Πέμπτη 18 Μαΐου 2017

La BCE, con la Grecia, ci guadagna

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Cominciamo a ricordare – perché è la  dimenticanza che ci rende più servi – cosa fu quello che la Banca Centrale Europea (e i politici  UE) chiamarono “il salvataggio concesso” ad Atene.
La BCE lanciò il SMP (Securities Market Programme) che consiste  nel  comprare il debito greco sul mercato secondario.
Cosa è il mercato secondario? E’ quello dove la banche vendono e  comprano  i titoli degli stati.  Trattandosi di titoli greci, soprattutto le banche – tedesche e francesi –  avevano fretta di vendere. Se non ci fosse stata la BCE a  comprarli,  avrebbero dovuto non vendere, ma svendere quei titoli che allora nessuno voleva.
Quindi, l’azione di salvataggio ha salvato le  banche tedesche e francesi, che avevano prestato in modo spropositato e come minimo incauto, ad una economia così piccola e debole. Draghi le ha  sottratte  alla sanzione che  i “mercati”  liberi riservano a chi investe   male, prestando a debitori insolventi:  il  meritato fallimento. E le ha pagate più di quel che i titoli valevano.
 Non basta: le  banche centrali nazionali, certo su stringente consiglio della BCE, ne seguono le orme, lanciando un loro “programma di salvataggio”, ANFA (Agreement on Net Financial Assets), insomma anch’esse acquistato  titoli greci, salvando le banche loro (noi italiani abbiamo salvato le banche altrui; non avevamo grandi esposizioni con Atene).
Comunque, direte, le banche hanno venduto alla BCE a meno di quel che potevano pretendere dal debitore, hanno fatto un sacrificio. L’Europa ha teso una  mano  al governo greco, la BCE si è accollata titoli che sono carta straccia.
Prego, guardiamo meglio: la BCE ha raccattato i titoli a prezzi da  liquidazione, madalla Grecia pretende il rimborso del montante iniziale.
Ha dunque ricavato una plusvalenza dalla differenza tra il prezzo a cui ha acquistato, e quello a cui esige il rimborso. Draghi ha   speso 40 miliardi per comprare titoli greci dal valore facciale di 55,  stimava il Financial Times.
Non solo: la BCE nel frattempo ha lucrato gli interessi su quei titoli. Intereessi alti, perché sui  titoli acquistati di seconda mano, lo  sono. La Grecia paga interessi a tasso del 5,9 per cento. L’aprile scorso così  la Grecia ha   pagato 1,34 miliardi di euro a quel tasso.
La stessa BCE valuta  che i profitti realizzati in questa operazione in 10,4 miliardi di euro.  Un’altra organizzazione, Campagna per il Giubileo, che ha dei docenti universitari nel suo seno, stima i profitti di Francoforte “fra 10 e 22 miliardi”.
Fatto è che nel 2012 la cosa si è risaputa, ed i profitti della BCE  estratti al popolo greco avendo cominciato a fare scandalo, allora – e solo allora – gli Stati membri della UE hanno preso l’impegno di “retrocedere”, ossia di restituire alla Grecia, su base annuale, i profitti intascati.  Ohibò? Ma era un diritto della Grecia, oppure no? Non saprei.  Certo  è l’indizio di una coda di paglia chilometrica.
Però attenzione, c’è il trucco: la retrocessione dei profitti lucrati con  SMP e ANFA, è una cosa che spetta fare agli stati membri. Non poteva restituirli la BCE direttamente, cosa più semplice? Ma no,  perché la BCE vi spiegherà che lei, i profitti che realizza, li versa per quota alle banche centrali nazionali, le quali essendo banche private costituite da consorzi di banche private, e  dove lo Stato è  solo uno degli azionisti, distribuiscono i profitti agli azionisti. E’ il mercato, ragazzi. Ha le sue regole.
Di fatto, gli stati europei, nel 2013, hanno versato “alla Grecia” una prima tranche di 2,7 miliardi. Ho scritto “alla Grecia” tra virgolette, perché in realtà l’hanno versato su un conto speciale dedicato. Dedicato al  rimborso del debito.  Insomma i creditori hanno versato  i 2,7 miliardi in realtà a  loro stessi, in un conto di deposito per la propria garanzia.  In Grecia, di quegli interessi che i greci hanno pagato, non è entrato un euro.   Nel 2014, gli stati europei hanno versato un’altra tranche – ma cambiando ancora: su un conto intermedio del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) che è situato, guarda le coincidenze, in Lussemburgo. Cioè quel paradiso fiscale di cui il capo della commissione europea Juncker è stato primo ministro per quasi vent’anni (1995-2013), facendo  quegli accordi fiscali con 550 multinazionali per attrarne le sedi nel piccolo centro; le multinazionali che si sono messe d’accordo  con Juncker hanno pagato l’1%  sui profitti trasferiti nel Granducato  (a proposito: la scoperta  fu fatta da un consorzio di giornalisti nel 2014. “Non bloccherò l’indagine”, promise Juncker a testa alta. Qualcosa però dev’esser successo, perché son passati 3 anni e tutto tace. Forse perché le indagini  su Juncker  sono affidate a Margrethe Vestager,   commissaria alla concorrenza, sua collega e sottoposta  in oligarchia ? )
https://www.rischiocalcolato.it/2017/05/la-bce-con-la-grecia-ci-guadagna.html

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