Nei giorni precedenti, domenica 25 gennaio rimbalzavano,
ironici, i cinguettii su Twitter ricordando che, eccetto
che per le dittature,nessun governo ha mai organizzato
festeggiamenti per il suo primo anniversario della
“vittoria”. Invece è successo anche questo: Syriza ha pensato di onorare questo compleanno
chiamando a rapporto i suoi elettori. La sensazione
è che la festa, più che celebrare le conquiste
del governo in questo anno ferale, sia servita di più a convincere i propri affiliati del fatto che il governo, malgrado
le traversie, fosse ancora in piedi. Quasi a dirsi: Evviva, siamo ancora qui e godere di questa sopravvivenza politica.
Cosa c'era da festeggiare in realtà? Una tripla
convocazione elettorale nell'arco di nove mesi, giusto per far pagare alle già erose casse dello stato la soluzione di dispute interne al partito? Il manipolatorio utilizzo del referendum per chiedere il parere dei cittadini o poi farsene un baffo e raccontare la frottola che quel “no” rafforzava le
posizioni del governo verso i creditori? La firma di un
terzo Memorandum, una sincope per il Paese, con condizioni che se solo firmato quattro mesi prima sarebbe stato meglio digerito anche dai più scettici? La lenta ed inesorabile marcia all'indietro delle politiche che riportano il Paese allo statalismo di vecchio stampo, confermano il nepotismo in salsa ellenica, il populismo
di facciata, nemmeno coerente con la prassi? La schizofrenica gestione di proclami e iniziative che promettono
perentori passi in avanti, ma al contempo ne
attuano il triplo indietro? L'ancora in vigore controllo dei capitali che ha messo in ginocchio l'economia delle
piccole e medie imprese costringendo
i cittadini a pellegrinaggi
ai bancomat come solo nei paesi latino americani
eravamo soliti vedere? Il dilettantismo della diplomazia
“scravattata” esercitato dal premier e dal suo
narciso ministro dell'economia, le cui capacità negoziali sono state considerate le peggiori al mondo del 2015? Se si leggono i dati statistici il quadro di questo anno riporta, forse dopo un flebile accenno di ripresa, di nuovo
il segno meno su tutte quelle voci che avrebbero potuto indicare che il Paese non era più in fase di precipitazione o, per lo meno, di stallo. Niente di tutto questo si poteva festeggiare. Non una celebrazione di conquiste dunque, quella di Syriza, ma la commemorazione di una sconfitta su vari livelli, ma in particolare su uno. La speranza.
Un anno fa, per altro con uno slogan che la riecheggiava,
i greci, anche quelli che avevano votato
sempre altrove, optarono per
Tsipras perché volevano coltivare la speranza di un cambiamento.
Ma questa, nei fatti, è svanita ben presto lasciando
delusione, amarezza,
lutto. Più che una festa, una sceneggiata.
ironici, i cinguettii su Twitter ricordando che, eccetto
che per le dittature,nessun governo ha mai organizzato
festeggiamenti per il suo primo anniversario della
“vittoria”. Invece è successo anche questo: Syriza ha pensato di onorare questo compleanno
chiamando a rapporto i suoi elettori. La sensazione
è che la festa, più che celebrare le conquiste
del governo in questo anno ferale, sia servita di più a convincere i propri affiliati del fatto che il governo, malgrado
le traversie, fosse ancora in piedi. Quasi a dirsi: Evviva, siamo ancora qui e godere di questa sopravvivenza politica.
Cosa c'era da festeggiare in realtà? Una tripla
convocazione elettorale nell'arco di nove mesi, giusto per far pagare alle già erose casse dello stato la soluzione di dispute interne al partito? Il manipolatorio utilizzo del referendum per chiedere il parere dei cittadini o poi farsene un baffo e raccontare la frottola che quel “no” rafforzava le
posizioni del governo verso i creditori? La firma di un
terzo Memorandum, una sincope per il Paese, con condizioni che se solo firmato quattro mesi prima sarebbe stato meglio digerito anche dai più scettici? La lenta ed inesorabile marcia all'indietro delle politiche che riportano il Paese allo statalismo di vecchio stampo, confermano il nepotismo in salsa ellenica, il populismo
di facciata, nemmeno coerente con la prassi? La schizofrenica gestione di proclami e iniziative che promettono
perentori passi in avanti, ma al contempo ne
attuano il triplo indietro? L'ancora in vigore controllo dei capitali che ha messo in ginocchio l'economia delle
piccole e medie imprese costringendo
i cittadini a pellegrinaggi
ai bancomat come solo nei paesi latino americani
eravamo soliti vedere? Il dilettantismo della diplomazia
“scravattata” esercitato dal premier e dal suo
narciso ministro dell'economia, le cui capacità negoziali sono state considerate le peggiori al mondo del 2015? Se si leggono i dati statistici il quadro di questo anno riporta, forse dopo un flebile accenno di ripresa, di nuovo
il segno meno su tutte quelle voci che avrebbero potuto indicare che il Paese non era più in fase di precipitazione o, per lo meno, di stallo. Niente di tutto questo si poteva festeggiare. Non una celebrazione di conquiste dunque, quella di Syriza, ma la commemorazione di una sconfitta su vari livelli, ma in particolare su uno. La speranza.
Un anno fa, per altro con uno slogan che la riecheggiava,
i greci, anche quelli che avevano votato
sempre altrove, optarono per
Tsipras perché volevano coltivare la speranza di un cambiamento.
Ma questa, nei fatti, è svanita ben presto lasciando
delusione, amarezza,
lutto. Più che una festa, una sceneggiata.
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