Πέμπτη 12 Απριλίου 2018

Gli antenati del Viagra. Storia millenaria degli afrodisiaci, dagli antichi romani alle parole in chat

 
Evelyn De Morgan (1855 - 1919). La Pozione d’Amore

Sono appena passati vent’anni dalla prima commercializzazione del Viagra, la pillola azzurra che ha, in gran parte, risolto la disfunzione erettile. Fu una rivoluzione epocale nel campo dell’andrologia che, prima del Viagra, basava le terapie soprattutto su fastidiose iniezioni. 

ANDREA CIONCI, 11/04/2018

«Oggi, ad avvalersi di questo medicinale vasodilatatore a base di Sildenafil – spiega l’urologo Alberto Pansadoro - sono soprattutto uomini sopra i 50, spesso diabetici, o magari con 30 anni di fumo alle spalle. Il tabagismo è, infatti, tra le principali cause di impotenza: rovina le arterie e siccome quelle del pene sono molto piccole e delicate, sono fra le prime ad essere danneggiate. Tuttavia, il medicinale è prescritto anche per quei giovani che hanno problemi di natura psicologica. A volte, capita che di fronte a qualche primo “insuccesso”, essi entrino in un circolo vizioso di inibizione. Il Viagra costituisce allora un appiglio per la propria sicurezza».

L’ENERGIA PSICHICA DI AFRODITE 
  
Per quanto la pillola blu agisca dal punto di vista puramente organico è interessante notare come l’erezione maschile sia l’unica manifestazione del corpo umano che, da sola, non dipende dalla volontarietà e, al tempo stesso, non è una funzione spontanea come, ad esempio, la digestione o la respirazione. Essa è legata alla più vitale fra le pulsioni umane, la libido, un’energia psichica, una spinta vitale che esula dalla sfera sessuale e può esser sublimata e investita in interessi come l’arte, la politica, lo studio, la ricerca, insomma, in tutto ciò che è alla base della civiltà umana. 

Diviene particolarmente interessante scoprire come, nella storia, l’uomo abbia cercato di conservare e potenziare questa energia vitale ricorrendo ai cosiddetti afrodisiaci: cibi particolari, filtri e pozioni. Il nome deriva da Afrodite, dea greca dell’amore, della bellezza, della sessualità e della lussuria.

Data la forte componente psicologica nella funzione sessuale, questi rimedi – quando non si rivelavano direttamente dannosi - potevano risultare efficaci grazie al cosiddetto effetto placebo. 

Afrodisiaco poteva essere considerato un cibo dalle effettive proprietà vasodilatatorie, oppure un frutto o un ortaggio la cui forma richiamava gli organi genitali maschili o femminili, oppure si trattava semplicemente di un ingrediente circondato da un’aura di misteriosa rarità, buono per scatenare la fantasia e l’autosuggestione. In molti casi, tuttavia, le pozioni create da maghi e fattucchiere erano venefiche per l’organismo o comunque dannose alla salute. 

GLI EGIZI 

Finocchio, melograno, giglio d’acqua, ninfea azzurra, mandragora erano considerati gli afrodisiaci più raffinati dagli antichi Egizi, mentre le ricette stimolanti più comuni erano a base di sapori piccanti: zenzero, vino al coriandolo e ravanelli mischiati a miele. Ancor oggi l’aggettivo “piccante” usato metaforicamente, è indissolubilmente legato all’eros. 

La cipolla, infatti, era considerata una vera “bomba” tanto da essere proibita ai sacerdoti che avevano pronunciato voti di castità. Tra gli alimenti dalla forma vagamente fallica, vi era la lattuga, pianta sacra del dio della fertilità Min. Ci sono pervenute anche le preparazioni di unguenti specifici: «Pesta foglie di giuggiolo e di acacia nel miele e applicalo poi come un impiastro». 

Nel papiro magico di Londra e Leida si consiglia invece un unguento di scorza di acacia triturata mista a miele, mentre in un altro testo viene raccomandata, per lo stesso uso, la spuma proveniente dalla bocca di uno stallone.

La «Bella Festa della Valle» in onore di Hathor, la dea dell’amore, del sesso, dell’ebbrezza, della nascita prevedeva riti orgiastici durante i quali si faceva uso di bevande inebrianti, vino e birra mescolati ad additivi rinforzanti o sinergici. 

I GRECI 

La vita nacque circa quattro miliardi di anni fa nel mare, (secondo alcuni studi, grazie alle sorgenti idrotermali sul fondo degli oceani). Con rara intuizione, Esodo e altri poeti ellenici tramandavano che Afrodite fosse nata proprio dalla spuma del mare fecondata dai testicoli di Urano scagliati in mare da suo figlio Cronos.

Non a caso, per gli antichi Greci, tutti i cibi di provenienza marina erano considerati favorevoli a una buona performance erotica: pesci, tra cui lo storione e il suo caviale; crostacei, come soprattutto le ostriche. Tra i vegetali, le carote, le cipolle e i tartufi. 

Nel mondo ellenico, il traffico di prodotti afrodisiaci e talismani era florido, e i rimedi più popolari venivano forniti principalmente dalle prostitute sacre e dalle sacerdotesse. Curiosa rimane la prescrizione del medico Galeno che consigliava i pinoli, mentre le lenticchie venivano ritenute un cibo utile alla longevità della funzione sessuale. 

I ROMANI 

«Amatoria pocula»: così i Romani chiamavano i filtri d’amore, allora molto commerciati. «Si trattava di una vera piaga sociale - spiega l’archeologo Carlo Di Clemente - in quanto tali intrugli erano spesso tossici, se non letali per l’organismo. Basti pensare che oltre a mandragora, noce vomica – contenente stricnina – si utilizzavano ingredienti repellenti come cuori di rospo o perfino resti umani, come il grasso di impiccato. Spesso il tutto veniva rimescolato in un teschio. 

Per associazione, i Romani erano soliti cibarsi anche dei genitali di vari animali dotati di temperamento selvaggio o “lascivo”, come asino, cervo o lupo. Anche il poeta Ovidio metteva in guardia contro l’uso di questi veleni». 

Il fenomeno assunse le proporzioni di un’emergenza pubblica tanto da condurre l’imperatore Vespasiano (69-79 d.C.) a emanare un decreto che condannava a morte chi fosse stato colto a preparare o distribuire tali misture. 

Svetonio tramanda come l’imperatore Caligola, da uomo savio e morigerato, si fosse trasformato in un folle proprio per l’uso di queste droghe: «Si crede che sua moglie Cesonia gli fece bere un filtro d’amore, ma che ciò lo rese pazzo».

I medici romani consigliavano, piuttosto, rimedi blandi e naturali, fra questi la rucola che cresceva intorno alle statue di Priapo, la cannella, e ancora una volta, cipolle, pinoli e ostriche. 

«Il più terribile degli eccitanti era però considerato il sangue umano – continua Di Clemente – dopo i giochi gladiatorii, sovente gli spettatori sfogavano le loro pulsioni nei lupanari. Non a caso il sangue dei gladiatori veniva raccolto e venduto come afrodisiaco. Anche per questo, il verbo fornicare deriva da fornix (fornice) in riferimento agli archi dei circhi e degli anfiteatri». 

IL CRISTIANESIMO 

Al degrado morale del periodo della decadenza di Roma pose un freno l’avvento del Cristianesimo che tentò (e in parte vi riuscì) di ricondurre la sessualità nell’alveo generativo e affettivo del matrimonio. 

Dopotutto, le comunità monastiche conservarono - con prudenza e segretezza - i precetti degli antichi, ma sfruttarono le antiche conoscenze piuttosto per allontanare le tentazioni e per supportare la castità dei religiosi. Un ruolo chiave era quello attribuito all’alimentazione. Erano infatti scoraggiati il consumo di carne rossa e cipolle. 

Così sentenziava San Girolamo: «All’avidità di cibo si accompagna sempre la lascivia» e Sant’Ambrogio: «Come il satollarsi scaccia la castità, così la fame è amica della verginità e nemica della lussuria».
  
Per sopire gli istinti di nobildonne e uomini di chiesa, si consigliava l’uso di una pianta officinale dotata di poteri sedativi: l’Agnocasto (Vitex agnus castus) chiamato anche «il pepe dei monaci» per via dei semi rotondi e neri. 

Una grande novità, per i laici, fu quella dell’arrivo delle spezie dall’Oriente, che offrì un vasto panorama di sostanze eccitanti spesso accompagnate da leggende fantastiche sulla loro provenienza: chiodi di garofano, noce moscata, cannella, zenzero, zafferano e coriandolo. Il loro costo era alto e quindi costituivano uno status symbol molto ricercato.

EPOCA MODERNA 

Nel Rinascimento vi fu una prima presa di coscienza da parte dei medici – e non solo - circa il fatto che il potere di questi rimedi fosse in gran parte di natura psicologica. «La mandragola» è infatti la celebre commedia di Niccolò Machiavelli, capolavoro del teatro italiano del Cinquecento che, per l’appunto, prende in giro i creduloni. Lo sciocco Messer Nicia, nel desiderio di avere un erede dalla giovane moglie, accetta di essere cornificato dando retta alle ingannevoli prescrizioni del giovane Callimaco il quale, travestito da medico, gli consiglia proprio la radice di mandragora. 
  
«Secondo una macabra superstizione – spiega il neuropsichiatra Giuseppe Magnarapa – la mandragora era una pianta che cresceva dalle secrezioni rilasciate dagli impiccati. Ricorrono spesso nel ricettario stregonesco turpi ingredienti legati a questi condannati a morte. Anche nel Macbeth, le streghe gettavano nel fuoco “grasso colato giù dalla corda di un impiccato”. Tali credenze si dovevano al fatto che durante l’impiccagione il corpo del condannato reagiva spesso con un’erezione provocata dallo stiramento meccanico del midollo lombare che sollecitava i centri preposti al funzionamento dell’apparato urogenitale». 

IL “SECOLO DEI LUMI” E L’OTTOCENTO 

Nel Settecento la fanno da padrone le carni rosse e la selvaggina, (prediletta era la carne di pavone) spesso cucinate e servite nelle case di tolleranza insieme a elaborate salse piccanti. Si affermano i cibi provenienti dalle Americhe: pomodori, patate del Perù e il cioccolato. 
  
Più tardi entra in gioco la chimica, con un uso massiccio della polvere di cantaridina, ricavata dalle elitre di un insetto, la Lytta vescicatoria, che però provocava irritazione e congestione di vie urinarie e genitali. La sostanza è fatale se si oltrepassa una certa quantità. La si è usata – male - anche in tempi relativamente recenti: nel 1987 un giovane cuoco di Forlì è morto fra dolori atroci per averne assunto una dose dodici volte superiore a quella letale.

DROGA E ALCOL CONTROPRODUCENTI 

Soprattutto dal secondo dopoguerra, la diffusione delle droghe ha soppiantato gli antichi rimedi magici e i cibi ritenuti, a torto o a ragione, stimolanti. “In generale – continua il Dott. Pansadoro – l’effetto delle droghe, oltre a creare assuefazione e ad essere devastante per l’organismo e per il cervello comporta l’effetto di rendere più facile l’abbandono dei freni inibitori ma, di converso, trattandosi spesso di principi vasocostrittori, inibiscono l’erezione. Anche l’alcol produce disinibizione, ma essendo depressivo del sistema nervoso centrale ha effetti negativi sui centri nervosi che regolano i meccanismi erettili». 

IL POTERE DELLE PAROLE 

Suscita quasi compatimento questo affannarsi dell’uomo, nella storia, a cercare rimedi e pozioni, nell’illusione di fermare e trattenere un attimo di paradiso.

Molti intellettuali, con considerazioni più o meno sarcastiche hanno identificato nel potere, nel denaro, nella fama, nel successo, nella varietà, nel proibito, nella gelosia i più potenti afrodisiaci. 

Ce n’è ancora un ultimo, potentissimo, di cui non abbiamo ancora trattato, che ha attraversato la storia dell’uomo fin dall’antichità: le parole, dette, o scritte. Dai papiri nilotici, al Cantico dei Cantici, alla poesia di Catullo, ai carmina medievali, alle pergamene e alle lettere scritte col pennino e la biro, fino alle email e alle chat di oggi, le parole, anch’esse dosate attentamente come in un laboratorio alchemico, calibrate attraverso l’istinto e la consapevolezza, hanno prodotto un’infinità di portentose ricette generate dal sentimento e dall’attrazione fra i sessi. 

Tra attesa e fantasia, tra pulsione fisica e comunicazione verbale, le parole amorose hanno suscitato e nutrito il desiderio in miliardi di unioni, aiutando uomini e donne ad abitare l’uno nell’immaginario dell’altro e confermando che la sessualità umana è un mistero ben più grande di un atto meccanico.


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