Τρίτη 23 Φεβρουαρίου 2016

La retromarcia di Syriza

Il partito sta applicando quelle stesse politiche di austerità che disprezzava.
Esattamente un anno fa, in Grecia veniva eletto un governo di sinistra radicale. Il suo giovane e dinamico primo ministro, Alexis Tsipras, prometteva di sferrare un colpo decisivo
contro l'austerità. Yanis Varoufakis, il suo non-convenzionale ministro delle finanze, poco dopo andò a Londra e creò un evento mediatico.
Ecco qui, si diceva, un governo
che abbandona le antiquate convenzioni borghesi
e si lancia nella lotta. C'erano grandi aspettative.
 Un anno dopo, il partito di Syriza sta alacremente
applicando quelle stesse politiche di
austerità che un tempo disprezzava. È stato
purgato della sua ala sinistra e Tsipras ha gettato
via il suo radicalismo pur di rimanere al
potere ad ogni costo. La Grecia si è avvilita.
 Come è potuta finire così? Una leggenda
metropolitana molto propagandata in certi
circoli mediatici vuole che i radicali siano stati
bloccati da un colpo di stato orchestrato dai
conservatori e dai funzionari europei, determinati
a cancellare qualsiasi rischio di contagio.
Syriza sarebbe stato dunque sopraffatto
dai mostri del neoliberismo e del potere. Ciononostante
avrebbe combattuto una lotta
giusta, forse riuscendo perfino a spargere
qualche seme di ribellione.
La realtà è molto diversa. Un anno fa la dirigenza
di Syriza era convinta che se avesse rifiutato
un nuovo pacchetto di salvataggio, i
creditori europei si sarebbero dovuti piegare
di fronte a una generale agitazione finanziaria
e politica. I rischi per l'eurozona sarebbero
stati, così credevano i leader di Syriza, maggiori
dei rischi per la Grecia. Se Syriza avesse
mantenuto la linea dura, credevano, le sarebbe
stato concesso un “compromesso onorevole”
per ridurre l'austerità e alleggerire il debito
pubblico nazionale. La mente dietro questa
strategia era Varufakis, ma la stessa strategia
è stata adottata da Tsipras e da gran parte
della dirigenza di Syriza.
 La Grecia non poteva fare nessuna trattativa
efficace non avendo un piano alternativo, tra
cui la possibilità di uscire dall'unione monetaria,
dato che creare da sé la propria liquidità
era il solo modo di evitare lo strangolamento
da parte della BCE. Certo, non era affatto facile,
ma almeno avrebbe offerto una possibilità
di opporsi alle catastrofiche strategie di
bail-out dei creditori. Purtroppo la dirigenza di
Syriza non aveva nessun piano alternativo.
 La disastrosa natura della strategia di Syriza
si è resa chiara il 20 febbraio del 2015. I politici
europei costrinsero il nuovo governo greco

a convenire sugli obiettivi di bilancio (in surplus),
sull'implementazione delle “riforme”,
sull'attenersi a tutti i pagamenti del debito e a
desistere da qualsiasi uso del fondo di salvataggio
per scopri diversi da quello di sostenere
le banche. L'Unione Europea ha tranquillamente
disattivato la trappola di liquidità
della Banca Centrale Europea, e ha rifiutato di
dare un solo centesimo in più di supporto finanziario
alla Grecia fino a che questa non
fosse ridotta a completa obbedienza.
 Le condizioni del Paese sono diventate sempre
più disperate quando il governo ha attinto
alle riserve di liquidità, le banche si sono prosciugate,
e l'economia si reggeva a stento in
piedi. In giugno la Grecia è stata costretta a
imporre i controlli sui movimenti di capitale e
a dichiarare la “sospensione” delle banche.
Syriza ha tentato di lanciare un ultimo colpo
in luglio, quando Tsipras ha invocato un referendum
sul nuovo, duro piano di salvataggio.
Incredibilmente, e con grande coraggio, il 62
percento dei greci ha votato per il “no”. Lo
stesso Tsipras ha fatto campagna elettorale
per il “no”, ma quando è arrivato il risultato
del voto si è reso conto che in pratica esso avrebbe
significato uscire dall'euro, mossa per
la quale il governo non aveva fatto dei seri
preparativi. A dire la verità erano stati messi a
punto dei “piani” per una valuta parallela, un
sistema bancario parallelo, ma si trattava di idee
dilettantesche di nessuna utilità al momento
dell'effettiva “ora X”. Inoltre il popolo
greco non era stato preparato, e Syriza politicamente
si reggeva appena. Ma soprattutto,
Tsipras e il suo circolo si erano personalmente
legati al progetto dell'euro. Di fronte ai
risultati catastrofici della sua strategia, Tsipras
si è vergognosamente piegato ai creditori.
 Da allora ha adottato una dura politica di avanzo
fiscale, ha aumentato le tasse e svenduto
le banche ai fondi speculativi, privatizzato porti e aeroporti, e sta per tagliare le
pensioni. Il nuovo piano di salvataggio ha
condannato la Grecia, già impantanata nella
recessione, a un declino a lungo termine con
scarsissime prospettive di crescita, mentre i
giovani con più alto grado di istruzione stanno
emigrando e il debito pubblico aumenta.
 Syriza ha fallito non perché l'austerità fosse invincibile, non perché il cambiamento radicale sia impossibile, ma perché essa era disastrosamente impreparata a lanciare una sfida diretta all'euro.

Kostas Lapavitsas




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