Κυριακή 3 Ιουνίου 2018

Mare Nostrum e Italia: un binomio millenario che dobbiamo riaffermare

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Roma, 3 giu – Il mare in medio terrae, la cui traduzione dal latino sarebbe «il mare in mezzo alla terra», è stato il primo bacino acquatico attorno cui si sono sviluppate le più importanti e quanto mai prolifiche civiltà antiche e moderne. La società occidentale, come ben si sa, affonda le radici proprio in epoca classica, romana e greca per intendersi grossolanamente.

Le primissime civiltà che si affacciarono sul Mediterraneo furono quella cretese e fenicia a distanza di qualche secolo. Quella cretese era una società molto ben organizzata, una candidata papabile per la conquista dell’egemonia mediterranea, se non fosse stato per l’invasione achea del 1400 a.C. circa. In quei secoli iniziò a diffondersi anche il fenomeno della pirateria: i predoni passati alla storia con il nome di «popoli del mare» causarono la fine dell’Impero ittita e danneggiarono gravemente, dal punto di vista economico, l’Egitto dei faraoni. Queste popolazioni si insediarono in Asia Minore e diedero origine ai primissimi regni indio-semitici, tra i quali quello filisteo della Palestina.

Un ruolo non secondario lo svolgeranno i Fenici, un popolo di commercianti e di esploratori famoso per aver navigato in lungo e in largo tutto il bacino e per aver fondato importantissime colonie quali Cartagine, Biblo, Berito (l’attuale Beirut), Tiro e Sidone, senza dimenticare gli insediamenti su tutto il versante occidentale e meridionale della Sardegna. Insomma, i Fenici, anch’essi un popolo semitico, divennero i primi pionieri che osarono addentrarsi fino alle colonne d’Ercole del Mediterraneo e, secondo il parere di alcuni storici, addirittura al di là del confine ultimo del pianeta.

Un altro popolo, però, fece del Mediterraneo la propria «autostrada» commerciale: il popolo greco. Le polis dell’Ellade, ad un certo punto della loro esistenza, iniziarono infatti a sentire la necessità di cercare «fortuna altrove». Moltissimi coloni, per questo motivo, lasciarono la madre patria e, giunti in una terra senza padrone al di là del mare, costruivano degli insediamenti che, di lì a pochi anni, divennero vere e proprie città molto spesso più importanti della polis di origine. Ecco che la Magna Grecia diventerà la terra di moltissimi geni, poeti ed eroi della nostra cultura quali Archimede, Pitagora, Zenone, Gorgia ecc. Non per niente uno dei massimi poeti di età romana, quale era Ovidio, affermerà Itala nam tellus Graecia maior erat, ossia «ciò che chiamavamo Magna Grecia era (in realtà) l’Italia»: il Meridione era infatti l’avanguardia tecnologica, letteraria e politica di tutto il nostro stivale.


Nel Mezzogiorno, i Romani poterono conoscere la figura del tyrannos, ossia il «tiranno» inteso nel senso greco del termine: un sovrano assoluto ma illuminato, molto spesso ben voluto e acclamato dal popolo che si affidava totalmente al suo volere, considerato come il più giusto e corretto. Il tiranno è però condannato a vivere con una «spada di Damocle» sopra la sua testa, un’arma affilatissima appesa ad un filo molto fine, metafora del fatto che, come è riuscito il tiranno ad ottenere il potere grazie all’acclamazione popolare, sempre il popolo può rivelarsi la causa della sua rovina nel momento in cui il sovrano utilizzasse il suo potere contro la polis nella sua istituzione e composizione.

Ma torniamo al nostro mare. La denominazione mare Mediterraneum la troviamo in un’opera dello scrittore latino Gaio Giulio Solino nota con il titolo Collectanea rerum memorabilium, una trattazione geografica di notizie provenienti da tutto il mondo allora conosciuto. Questo autore, praticamente semisconosciuto agli odierni manuali di studio del latino scolastico, è stato, in realtà, molto importante in quanto primo nella storia a definire Roma caput mundi, ossia eterna e sovra-urbana città di tutto il mondo, conosciuto e non.

Nel libro V del De bello gallico di Giulio Cesare troviamo l’epiteto Mare nostrum riferito al Mediterraneo. Infatti, tutte le terre conquistate dal generale che si affacciavano sul mare diventavano «nostre» ossia, immedesimandosi nella figura di un cittadino dell’Urbe, parte del crescente dominio romano. Mare nostrum diventerà, però, un’espressione ancora più famosa dopo la crociata di Pompeo contro i pirati che terrorizzavano le acque del nostro mare. Solo dopo aver debellato questa piaga, il Mediterraneo fu proprietà indiscussa di Roma.

Il Mediterraneo sarà, in ogni caso, il centro di interesse di tutti i più grandi imperi della storia: da quello di Alessandro Magno a quello romano, passando per il secolare Impero ottomano fino all’imperialismo russo. Anche nel Novecento, malgrado la perdita d’importanza a favore dell’apertura a ovest verso l’Atlantico, il Mediterraneo è stato al centro del dibattito politico mondiale. Una delle cause remote dello scoppio della prima guerra mondiale, se ci pensiamo bene, è l’invasione della Serbia da parte dell’Austria-Ungheria un mese esatto dopo l’assassinio dell’Arciduca Ferdinando il 24 luglio 1914. La Serbia e gli annessi staterelli balcanici erano sotto l’egida della Russia. Ma cosa vuoi che interessasse ad un impero colossale come quello zarista un paesino infimo come la Serbia? Quello che volevano anche l’Austria, la Germania e tutti gli altri Paesi d’Europa: uno sbocco sul Mediterraneo. Controllarlo sarebbe stato di vitale importanza per la sopravvivenza economica di un qualsiasi Stato del vecchio continente.

Lo capì molto bene la politica estera fascista. Agli inizi degli anni Sessanta era stato pubblicato un romanzo molto particolare scritto da Philip K. Dick intitolato La svastica sul sole. Il romanzo distopico per eccellenza altro non è che la visione alternativa della storia dopo il 1945 con un totale ribaltamento delle carte in tavola. La bomba atomica cade su Washington, le SS marciano su New York, i giapponesi sbarcano a San Francisco e quella che viene divisa in due non è la Germania, bensì l’America. Insomma, l’Asse vince la seconda guerra mondiale e si dà il via ad una guerra fredda tra Berlino e Tokio. E l’Italia? Quasi come se fosse impossibile anche nella fantascienza che il nostro Paese riesca a dimostrare il suo valore al mondo intero, Mussolini e l’Impero Italiano, guarda caso, hanno avuto un ruolo secondario nella vittoria finale e, di conseguenza, anche il territorio assegnato al nostro stivale sarà ridotto. Indovinate un po’ di quale fetta di mondo vi sto parlando? Esatto: il Mediterraneo. Secondo le teorie del Neuordnung, il «Nuovo Ordine», elaborato dai nazisti, l’Italia avrebbe dovuto amministrare prevalentemente il Nord Africa e i Paesi dell’Europa mediterranea che, anche se può sembrare un bel pezzo di mondo, nulla toglie a ciò che, invece, avrebbero dovuto amministrare il Reich e il Giappone, che praticamente si spartivano Asia e Americhe. Il Mediterraneo era il Lebensraum, lo «spazio vitale», che serviva all’Italia per diventare una superpotenza al pari dei suoi colleghi d’Oltralpe e in Estremo Oriente. Insomma, Roma doveva diventare una capitale talassocratica basata sul totale controllo delle vie di commercio e di comunicazione via mare.

La Guerra Fredda ha spostato definitivamente l’attenzione su un altro enorme mare, l’Oceano Atlantico, ma il Mediterraneo è rimasto quanto mai vivo e al centro del dibattito della questione araba. Attorno alle rive del Mediterraneo si sono succeduti regimi e governi autoritari e socialisti che hanno combattuto e mantenuto integro il Paese ai danni degli usurpatori esteri (primi fra tutti gli Usa seguiti a ruota dall’Urss ovviamente). In Libia con il Colonnello Gheddafi, in Egitto con Nasser e in Siria con la dinastia Assad si sono instaurati governi arabi socialisti «non allineati» ma, ovviamente, antiamericani e filosovietici. Malgrado gli aspetti autoritari (assolutamente ingigantiti dai media occidentali), questi «sanguinari dittatori» hanno retto Paesi ingestibili dal punto di vista socio-economico in maniera davvero magistrale.

Gheddafi riuscì a far andare d’accordo, per esempio, le innumerevoli tribù che abitano il suolo libico, dando a tutti la possibilità di dimostrare il proprio valore e di evidenziare eventuali problemi di ordine sociale quali incongruenze territoriali o discrepanze economiche. Insomma, il socialismo arabo si è rivelato una carta vincente per il governo di questi territori. Il Colonnello, tra l’altro, incentivò a livelli strabilianti il turismo sulle coste della Tripolitania e della Cirenaica facendo del Mediterraneo la principale via per raggiungere il suo impero. Non solo di mare e di belle ragazze, però, era costituito il sistema economico del Maghreb. L’oro nero abbondava in quello «scatolone di sabbia» che era la Libia come, del resto, in Egitto, Iraq e Medio Oriente in generale. Paesi che, guarda caso, hanno assaggiato il sapore del ferro americano.

Che gli Americani siano dei famosi «esportatori di democrazia» con la violenza lo si sa anche dai memes che circolano su Facebook, ma che abbiano creato delle vere e proprie isole coloniali attorno alle loro basi in tutto il mondo ci sfugge ancora. Le truppe di Washington sono presenti in quasi tutte le nazioni del Medio Oriente tranne Libano, Egitto, Iran e Nord Africa con più di mille uomini in ciascuna di queste. Risaputo, tra l’altro, è che da quando i «terribili dittatori» dei Paesi arabi sono stati fatti fuori da questi liberatori e sono stati instaurati regimi democratici per maniera di dire, immediatamente si sono rifatti vivi i terroristi islamici a lungo combattuti dai colonnelli e generali di turno. Insomma, se nel 1492 è stato un europeo a scoprire e a colonizzare il nuovo continente, negli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale, sono stati gli americani che, con orgoglio e arroganza, hanno deciso di fondare veri e propri insediamenti comunemente conosciuti come «basi militari», poste nel Mediterraneo orientale ma pronte ad espandersi presto dovunque.

Lasciamo da parte, ora, la sponda meridionale del nostro bacino e soffermiamoci su quella settentrionale. Come tutti si sono bene accorti, il Mediterraneo è diventato un ponte, un «passaggio a nord-ovest» (anzi a nord e basta) per tutti quei personaggi che, vuoi per la guerra che flagella il loro Paese o per le malattie o semplicemente per il fatto di essere criminali, sono giunti nel nostro bel Paese a ondate, a proposito di mare, quanto mai impetuose. Nell’ottobre 2013 a largo di Lampedusa si consumò una strage di questi migranti: più di 350 morti annegati da aggiungere a una ventina di dispersi sono le cifre da capogiro che hanno occupato le prime pagine dei giornali all’indomani dell’accaduto. Di lì l’indignazione governativa per una strage «che si poteva benissimo evitare» a detta loro, talmente evitabile e talmente oscena agli occhi dell’italiano medio che per un minuto tutti gli italiani sono stati richiamati al silenzio per ricordare le vittime, come se a morire fossero stati dei connazionali. Questo nulla toglie al fatto che di vite umane, comunque, si parla, ma vorrei sottolineare l’ipocrisia di un Governo che ha voluto già allora assumersi tutte e, ribadisco, tutte le colpe non solo di quell’evento particolare, ma anche di tutti gli altri incidenti nel Mediterraneo. L’allora premier, Enrico Letta, decise brillantemente di aiutare i migranti direttamente in mare andandoli a pescare dai loro trasandati barconi per evitare altre stragi in quella manovra che passerà alla storia con il nome con «Mare Nostrum».

Ebbene, con questo provvedimento, si è dato inizio a quell’inesorabile processo di invasione e sostituzione etnica che tutt’oggi persiste nel nostro Paese, e perché? La colpa è sia dei migranti che, senza generalizzare, hanno approfittato di questo passepartout italiano decidendo di cambiare vita con uno swish di banconote, dall’altra parte, però, è innegabile la colpa di chi ha lucrato su tutto questo processo di condanna a morte del nostro Paese e delle sue tradizioni. Insomma, il Mediterraneo, la culla della civiltà occidentale, è sempre stato un luogo di incontro e, ancor di più, di scontro. Un mare che ha visto predominante l’influenza italica e italiana. Compito del nostro Paese ora è riprendersi il proprio mare.

Tommaso Lunardi


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