Dal celeberrimo gesto delle corna a quello, altrettanto
famoso e diffuso anche nel resto d’Italia, del “che ‘vvuo?”, Napoli possiede un
vastissimo vocabolario fatto di gesti e movenze tipiche che la distinguono da
tutte le altre città. Ma perché questa pratica è così diffusa, e qual è la sua
origine? Senza dubbio, è molto più antica di quello che pensiamo.
Federica D'Alfonso, 2 DICEMBRE 2018
Imparare a comprendere le mille sfumature del dialetto
napoletano non è cosa semplice: si tratta di una lingua talmente vivace da
impedire qualsiasi classificazione o studio linguistico definito. Probabilmente
anche a causa del fatto che il napoletano, quando parla, non usa soltanto le
parole: è caratteristica universalmente riconosciuta quella del “gesticolare”,
molto spesso animatamente, durante una conversazione. Ma da dove deriva questa
curiosa peculiarità del napoletano? Qual è il significato nascosto dietro ai
gesti e, soprattutto, perché solo Napoli conserva ancora questa abitudine?
Un “vocabolario” dei gesti
La gamma di gesti che corredano le conversazioni
partenopee è talmente vasta che meriterebbe un “vocabolario” a parte. Si tratta
di un tipo di comunicazione molto efficace che funziona per simboli: movimenti
o atteggiamenti che da soli o inseriti in un discorso possono voler dire molto
più di mille parole. Come nel caso, ad esempio, il tipico gesto del “mannaggia
a te”: una mano posta in mezzo ai denti, come a voler frenare la lingua da
frasi pericolose o sconvenienti dettate dalla rabbia del momento.
Se invece parlando con qualcuno, costui improvvisamente
vi mostra una mano oscillante con tutte le dita unite al pollice rivolte verso
l’alto, vuol dire che qualcosa non va: un famoso studioso americano, Morris, ha
precisato come tutti i gesti che prevedono la mano a mo’ di borsetta indichino
“interrogazione”. Ma in questo caso il significato è inconfondibile anche per i
meno esperti: “ma che ‘vvuo?”.
Di certo uno dei gesti più famosi è quello delle “corna”,
ma pochi sanno che la sua origine è antichissima e risale ai tempi dei Greci,
come vedremo fra poco. Questa simbolica associazione che, nella maggior parte
dei casi, serve a precisare la natura fedifraga del compagno altrui, nasce con
il mito di Minosse: il re di Creta venne tradito dalla moglie Pasifae, la quale
si accoppiò con un toro generando il terribile Minotauro, e il popolo cretese
era solito ricordare al marito l’avventura extraconiugale della consorte
proprio con il gesto delle corna. Ma perché ancora oggi si utilizza questo tipo
di comunicazione?
Un’abitudine che viene dall'antica Grecia
Comunicare con i gesti è una facoltà molto più complessa
di quello che si pensa. Si tratta di una capacità che tutti possediamo,
soprattutto nell'infanzia: fino all'età di un anno infatti l’essere umano
comunica sia con i gesti che con le parole. È la convenzione linguistica,
l’apprendimento di determinate regole sociali e di comportamento a farci
abbandonare questa pratica: la capacità comunicativa si affina, diviene
prerogativa del linguaggio verbale e la gestualità, così carica di significati,
si perde.
In alcune culture però, come ad esempio quella
meridionale e in particolare a Napoli, tale capacità è stata conservata nel
tempo ed è divenuta una delle caratteristiche più spiccate nelle abitudini
sociali del popolo: è una peculiarità universalmente riconosciuta, quella che
associa il napoletano al “gesticolare”, ed è una caratteristica che a ben
guardare viene da molto lontano. A cavallo fra Sette e Ottocento un grande
etnologo originario di Procida, Andrea de Jorio, ha rintracciato le origini di
questa pratica addirittura nell'antica Grecia e nel rapporto fertile e
scambievole fra la cultura ellenistica e quella partenopea.
Per la sua opera più famosa, dal titolo “La mimica degli
antichi investigata nel gestire napoletano”, De Jorio parte da una semplice
seppur curiosa constatazione: osservando le pitture antiche e le raffigurazioni
presenti su vasi e anfore, lo studioso si accorge di quanto le movenze
immortalate nella ceramica, i gesti e gli atteggiamenti del corpo, fossero
stranamente simili a quelle dei suoi contemporanei ottocenteschi. Che ci fosse
un collegamento fra queste due epoche storiche così lontane fra loro?
De Jorio afferma di sì. Esiste una persistenza, radicata
a fondo nella cultura e nella capacità comunicativa partenopea, della
gestualità che deriva proprio dagli antichi colonizzatori di Parthenope. Il
tramite di questa particolarità, il teatro: non è un caso, infatti, che la
mimica sia un elemento estremamente enfatizzato dai più grandi artisti
napoletani, da Totò a Troisi, quasi a continuare il lavoro degli antichi attori
greci e di quelli della commedia dell’arte e delle sceneggiate poi.
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