Σάββατο 21 Απριλίου 2018

Divinità del Cielo: come i Popoli Antichi personificarono Stelle e Pianeti

 

L’osservazione e il fascino della volta celeste ha influenzato enormemente le antiche civiltà di tutto il mondo; dai babilonesi ai greci, dai romani ai celti, dagli egizi agli aztechi. 

Cecilia Fiorentini, 20 04 2018

Questo proiettare gli occhi al cielo diede origine alla cosmogonia. I babilonesi, a partire circa dal 1.200 avanti Cristo, furono tra i primi popoli, dall’alto delle loro celebri ziqqurat, a scandagliare il cielo notturno alla ricerca di nuovi astri da osservare. Eruditi e sacerdoti dell’epoca capirono ben presto che il Sole e Luna non erano i soli globi luminosi ad abitare il grande blu sopra di loro.
  
Il cielo notturno nascondeva migliaia di altri giganti, non vicini quanto i due sopracitati, ma ben visibili a occhio nudo. Attribuendo significati mistici ai pianeti che osservavano con tanta attenzione, le caste sacerdotali diffusero le loro teorie e idee in merito alla loro presunta natura. Nacquero così le storie di quei misteriosi corpi luminosi, ritenuti divinità, e i loro nomi, che ben presto finirono per influenzare le culture del loro popolo e di tanti altri in tutto il continente euro-asiatico.

Sotto, i nomi dei pianeti nelle culture antiche:
 
Di lì a poco, nacquero le prime forme di astrologia; sacerdoti incaricati erano in grado di predire, a grandi linee, il fato dei loro consultanti basandosi sulla posizione dei pianeti e delle stelle in quel momento, e di ritenere se gli dei erano a loro favore o sfavore. I babilonesi influenzarono grandemente gli antichi greci o romani; molti dei loro più grandi condottieri non muovevano uno solo dei loro soldati senza aver prima consultato la posizione di Marte, oppure Giove, nel caso di importanti diplomatici.
   
Allo stesso modo, una donna avrebbe osservato Venere prima di gettarsi fra le braccia di un amante. Tuttavia, non tutte le civiltà subirono il fascino degli astri celesti o gli attribuirono natura mistica; nell’antichità, agli ebrei era vietato praticare l’astrologia da parte di alcune autorità religiose, sebbene nella Torah non vi fosse nessuna proibizione esplicita.

Forse intimoriti dall’immensità sopra i loro capi, i popoli antichi cercarono di riempirla di storie e di eroi coi quali confrontarsi e da cui sentirsi protetti. La Terra stava vivendo il fiorire della civiltà, e, come ogni alunno, necessitava di mentori e figure protettive. I greci stabilirono un sistema di dodici costellazioni, ognuna governata da un segno zodiacale che avrebbe influenzato la nascita dei nati sotto di esso.

Mentre i pianeti erano ormai legati a “vere e proprie” divinità, le costellazioni facevano capo a figure di natura leggendaria

Esaminiamo il caso della costellazione dei Gemelli; le due stelle, Càstore e Pollùce (conosciuti anche come Diòscuri), erano considerati i figli gemelli di Zeus e Leda, una mortale sedotta dal dio. I due fratelli si unirono agli Argonauti e a Giasone alla ricerca del Vello d’Oro. Nonostante fossero entrambi figli di Zeus, Càstore era mortale. Ucciso in uno scontro, Pollùce supplicò Zeus di riportarlo alla vita. Così fu, ed entrambi divennero immortali. Essi furono trasferiti nel cielo come Alfa e Beta Geminorum due delle stelle più luminose della costellazione.
  
Le due stelle divennero care ai marinai e ai pescatori, i quali le consideravano di buon auspicio. Inoltre, grazie a un fenomeno atmosferico chiamato “Fuoco di Sant’Elmo” (scarica elettro-luminescente generata dalla ionizzazione dell’aria generata dai temporali), a loro ovviamente sconosciuto, essi credevano che i Gemelli apparissero sugli alberi delle loro navi per salvarli durante le tempeste.
  
Più distanti culturalmente e geograficamente, i cinesi si dedicarono anch’essi allo studio e alla mistificazione della volta celeste; uno dei loro miti più famosi (la versione più antica risale a circa 2600 anni fa) e dall’aura malinconica è quello di Altair e Vega, (insieme a Deneb sono le tre luminose stelle che formano il “Triangolo Estivo”, un gruppo di stelle situato nell’emisfero settentrionale durante i mesi estivi) divise da quella che oggi conosciamo con la Via Lattea.

Gli antichi astronomi cinesi, ignari della natura della Via Lattea (ammasso di miliardi di stelle poco luminose), la consideravano come un fiume celeste, il quale separava i due amanti, Altair e Vega.

Sotto, il Triangolo Estivo come appare in Autunno (immagine di pubblico dominio):

 

Esistono molte varianti della storia, ma la seguente sembra essere la più datata; Altair era considerato come un mandriano, Niulang, e Vega come una tessitrice, Zhinü, sua amante. Sebbene i due amanti mortali fossero riuniti in cielo, una divinità cinese dell’epoca, la Madre dell’Ovest, infastidita dal loro rapporto, disegnò tra loro una linea, un fiume appunto, al fine di separarli per sempre. Tuttavia, essi potevano ricongiungersi un solo giorno all’anno. (Durante questa data, in Giappone, si festeggia il “Tanabata”, settima notte, equivalente della ricorrenza cinese “Qīxī”).
  
Altra leggenda che vede mortali proiettati tra le stelle, è la celebre vicenda delle Sette Sorelle, le Pleiadi. Visibili tramite un binocolo o col telescopio, le Pleiadi sono sette delle centinaia di stelle di un ammasso aperto, che l’astronomo francese Charles Messier, nel XVIII secolo classificò nel suo catalogo come “M45”. Sebbene le Pleiadi siano sette, solo sei solo visibili a occhio nudo, ma in eccellenti condizioni di oscurità.
  
Non tutte perfettamente visibili a occhio nudo, rimane dunque un piccolo mistero come alcune antiche culture, in più paesi, abbiano potuto osservarle e descriverle come sette, e non sei. Altri popoli, come i cinesi, i giapponesi, gli aborigeni o i nativi americani, le consideravano invece come sei donne. Ma il mito più significativo rimane quello di origine greca. Le fanciulle erano le figlie di Atlante e Pleione; i loro nomi erano Alcione, Celeno, Elettra, Maia, Merope, Asterope (o Sterope) e Taigete. Secondo la leggenda, Orione, il cacciatore, le aveva inseguite per tutta la terra, al fine di renderle sue amanti.

Sotto, Le Pleiadi, opera di Elihu Vedder, 1885 (immagine di pubblico dominio)

Gli dei, mossi dalla compassione, decisero di mutare le fanciulle in colombe, e da lì la loro comparsa nei cieli notturni. Tuttavia, Merope era l’unica di loro a non aver giaciuto con una divinità, ma ad essere sposata con un mortale, l’astuto Sisifo, noto dannato dell’inferno. Per la vergogna, la sorella lasciò le altre sei, e per questo si diceva che Merope fosse la meno luminosa delle sette stelle. In altri miti, come quello Hindu del V secolo avanti Cristo, le sette stelle erano associate alla costellazione dell’Orsa Maggiore, le cui stelle erano considerate dei saggi, chiamati Rishis, e le Pleiadi come le loro mogli, chiamate Krttika.

Per gli Inca, invece, le sette stelle non erano entità viventi, ma gli occhi della divinità del tuono, Viracoha. Infine, la stelle più luminosa di tutte, il Sole. Essa era associata quasi sempre alla divinità più importante o comunque a eroi di grande rilievo. Per gli antichi egizi, il dio Sole era Ra, il quale, a bordo del suo vascello, attraversava il cielo da est a ovest. Per i greci era Apollo (che soppiantò Helios in alcuni casi), che col suo cocchio condotto da cavalli attraversava il cielo diurno allo stesso modo di Ra.

Apollo è stato simbolicamente raffigurato come un sole splendente sulla toppa delle tute degli astronauti della missione NASA Apollo 13. Questa era diretta verso la Luna, ma divenne famosa per il suo fallimento. Sotto, il logo della missione diretta sulla Luna dell’Apollo 13. Vi è rappresentato Apollo, il dio del Sole della mitologia greca.

Sebbene oggi i pianeti e le stelle più vicine non siano tanto misteriosi quanto lo erano in passato, esercitano comunque un fascino e un’attrazione unici, che portano miliardi di occhi a osservare con meraviglia le stelle presenti nei cieli.

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