso una cintura difensiva a tutela delle proprie città e delle risorse del territorio dai possibili attacchi dei Calcidesi reggini. Esigenza tanto più sentita dopo che Anassila, tiranno di Reggio, chiuse lo Stretto ai Locresi, per cui Medma divenne il porto di Locri.
  
Il tragitto che da Locri arrivava fino a Medma consisteva dunque in un valico interno che si inerpicava sulle creste aspromontane attraversando i passi di Ropola e del Mercante a quota 952 metri prima di iniziare la discesa in direzione del magnifico terrazzo di Pian delle Vigne, cuore dell’antica pianura medmea.  Le fortificazioni identificate rivelano l’importanza attribuita dai Locresi a questo percorso che Licari, direttore del “Gruppo archeologico Medma” oltre che guida del Parco, sta continuando ad esplorare insieme all’esperto di cartografia Andrea Ciulla, sotto la supervisione di Antonino Siclari responsabile del progetto di ricerca dell’ente Parco e in costante contatto con la Soprintendenza di Reggio Calabria attraverso l’archeologo Fabrizio Sudano, direttore del Museo Archeologico di Medma. Per conto del Parco, Licari sta infatti effettuando la mappatura di tutti i siti rientranti nel suo perimetro, con misurazione  e dettagliata schedatura di ciascun fortino, operazione cui farà seguito un’attenta indagine da parte di Soprintendenza e Parco: “tutti i siti – spiega Licari – vengono schedati e fotografati e ognuno di essi ha una propria carta topografica che permette di localizzarlo, essendo indicato il luogo di pertinenza, le coordinate e le modalità di arrivo”.
  
Queste strutture si presentano a pianta quadrata con muri larghi fino a 2,40 m. ed erano articolate in più piani, adempiendo alla funzione di presidio territoriale. Molti dei muri sono ben conservati, fatto che consente di comprenderne tecniche costruttive, tipologia e funzione. Come rivela la carta seguente, il tracciato militare presenta un doppio andamento: un primo tratto, da est a ovest, segnato in giallo, segue la strada (dromos) commerciale e militare Locri-Medma, presidiando il percorso che partiva dalle mura dell’antica città jonica, saliva a Zomaro (località montana all’interno del Parco, ricca di faggi, abeti, lecci, ginestre e della rarissimaWoodwardia radicans, specie di felce gigante sopravvissuta al Cenozoico), per poi scendere verso Medma: un tragitto costellato di piccoli fortini, fontane e abbeveratoi per i cavalli, che a Zomaro incrociava un insediamento militare di maggiori dimensioni presso il quale era possibile anche il riposo notturno e diurno, il rifocillamento dei viandanti e il cambio dei cavalli. “Il tracciato – spiega Licari – era in terra battuta mentre in alcuni punti di salite o discese in forte pendenza c’era il selciato realizzato con pietre recuperate sul posto.”

Un secondo tratto, indicato in celeste sulla carta, attraversava invece tutto l’Aspromonte in direzione nord-sud, dal Monte Limina fino ad Amendolea di Condofuri (l’antica Peripoli), passando per i Piani di Carmelia (a Delianuova): “una lunghissima via militare in quota che – aggiunge Licari – ho voluto chiamare con antico termine grecanico “Anadromos” delle fortezze, la quale in alcuni punti aveva anche rilevanza commerciale e per certi tratti procedeva in parallelo con i confini dei Calcidesi reggini (i punti segnati in rosso), ma soggetta a cambiamenti in base all’andamento delle guerre”.
  
A indirizzare Licari verso la scoperta di questo sistema di avamposti militari, sono stati sia la provata esperienza di guida del Parco sia un ampio studio di testimonianze storiche ed erudite, oltre che cartografiche: “Ho iniziato – racconta Licari - studiando accuratamente alcune carte topografiche sia antiche che recenti su cui è ancora possibile trovare toponimi che riportano a luoghi frequentati da antiche popolazioni. Ma il lavoro principale è stato quello della ricerca sul campo girando ogni angolo del Parco Nazionale dell’Aspromonte. Sono partito dal Piano della Limina proseguendo in direzione sud passando da un versante all’altro, cioè da quello ionico a quello tirrennico, e questo dopo aver notato la presenza di resti archeologici che si alternavano in entrambi i versanti: Monte Limina, Zomaro, Piano di Moleti, Zervò, Zillastro, Monte Fistocchio, Piani di Carmelia e via scendendo. La presenza di resti archeologici in punti strategici mi ha permesso di identificare sia i siti che le loro funzioni.”
  
Le ricerche – aggiunge Licari – “si sono concentrate con particolare passione soprattutto fra giugno e settembre dello scorso anno ed hanno permesso di rivelare la straordinaria ricchezza archeologica del Parco, con siti d’alta quota distribuiti fra gli 800 e i 1560 metri sul livello del mare, oltre che di aggiungere qualche altro tassello alla storia di Locri e Medma. Colgo l’occasione per ringraziare la nostra Soprintendenza perché ci ha appoggiati fin dall’inizio, così come ringrazio Giuseppe Bombino, presidente dell’ente parco, il direttore Sergio Tralongo, il responsabile biodiversità Antonino Siclari e tutto il direttivo, nonché il collega Andrea Ciulla fondamentale per la conoscenza del territorio ed esperto di cartografia”.

E’ qui il caso di ricordare come l’asse Locri-Medma, lungo il versante aspromontano orientale, sia attualmente interessato da una campagna di scavi a cura dell’Università del Kentucky, sotto la direzione del prof. Paolo Visonà, cha negli anni ha esplorato quattro siti fortificati fra Zomaro e il territorio di Antonimina. Va aggiunto anche che le emergenze archeologiche dell’Aspromonte non si fermano all’età magno-greca: i 64.153 ettari del Parco vantano infatti anche testimonianze d’epoca preistorica composte per lo più da frammenti litici e ceramici a cui si è aggiunta di recente la scoperta di una macina del Neolitico prontamente consegnata al Museo Archeologico di Medma, a Rosarno. “Nel corso delle indagini archeologiche per individuare e censire i fortini – racconta Licari –  abbiamo individuato e censito anche molti sentieri che presentano tutte le caratteristiche di antichi assi viari, fra cui vie completamente ricoperte di pietre, alcune delle quali possono essere state vie di comunicazione commerciali e militari tra i due versanti ionico e tirrenico”. Insomma tanto è emerso e tant’altro potrebbe ancora emergere da quest’area ad oggi poco esplorata soprattutto a causa della fitta vegetazione; elemento che se da un lato ha da sempre ostacolato le ricerca, dall’altro ha favorito la buona conservazione di resti di strutture spesso create su crinali scoscesi.
  
Dopo i risultati raggiunti, il sogno di Lino Licari è che “possa presto nascere una sentieristica in grado di permettere ai visitatori un’esplorazione storico-archeologico-naturalistica di 3-4 giorni attraverso le foreste aspromontane, e di altri 2-3 giorni nell’area ellenofona, dove è ancora in uso l’idioma greco arcaico e l’abitudine di ospitare i visitatori nelle vecchie dimore grecaniche”; un sogno che potrebbe diventare realtà se, come sembra, l’ente Parco, la Soprintendenza e la Città Metropolitana di Reggio Calabria stanno lavorando di concerto per far sì che il Parco Nazionale d’Aspromonte diventi una meta di rilevanza internazionale.

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