A Salonicco i lavori di scavo per la costruzione della metropolitana portano alla luce il cuore intatto di una città tardo romana e bizantina. Lo stesso premier Kyriakos Mitsotakis si scomoda per annunciare che le antichità non possono rimanere in situ: gli archeologi trovino un’altra sistemazione.
essalonica, in Italia più nota come Salonicco, è un’antica città macedone, fondata in età ellenistica dal diadoco Cassandro, che le diede il nome della moglie: il suocero Filippo II la volle chiamare “Vittoria sui Tessali” proprio perché nata nel fausto giorno di uno dei suoi trionfi da conquistatore.
La città nacque unificando una serie di piccoli centri urbani sorti attorno all’antica cittadina Therme, che aveva dato il nome al golfo termaico.
Il suo periodo di splendore iniziò con la dominazione romana, quando divenne il principale porto della Macedonia, porta d’ingresso per l’entroterra balcanico. Con la divisione dell’Impero Romano in due parti, Salonicco rivendicò per alcuni anni il titolo di capitale della parte orientale, finché Costantino non optò per la più strategica Bisanzio, rinominata Costantinopoli.
Ora è la seconda città della Grecia con più di un milione di abitanti e una grande voglia di riprendere il suo ruolo di porto balcanico, perso nei lunghi decenni della Guerra Fredda. I monumenti romani e bizantini continuano ancora a costituire i suoi gioielli, malgrado la feroce opera di distruzione portata avanti dal regime dei colonnelli.
Già l’indomani della caduta della “cortina di ferro”, quando cittadini e merci provenienti dalla Bulgaria, l’Albania e l’ex Jugoslavia cominciavano ad affluire in massa, la città si trovò ad affrontare un serio problema di traffico automobilistico. Spostarsi divenne un problema serio. Nel 2006, l’allora ministro conservatore Georgios Souflias annunciò la creazione di una linea sotterranea di metropolitana, capace di unire una città stretta e lunga, cresciuta nei secoli attorno al lungomare. La metro avrebbe dovuto essere pronta nel 2012.
Attualmente la linea metropolitana è ancora in costruzione, con la previsione, secondo il precedente governo Tsipras, di essere inaugurata nel 2021. E qui cominciano i guai. Provocati dalla leggerezza (o peggio) del nuovo governo conservatore.
Fin dai primi scavi nel sottosuolo, le ruspe si sono imbattute sulle non poche antichità della città. Ma una in particolare sta dividendo il mondo politico e l’opinione pubblica greca. Si tratta degli scavi effettuati in pieno centro, là dove dovrebbe sorgere la stazione denominata Efetherios Venizelos (in onore del liberatore della città dal dominio ottomano nel 1912). Là le scavatrici si sono imbattute in un crocicchio di epoca romana e medievale. È il punto esatto in cui l’antica via romana Decumanus Maximus, quella che tagliava la città in orizzontale, s’incontra con la Via Cardo, quella cha taglia da nord a sud. Per gli archeologi la Decumanus è senza dubbio la prosecuzione cittadina dell’antica Via Egnazia che partiva dal porto di Durazzo (l’antica Dyrrachium) ed attraversava tutta la Macedonia fino a Costantinopoli. Una via usata fino agli ultimi decenni del 19mo secolo.
Subito dopo la scoperta dei primi ruderi il Consiglio archeologico s’era espresso in favore di un salvataggio selettivo delle antichità, eventualmente riportando le parti più pregevoli nel grande museo di Salonicco. Man mano però che gli scavi procedevano, gli archeologi si rendevano sempre più conto che non si trattava di ruderi di secondaria importanza, da ricoprire eventualmente senza tanti pensieri. Già nel 2012 l’immagine che appariva loro aveva qualcosa di assolutamente inedito: l’incrocio, arricchito da pavimentazione, antiche botteghe e qualche luogo di culto, era rimasto integro, congelato nel tempo e preservato nella sua interezza dalle tante distruzioni subite dalla città. Era il cuore intatto di una città tardo romana e bizantina, il centro commerciale e politico per, si calcola, almeno un millennio. “Una Pompei bizantina”, l’ha chiamata Paolo Odorico, direttore dell’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi. Un’immagine affascinante che veniva sempre più confermata man mano che l’esplorazione del sottosuolo andava avanti.
La sovrintendenza archeologica ha subito chiesto di rivedere i piani per il trasferimento dei ruderi in altro luogo. Per ottenere la preservazione del sito gli archeologi hanno dato battaglia sia con il ministero dei lavori pubblici sia con l’allora sindaco della città Yannis Boutaris. Il sindaco ben presto ha capito l’importanza della scoperta. Già nella metro di Atene si era riusciti ad integrare nella maniera migliore nelle stazioni le antichità scovate nel sottosuolo, come può constatare chiunque visiti quella di piazza Syntagma, trasformata in un piccolo museo.
Boutaris si è convinto che gli archeologi avevano ragione. Quello era l’esempio che si doveva seguire: un ponte con due rotaie che attraversa la sottostante area archeologica, estesa fin dove c’è interesse, restaurata e visitabile dai viaggiatori da apposite scalinate che scendono dalla stazione. La metro non avrebbe viaggiato solo lungo la città ma anche in profondità, rivelando la sua storia e le sue bellezze antiche.
Dopo una lunga diatriba, scientifica ma soprattutto legale, alla fine il progetto della conservazione delle antichità in situ s’affermò. I lavori andarono avanti e gli scavi hanno scoperchiato un’area di circa 150 metri quadri. Furono posti i pilastri per il ponticello ferroviario e consolidata l’area di accesso al pubblico. Superato quindi il problema, la grande festa della inaugurazione entro il 2021 sembrava alla fine un obiettivo realistico, con grande gIoia dei tessaloniceni.
Già a settembre però il nuovo governo conservatore ha fatto sapere che non se ne fa nulla. Lo stesso premier Kyriakos Mitsotakis si è scomodato per annunciare che le antichità non possono rimanere in situ: gli archeologi trovino un’altra sistemazione. Il motivo evocato dal premier erano le “complicazioni” provocate dai ruderi ai lavori della metro e la sua volontà di “consegnarlo al più presto ai cittadini”. Un colpo di fulmine inatteso e ingiustificato, visto che lo stesso appaltatore, in una lettera inviata al ministero, avverte che il nuovo cambiamento dei programmi aggraverà di centinaia di milioni un’opera che ha già quasi raddoppiato il preventivo iniziale e che alla fine la stazione sarà pronta non prima del 2025.
Mentre la stampa di Salonicco insinua che il fine del governo sia proprio quello di fare un ulteriore regalino agli appaltatori, l’opposizione di Syriza punta invece allo spirito revanscista che caratterizza gran parte delle iniziative del nuovo governo, impegnato a smantellare tutto ciò che porta il timbro dell’odiato “populista” Tsipras. Dalla legislazione in favore del lavoro dipendente fino alla politica estera, nulla deve rimanere dell’“intervallo di sinistra”: l’estrema destra neoliberista, unica in Europa, deve consolidarsi come unica espressione politica del paese.
Ma la demolizione del sito archeologico non sarà opera facile. Mentre s’attende una nuova decisione del Consiglio archeologico, primo passo per una vertenza legale che si preannuncia lunga ma seguita con grande passione dai greci, la comunità internazionale degli archeologi si è mobilitata. Questa volta Mitsotakis rischia da farla grossa, troppo grossa perfino per un gaffeur seriale come lui.
https://ytali.com/2019/11/03/grecia-la-pompei-bizantina-che-il-governo-intende-demolire/?fbclid=IwAR2a_WztZywNpBPfAZL9Ar9O7NRiOZG13HFBcTQHZRH7VN8focxSGmjc2Kg
Δεν υπάρχουν σχόλια:
Δημοσίευση σχολίου